Audi TT. Solo apparentemente simile alla seconda, la TT “Mark 3” è in realtà completamente nuova: dal telaio alla tecnologia di bordo, tutte le novità della coupé compatta di Ingolstadt.
Iniziare un qualunque percorso partendo da zero non è mai facile, in nessun ambito, come ben sa chiunque vi abbia provato: nella maggior parte dei casi le probabilità di fallire sono più elevate di quelle di riuscire, e per ogni storia di successo ce ne sono sempre a bizzeffe di finite male. Dovevano essere più o meno di questo tipo i pensieri dei dirigenti Audi verso la metà degli anni ’90, quando venne loro presentata per la prima volta quella nuova, originale ed ambiziosa sportiva allora rispondente al nome di TT Concept. Del resto risulta difficile, anche oggi che la TT è una presenza in gamma consolidata, dare loro torto: all’epoca di Audi così non se ne erano infatti mai viste ed era tutto da dimostrare che il mercato ne sentisse il bisogno, essendo la tradizione sportiva del marchio legata a coupé integrali di impostazione molto differente e di segmento superiore (erano gli anni della S2).
E pure nel 1998, quando dopo vari dubbi e ripensamenti si giunse infine alla messa in produzione, i “gufi” ebbero di che chiacchierare, dato che la nuova vettura, battezzata ufficialmente “TT” (da “Tradition und Technik”) non fu inizialmente esente da critiche, dato che la base meccanica su cui gli ingegneri Audi avevano scelto di realizzarla era, in definitiva, quella della Golf IV, con trazione anteriore o integrale haldex “on demand”, sospensioni anteriori MacPherson e retrotreno a ruote indipendenti per le “quattro” ed a semplice ponte torcente per le “FWD”: un po’ poco, pensarono in molti, per competere a pieno titolo con vetture tecnicamente “pure” come la BMW Z3, la Mercedes SLK o, volendo allargare lo spettro, la Honda S2000 che sarebbe giunta sul mercato due anni dopo. In questo contesto il richiamo generale del 1999 per problemi di stabilità in curva alle alte velocità, dovuti ad un’aerodinamica eccessivamente portante ma anche a carenze telaistiche, sembrò dare a pieno titolo ragione ai detrattori: costruttori di sportive non ci si improvvisa, dicevano, e chi lo fa senza averne i mezzi se ne assume il rischio. Ora, può ben darsi che i detrattori in questione avessero effettivamente ragione, ed è in effetti fuori di dubbio che quella prima TT fosse impacciata, pesante ed in definitiva dimenticabile in quanto a piacere di guida, ma ciò che conta e che ci preme ricordare è la reazione dell’azienda, che fu in pieno stile tedesco: nessuna retromarcia, tante modifiche al prodotto (per cominciare venne aggiunto l’alettone e rivisto profondamente l’assetto) ed una miriade di piccoli e grandi aggiornamenti ed investimenti negli anni a venire, che avrebbero progressivamente limato i molti difetti e limiti del progetto, esaltandone al contempo le doti (stile e finiture non erano mai stati in discussione) ed arricchendolo di contenuti all’avanguardia.
Nel 2003 fu ad esempio la TT a portare per prima nella grande serie il cambio DSG, mentre nel 2006 la seconda serie, firmata Walter de Silva, introdusse la struttura portante mista acciaio-alluminio ed un comparto sospensivo ben più raffinato, oltre che una trasmissione “quattro” Haldex più raffinata e reattiva. Arrivarono poi le TT S ed RS, con i loro super-turbo che in men che non si dica mandarono in pensione senza grossi rimpianti l’elefantiaco ed obsoleto 3.2 VR6, altro elemento mai del tutto digerito dalla clientela più sportiva. Così anno dopo anno la TT si è pian piano ritagliata, a dispetto dei tanti detrattori delle origini, una sua clientela, che non accenna a tradirla nonostante che l’arrivo della più comoda e fruibile A5 da una parte ed il generale declino delle coupé dall’altra ne abbiano parzialmente ridotto il mercato. Con il nuovo modello, ad ogni modo, la casa madre non accenna a demordere e ripete ancora una volta la strategia di sempre, ovvero il prodotto prima di tutto.
