
I lettori dalla memoria più lunga si ricorderanno, probabilmente, della mitica “989” di fine anni ’80, il primo, originario prototipo di super-berlina Porsche a quattro porte di cui si parlò a lungo anche dopo la definitiva decisione dei vertici di Stoccarda di azzerarne il futuro produttivo. Questo perché di curiosità , intorno a quella strana 911 allungata, stirata ed affilata dalla matita di Lagaay, ne circolava all’epoca davvero tanta, come avviene sempre per i prodotti realmente innovativi che tentano di aprire un ramo nuovo nella genealogia di un marchio. Con il senno di poi, però, è forse stato un bene che i manager Porsche abbiano deciso di “tenere in caldo” il progetto della loro berlina per due decenni, decidendosi a concretizzarlo in un prodotto di serie solo nel 2009: una eventuale 989-Panamera che fosse nata a metà anni ’90 infatti non avrebbe potuto beneficiare di molti degli “atout” tecnici oggi a disposizione degli ingegneri di Stoccarda, e avrebbe rischiato di fallire. E la Panamera dei giorni nostri, autentico gioiello della tecnica, forse non sarebbe mai esistita.
VOLUMIÂ DI STORIA
Sul piano strettamente estetico, certo, qualcosa in più dalla 989 la Panamera avrebbe forse potuto impararlo, e ci riferiamo in particolare alla versione originaria datata 2009. Non che si trattasse di una brutta vettura, anzi, il tentativo di tradurre il profilo ed i volumi inconfondibili della 911 su di una “quattro porte” fu da subito considerato complessivamente riuscito, ma alcune soluzioni elaborate ed a tratti tormentate scelte dai designer facevano a tratti rimpiangere la pulizia e semplicità della concept di Lagaay. Poi, fortunatamente, è giunto il restyling del 2013, che con pochi e sapienti ritocchi ha messo quasi tutto a posto: in particolare i gruppi ottici, completamente nuovi, e lo stile dei paraurti rivisto hanno contribuito significativamente a snellire un po’ l’immagine dell’ammiraglia Porsche e ad avvicinarla maggiormente a quel concetto di “911 a quattro porte” che era l’obiettivo degli uomini Porsche fin dall’inizio. Va del resto riconosciuto che l’adozione di una carrozzeria tanto particolare e caratteristica, realmente da “coupé allungata”, non ha danneggiato in modo particolare l’abitabilità , che è assolutamente degna del segmento di appartenenza anche nella versione a passo “corto” messaci a disposizione (per i capi di stato c’è la “lunga” Executive, che però non prevede la motorizzazione Diesel). Sempre in tema di abitacolo, va ricordato che la Panamera è stata in questo comparto particolarmente significativa, dato che è proprio con questo modello che Porsche ha inaugurato il motivo della plancia centrale “a rampa” ormai diffusosi su tutti i modelli della gamma. Una soluzione che non piace a tutti ma che, oltre ad essere indubbiamente scenografica, ha il pregio indiscusso di concentrare in una superficie molto ridotta tutti i sottosistemi di utilizzo frequente: climatizzatore bizona, gestione delle sospensioni, del cambio e della dinamica di guida e sistemi di sicurezza attiva. Davanti a tutto ciò, a centro plancia, fa bella mostra di sé lo schermo touch da 7″ del Porsche Communication Management, che tra le altre cose può integrare, a richiesta, l’impianto audio Burmester da 16 altoparlanti e 1.000 Watt di potenza RMS. La locuzione “a richiesta”, se adeguatamente assecondata con le dovute conseguenze sul conto in banca, consente poi di sbizzarrirsi ampiamente, sia sul piano del comfort di bordo puro e semplice (con il clima quadrizona, ad esempio) che sul fronte della sicurezza attiva, grazie al cruise control adattivo, al sistema di controllo dell’angolo cieco ed al sistema perimetrale di telecamere, in grado di proiettare sullo schermo centrale una vista dall’alto di tutto ciò che si trova intorno alla vettura. Resta, certo, il fatto che su di una vettura da 100.000€ certi accessori – ormai offerti a prezzi stracciati sulla maggioranza delle segmento C – dovrebbero essere di serie, ma del resto non siamo davanti a nulla di nuovo: da anni le case premium tedesche in generale, e Porsche più di tutte, drogano i listini delle loro vetture con caterve di accessori costosi quanto di fatto irrinunciabili. Parafrasando un vecchio adagio, non ci resta che concludere: “se la gente continua a comprarle, evidentemente va bene così”.
