I numeri del caso Volkswagen

I numeri del caso Volkswagen – Dopo aver discusso la questione tecnica passiamo ad altro. Le ricerche che hanno portato a quello che è stato soprannominato Dieselgate nascono per opera dell’ICCT (International Council on Clean Transportation), un ente internazionale indipendente senza scopi di profitto che tra i suoi tanti impegni ha anche quello di monitorare l’interazione tra veicoli e ambiente. La ricerca in questione è frutto di una collaborazione tra l’ICCT e l’università della West Virginia e risale agli anni 2013 e 2014. L’obiettivo era quello di valutare le emissioni inquinanti dei veicoli in condizioni di piena operatività. In parole più semplici, il focus dell’intero lavoro di ricerca era concentrato sulle emissioni realmente emesse dai veicoli durante il loro normale utilizzo e non solo quello ricavato su banco a rulli in fase di omologazione. I veicoli interessati erano quelli circolanti sul territorio americano. Per fare questi test, l’ICCT ha fatto ricorso ad una strumentazione portatile (portable emissions modeling systems) montata a bordo dei veicoli, mentre le auto prese in considerazione sono state esattamente tre: una Volkswagen Jetta, una Volkswagen Passat e una BMW X5. I test sono stati condotti prendendo in considerazioni cinque percorsi ben definiti e, soprattutto, reali: autostrada, città, misto, etc. Durante la percorrenza di questi tragitti sono stati raccolti i dati sulle emissioni degli ossidi di azoto. La Volkswagen Jetta ha disatteso la normativa statunitense Tier 2-Bin5, di cui più avanti vi fornirò informazioni, superando i limiti fino a circa 35 volte. La Volkswagen Passat ha superato i limiti anche di 20 volte. La BMW X5 è riuscita a rimanere all’interno degli standard imposti dalla normativa, superando gli stessi solo nella guida su percorsi di campagna. Come ha affermato John German, capo del programma di ricerca negli USA, la terribile discrepanza dei dati tra fase di omologazione e uso reale porta un netto svantaggio ai costruttori che fanno di tutto per mantenere i propri veicoli all’interno dei limiti. Ed ecco perché l’azione dell’EPA e del CARB è fondamentale per mantenere un’uguaglianza di trattamento tra costruttori. Quindi, altro che guerra degli Stati Uniti al diesel. Semmai, signori miei, ecco un segno di vera democrazia commerciale. In questo caso, ci troviamo di fronte ad un ente federale che assicura armi pari ad ogni concorrente che voglia  aggredire il mercato con i propri modelli. Drew Kodjak, Executive Director dell’ICCT, ha affermato che gli studi condotti dimostrano che il problema non è confinato ai soli Stati Uniti, ma anche all’Europa, mercato all’interno del quale sono stati rilevati gap notevoli tra i limiti imposti e quelli reali.

Veniamo infine ai valori numerici, per tutti coloro che giustamente vogliono capire il problema anche dal punto di vista puramente quantitativo. La normativa americana Tier2-Bin5 impone un limite di emissione per gli ossidi di azoto pari a 0,04 g/km. Come è possibile vedere dal grafico che vi allego, ricavato da un documento ufficiale dell’ICCT, si può osservare che la Jetta (Veicolo A) ha raggiunto emissioni molto più alte, che nella situazione peggiore hanno fatto segnare un picco compreso tra 1,5 e 1,6 grammi al chilometro.

Schermata 2015-09-24 alle 11.10.35

Questo significa banalmente che se consideriamo come rappresentativo il valore di 1,5 g/km e lo dividiamo per il valore imposto dalla normativa, quindi 0,04 g/km, otteniamo

1,5 (g/km)/0,04(g/km)=37,5

più o meno le fatidiche 35 volte indicate dai ricercatori dell’ICCT. La discrepanza nel conteggio è dovuta ovviamente alla nostra lettura approssimativa del grafico fornito dall’ente americano, in quanto la scala con cui è stato rappresentato non ci permette di leggere esattamente il valore preciso del picco. Ma chiaramente tutto ciò è irrilevante, perché l’ordine di grandezza è quello.

Detto questo, vorrei soffermare l’attenzione su due elementi abbastanza importanti. Il primo riguarda il comportamento della BMW che si è mantenuta nei limiti di omologazione sulla quasi totalità dei percorsi, ma che come si vede ha violato anch’essa tali limiti nel caso di guida più impegnativa sulle strade di campagna.

La seconda considerazione riguarda i valori limite imposti dalla normativa. Forse è bene mettere a fuoco la piccola follia che si cela dietro i numeri che stiamo trattando. La Tier2-Bin5, infatti, impone un’emissione di 0,04 grammi di ossidi di azoto per ogni chilometro percorso, a fronte dei circa 1,5 grammi emessi nella performance peggiore dalla vettura Volkswagen. L’ho anticipato nell’articolo precedente, ma è chiaro ancora una volta quanto sia folle mettere limiti tanto bassi proprio ora che la curva di appiattimento delle emissioni sta approssimando il proprio asintoto. Per un incremento quasi nullo, un costruttore deve fare i salti mortali per rientrare negli standard, per non parlare della lievitazione esponenziale dei costi, con la ovvia ricaduta sul cliente finale.

Bene, sia chiaro che questa non è una difesa di Volkswagen, ma una considerazione tecnica che ci fornisce un’indicazione chiara degli intervalli assurdi all’interno dei quali ci stiamo muovendo. È notizia di poco fa, proprio mentre stavo scrivendo questo testo, che il ministro tedesco ha ammesso la presenza di test truccati anche in Europa. E nel frattempo le voci su un possibile coinvolgimento di BMW hanno fatto crollare il titolo in borsa. Forse, adesso che il problema è venuto a galla, sarebbe veramente il momento di capire che i limiti imposti dalle normative dovrebbero essere coerenti con ciò che la tecnica è in grado di fare. Siamo tutti uomini e non c’è peggior compagno della mancanza di consapevolezza su ciò che possiamo fare e su ciò che non possiamo fare. Almeno per ora. Ma ormai, il domino è stato avviato.