CAMBIARE TUTTO, DI NASCOSTO
Certo, non si può negare che in Audi il concetto di “continuità stilistica” venga a volte preso fin troppo alla lettera, e la TT “Mark 3” è senz’altro uno di quei casi: a guardarla distrattamente è infatti quasi inevitabile scambiarla per la serie precedente, e a dirla tutta pure se la si guarda con l’attenzione dell’addetto ai lavori, non è che di differenze se ne trovino poi molte: la mascherina anteriore è cambiata, i gruppi ottici sono divenuti più affilati soprattutto davanti ed il disegno del vetro posteriore laterale è leggermente mutato. Stop.
L’impressione generale è quella di una vettura un po’ più maschia e muscolosa, un po’ più aggressiva, ma, diciamolo, al 99% identica a prima, il che è probabilmente esattamente ciò che si voleva ottenere, dato che se c’è un elemento del prodotto TT che in diciassette anni non è mai stato messo in discussione, questo è proprio il design. Va comunque annotato come anche in questo caso, come ormai da prassi per il marchio tedesco ed al di là della quasi totale identità stilistica, di comune alla versione precedente non vi sia praticamente niente, nemmeno in profondità dato che come vedremo è tutta l’architettura di base ad essere cambiata. Si inizia a rendersene conto nel momento in cui ci si cala nell’abitacolo.
EFFETTI SPECIALI
Nel comparto “interni”, infatti, gli uomini di Ingolstadt hanno dato il meglio di loro stessi, tirando fuori il meglio da designer, addetti ai materiali e fornitori di componentistica. Intendiamoci, non che ci si aspettasse realmente qualcosa di meno: fin dalla prima edizione la TT si distingue infatti per una cura delle finiture e della qualità percepita superiore alla media delle sportive di pari segmento, una tradizione egregiamente continuata dalla seconda serie e che, per una buona fetta degli acquirenti, vale probabilmente già da sola il “prezzo del biglietto”.
A questo giro però, come dicevamo, in Audi si sono superati: la nuova plancia, semplice e quasi minimalista nel design, sfoggia una qualità di materiali ed accoppiamenti inattaccabile e mette in mostra chicche stilistiche quasi geniali, come le bocchette di ventilazione integranti nei pomelli i display dell’impianto di climatizzazione stesso e simili nel design ai compressori di un motore a getto. Notevole è anche la plancetta del sistema multimediale di bordo MMI, posta dietro il cambio ed integrante l’ormai imprescindibile (in casa Audi) “touch-pad”. Il vero colpo di scena però è dato dalla strumentazione “Audi virtual cockpit”, in pratica un unico gigantesco schermo da 12,3″ gestito da un apposito processore grafico NVidia a quattro core. Un vero e proprio cinema in miniatura che viene sfruttato a fondo in particolar modo dalla modalità di navigazione, che trasforma l’intera strumentazione in un’unica grande mappa a volo d’uccello. Non mancano naturalmente numerose altre schermate dedicate alla gestione della dinamica vettura, della radio e dei vari sistemi di bordo, anche perché, proprio in virtù del concetto minimalista complessivo che ha ispirato tutto il design degli interni, il classico schermo centrale è totalmente assente, ed il “virtual cockpit” è a tutti gli effetti l’unica interfaccia integrata uomo-macchina.
Ciò detto, ed esaurita la sbornia da effetti speciali, l’abitacolo della TT è comunque sostanzialmente lo stesso di sempre: estremamente comodo ed appagante per i due passeggeri anteriori, pressoché invivibile per gli eventuali ospiti posteriori e dotato, in compenso, del solito onesto bagagliaio da 300 litri, accessibile tramite il grande portellone posteriore. Una vettura dunque che, da buona coupé, impone qualche sacrificio, a fronte dei quali ci si aspetta naturalmente un contenuto tecnico di primo piano al servizio del piacere di guida.
MQB IN SALSA AUDI
Proprio su questo punto, ovvero se il comparto tecnico della TT sia o meno all’altezza del rango di “sportiva pura” cui la coupé compatta di Ingolstadt ambisce, si gioca da sempre lo scontro tra supporters e detrattori, mentre sullo sfondo gli ingegneri tedeschi hanno per anni continuato a lavorare allo scopo di fornire sempre più argomenti ai primi togliendone ai secondi. Beninteso che sempre di tedeschi parliamo, per cui di rivoluzioni concettuali non si è mai parlato e non si è parlato nemmeno a questo giro: la TT rimane dunque ciò che è sempre stata, una “Golf vestita a festa” o, per dirla più diplomaticamente, una derivazione sportiva estrema della piattaforma di segmento C con motore anteriore trasversale del gruppo Volkswagen, la stessa di Golf ed A3 appunto.
Ciò però, a differenza di quanto valeva nel 1998, non costituisce necessariamente una vergogna, dato che in concreto implica l’adozione anche per la TT della recente architettura MQB, con tutto il suo potenziale in termini di modularità delle componenti e dei materiali e di flessibilità del progetto. Per cominciare il passo è particolarmente corto, con soli 2,50 metri di lunghezza, e poi l’intera struttura portante è realizzata – caso unico tra le vetture basate sulla MQB – facendo ampio uso dell’alluminio, secondo il principio della struttura multi-materiale adottato estesamente nei segmenti superiori. Per intenderci, il pianale di base compresi i longheroni anteriori rimane in acciaio, con l’adozione di elementi in lega ad alta resistenza per il tunnel e per i vani pedaliera, mentre l’intera pelle esterna della carrozzeria, incluse fiancate, tetto e portellone è in lamiera d’alluminio stampata. Fusioni d’alluminio vengono invece utilizzate per i montanti porta anteriori, mentre elementi estrusi vengono adottati per i montanti abitacolo, per i longheroni sottoporta e per la traversa frontale: nel complesso un piccolo capolavoro di ottimizzazione strutturale, che per essere tenuto insieme necessita di una complessa combinazione di chiodature, rivettature, saldature MIG e laser e giunzioni adesive, ovvero quanto di più raffinato oggi realizzabile dall’industria automobilistica.
C’è però spazio per una piccola polemica tecnica, dato che come i più attenti ricorderanno bene, non è che l’adozione estesa dell’alluminio costituisca una novità per la TT, anzi: già la seconda generazione, basata sulla piattaforma “PQ35”, vantava una costruzione mista simile all’attuale nella quale, a ben vedere, l’alluminio giocava un ruolo ancora maggiore, venendo utilizzato anche per i longheroni anteriori e per parte del pianale. Senz’altro la nuova struttura “MQB based” è, rispetto alla precedente, industrialmente più semplice da produrre, e secondo il costruttore è anche più rigida del 23%, ma sul fatto che sia più leggera qualche dubbio ci sorge, anche per via del fatto che Audi stessa dichiara un guadagno di peso di 50 kg della nuova “TT 2.0 TFSI” rispetto alla vecchia. Dato che come vedremo buona parte di quei 50 kg sono dovuti al dimagrimento del propulsore, e che molti altri affinamenti sono stati introdotti a livello di componentistica (solo dai sedili sportivi si sono limati 5 kg, per intenderci) ciò sembra indicare che la struttura di per sé pesi esattamente quanto prima, se non di più. Il che, se confermato, non andrebbe necessariamente inteso come un male, intendiamoci, ma piuttosto come una scelta tecnica: l’ammissione – e non la prima – che insistere sulla costruzione in alluminio fine a sé stessa ha costi diretti ed indiretti esagerati rispetto ai risultati, e che il buon vecchio acciaio, se sfruttato ai limiti delle sue potenzialità, ha ancora molto da dire e consente al tempo stesso di comprimere i costi, “liberando” risorse che possono servire a meglio sviluppare altri comparti.
SOSPENSIONI E TRASMISSIONI
La transizione da PQ35 ad MQB, con tutte le implicazioni descritte in termini di materiali, non ha in compenso minimamente intaccato il comparto sospensivo, che è in buona sostanza lo stesso di prima. All’avantreno troviamo dunque il classico MacPherson di origine Volkswagen, qui nobilitato da una raffinata realizzazione in lega leggera sia per i braccetti che per la culla portante, mentre al retrotreno vi è l’ormai tradizionale assale “multilink” a quattro bracci realizzato interamente in acciaio, originariamente introdotto dalla Golf V nel 2003 e da allora adottato per una miriade di modelli nel novero dei segmenti C e D. Niente di nuovo nemmeno sul fronte dei gruppi elastici, che come in passato prevedono a richiesta (di serie per le “S”) gli ammortizzatori a smorzamento controllato elettronicamente con attuazione magnetoreologica, ovvero basata sulla variazione di viscosità del fluido idralico interno, indotta mediante il controllo del campo elettrico di un solenoide integrato.
Si tratta di una soluzione tecnica non più nuova, ma ancora al top dell’offerta in questo campo, in particolare per l’estrema velocità di variazione della taratura, irraggiungibile per i sistemi basati su valvole meccaniche. Dove invece la nuova TT offre qualcosa di nuovo è nella trasmissione integrale “quattro”, che su questo modello è sempre stata criticata in quanto, ovviamente data la sua derivazione dalla piattaforma Golf/A3, di tipo “on demand” con giunto Haldex ad attuazione idraulica. Il limite di tale soluzione, che sulle generazioni passate diveniva evidente in caso di guida sportiva al limite, risiedeva nel fatto di comportarsi, in condizioni normali di marcia ed anche in inserimento curva, come una normale trazione anteriore, trasferendo la coppia al retrotreno solo in presenza di uno slittamento dell’anteriore o, comunque, di una subitanea pressione dell’acceleratore, tipicamente in uscita di curva. Ne conseguiva il classico comportamento “ibrido”, simile a quello di un’anteriore in inserimento ed in percorrenza, per poi “trasformarsi” in quello di una integrale in uscita: efficace senz’altro, ma per molti poco lineare e scarsamente appagante. Per far fronte a queste critiche, gli ingegneri della Haldex hanno approntato per la TT “Mark 3” un software di gestione del giunto a lamelle completamente rivisto, che modula la trasmissione di coppia al retrotreno sulla base di nuovi parametri, tra cui il più importante è l’angolo di sterzata.
In pratica, la nuova TT non ha più bisogno di “aspettare” l’uscita della curva per rendersi conto di dover “diventare integrale”: ora può accorgersene fin dall’inserimento, portando così fin da subito la ripartizione F/R ad una percentuale ottimale per la dinamica. Un’altra novità è che la logica di gestione di cui sopra è per la prima volta asservita – insieme con la mappatura del propulsore e con le tarature di sterzo ed ammortizzatori – al comando centralizzato del sistema “Audi Drive Select”, che consente di scegliere tra i canonici quattro programmi di guida standard più il personalizzabile “individual”: nella modalità più sportiva l’innesco della trasmissione “quattro” si fa ancor più anticipato, frequente ed incisivo, avvicinando parecchio il feeling di una “integrale permanente” vera e propria.
ANCORA TURBO…DIESEL
Per quanto concerne infine il comparto motoristico, vi troviamo per ora solo tre possibili opzioni, delle quali la più gettonata sul nostro mercato sarà senz’altro – tristemente, dirà qualcuno – quella di base, costituita dal “due litri” a gasolio TDI da 184 CV e 380 Nm, accoppiato al cambio manuale a sei rapporti ed alla trazione anteriore. Quella che è senz’altro una scelta di ripiego rispetto ai più potenti “benzina” non lo è però, ci teniamo a sottolinearlo, sul piano strettamente tecnico, ché il “TDI” è in effetti un motore estremamente raffinato e moderno sotto tutti gli aspetti, appartenente alla nuova stirpe degli “MDB” (diesel modulari) ed alla famiglia EA288, concepita sin dall’inizio come parte integrante dell’architettura MQB.
Il cosiddetto “basic engine”, ovvero l’architettura di base comune a tutte le declinazioni di questa unità, ha ricevuto vari upgrade rispetto alle precedenti generazioni, a cominciare da una generale cura di riduzione degli attriti, tramite l’adozione di pistoni a basso attrito e con fasce elastiche più lasche, di un modulo distribuzione a basso attrito standardizzato e di una pompa dell’olio a cilindrata variabile, per una riduzione complessiva degli attriti nell’ordine del 15%. L’efficienza, poi, si vale anche di soluzioni raffinate quali il nuovo modulo di raffreddamento del circuito di aspirazione, che ora è realizzato – come già sulle unità a benzina – tramite intercooler aria-acqua in luogo dei precedenti e ben più convenzionali aria – aria. Il vantaggio è una netta riduzione dell’ingombro del circuito di aspirazione, con un packaging complessivo più compatto, e soprattutto un controllo molto più preciso e diretto sulla temperatura dell’aria in ingresso, che può all’occorrenza essere addirittura riscaldata, al fine di accelerare l’arrivo in temperatura di esercizio del propulsore. Questo ci porta a parlare di un altro punto qualificante del progetto MDB, ovvero la gestione intelligente del circuito di raffreddamento. L’unità dispone, in effetti, di tre circuiti distinti, il primo dedicato alla sola testata con dispositivo di EGR, il secondo includente anche il basamento ed il terzo dedicato, appunto, all’intercooler.
La gestione attiva di questi circuiti, attuata tramite valvole a controllo elettronico, consente di accelerare nettamente la fase di warm-up (tradizionale tallone d’achille dei diesel) riducendone di conseguenza le elevate emissioni nocive. Sempre sul fronte della lotta alle emissioni, un ruolo significativo è detenuto dal circuito EGR, che ora prevede l’accoppiamento di EGR ad alta e bassa pressione, ottimizzati per specifici punti di funzionamento del propulsore, e soprattutto una netta riduzione delle perdite di carico della linea di bassa pressione, che passano da circa 200 millibar a poco più di 20. Gli ultimi due moduli sono quello del sistema di sovralimentazione, che sulla versione più potente del 2.0 TDI è addirittura a doppio turbo per una potenza massima di 240 CV, e quello dei dispositivi di post-trattamento dei gas combusti, che è geometricamente ottimizzato per la massima compattezza in modo da rimanere il più vicino possibile allo scarico della turbina e che può includere, a seconda dei casi, catalizzatore ossidante, trappola per NOx o (non per la TT) catalizzatore SCR, sempre in rigoroso accoppiamento con l’immancabile filtro anti-particolato. Il tutto consente all’MDB di raggiungere l’omologazione Euro 6 e di garantire, nel caso dello step da 184 CV equipaggiante la TT, uno scatto da 0 a 100 km/h in 7,1 secondi a fronte di soli 4,2 l/100 km di consumo medio.
ALTE PRESTAZIONI
Per chi vorrà e potrà permetterselo sono poi disponibili i due motori a benzina, che poi sono in realtà lo stesso propulsore, proposto di serie con la trasmissione automatica DSG a sei rapporti e a richiesta dotato di trasmissione “quattro” (di serie nel caso della TTS). Il “2.0 TFSI” di nuova generazione, anch’esso completamente rivisto rispetto al passato ed erogante, nella sua versione “liscia”, già 230 CV e 370 Nm fin dai 1.600 giri/min e consente alla TT di scattare da 0 a 100 km/h in 5,9 secondi, o addirittura, in 5,3 secondi con la trazione “quattro”.
Tra le sue caratteristiche troviamo un peso particolarmente contenuto, grazie al basamento in ghisa grigia a pareti particolarmente sottili ed alla realizzazione in plastica di parecchie componenti accessorie tra cui la coppa dell’olio, ed una estrema riduzione degli attriti grazie, tra le altre cose, a rivestimenti specifici per i mantelli dei pistoni, alla pompa olio a cilindrata variabile ed ai nuovi cuscinetti per gli alberi di equilibratura. A livello della testata ritroviamo il già noto dispositivo Audi “Valvelift” per la variazione dell’alzata delle valvole di scarico, mentre è una novità il sistema di doppia alimentazione, che unisce alla convenzionale iniezione diretta “FSI” una batteria di iniettori “indiretti” nel collettore d’aspirazione, al fine di ridurre, in determinati punti di funzionamento, sia i consumi che le emissioni di particolato, tallone d’Achille inconfessato di molte benzina ad iniezione diretta degli anni scorsi. La versione più spinta dello stesso propulsore, in dotazione alla TTS, arriva infine ad erogare 310 CV e 380 Nm di coppia massima grazie ad una profonda revisione della struttura: basamento rinforzato, pistoni e bielle specifici e molle valvola più dure forniscono i presupposti per gestire le maggiori sollecitazioni, mentre il turbocompressore maggiorato con pressione di sovralimentazione di 1,2 bar si occupa di generarle.
Con questa unità l’accelerazione da fermo fino ai 100 km/h scende a quota 4,6 secondi, un tempo fino a non molti anni fa appannaggio delle sole supersportive e che è destinato, nel medio termine, ad essere ulteriormente migliorato con l’avvento della “RS”, sulle cui specifiche tecniche possiamo per ora solamente speculare. La TT, in tutto ciò, riesce in definitiva a passare il nostro esame riconfermandosi per quello che è sempre stata: una sportiva atipica, dal design impeccabile e rifinita come un’ammiraglia, forse “impura” sotto alcuni aspetti tecnici ma senz’altro tecnicamente sofisticata, velocissima ed efficace tra le curve. In due parole, all’avanguardia della tecnica, come da filosofia del marchio.