RICETTA MISTA
Per quanto riguarda la struttura portante, la Panamera è allineata alla filosofia della struttura multi-materiale, oggi sposata da tutti i principali costruttori premium tedeschi. L’idea di base è quella di adottare, per ciascun modulo o area della scocca, il materiale che può garantire il miglior compromesso tra rigidezza, peso e costo. Nella fattispecie, per la Panamera ciò ha significato un uso estremamente esteso dell’alluminio, in percentuali precedentemente mai viste nella gamma Porsche: in lega leggera è infatti realizzata non solo tutta la pelle esterna delle portiere e dei cofani, ma anche la loro struttura interna, nonché – cosa più significativa – gran parte della zona anteriore del telaio, inclusi i longheroni principali, la culla inferiore ed i duomi sospensioni. Resta realizzata in acciaio, perlopiù con leghe ad alta ed altissima soglia di snervamento, l’intera cellula di sopravvivenza dell’abitacolo, nonché la regione posteriore della scocca che presenta geometrie di stampaggio particolarmente complesse e profonde, difficilmente realizzabili con l’alluminio. Infine vi è anche una moderata ma nobile dose di magnesio: con questo materiale sono infatti realizzati i telaietti interni alla struttura delle portiere, per un risparmio di peso senz’altro minimale ma, oggigiorno, anch’esso importante.
Tornando poi a parlare di alluminio, va precisato che questo materiale spadroneggia un po’ ovunque nel comparto sospensivo, che prevede quadrilateri deformabili all’anteriore ed il solito, ormai immancabile “multilink” al retrotreno, schemi “nobili” che rappresentano del resto il minimo sindacale per un’ammiraglia di questo livello, a maggior ragione se intrisa di una forte connotazione sportiva come lo è la Panamera. Ciò che semmai fa storcere il naso è, ancora una volta, il “braccino corto” degli uomini Porsche che, sulle versioni “base”, si limitano ad offrire normali gruppi elastici con molle elicoidali in acciaio ed ammortizzatori bitubo a taratura fissa: va bene prevedere diversi livelli di allestimento, ma a nostro avviso almeno gli ammortizzatori a smorzamento controllato elettronicamente (il cosiddetto sistema PASM) sarebbero dovuti essere di serie su tutta la gamma. Non si tratta di un nostro problema, comunque, dato che la nostra “Diesel” è equipaggiata di tutto punto e dispone addirittura delle sospensioni ad aria, che oltre ad integrare le funzioni di smorzamento variabile del PASM sono in grado di gestire in modo continuo l’altezza da terra, riducendola anche di 25 mm in modalità “Sport Plus” ed in generale variandola in continuo sulla base della velocità . Il vero asso nella manica della super-berlina Porsche è però costituito dall’ennesimo sottosistema, in questo caso previsto di serie sulla sola “Turbo” e mantenuto optional per tutti gli altri modelli, proprio al fine di comunicarne l’esclusività . Parliamo del PDCC, o Porsche Dynamic Chassis Control, in pratica un pacchetto tecnico comprendente le barre antirollio attive, in grado di contrastare pressoché totalmente il rollio in curva, ed il differenziale posteriore con funzione “torque vectoring”, lo stesso disponibile da qualche anno anche per la Cayenne ed in grado, tramite una coppia di treni epicicloidali accoppiati alle uscite del differenziale posteriore, di modificare il rapporto di trasmissione del differenziale stesso rendendolo “asimmetrico” e indirizzando, di conseguenza, un maggiore flusso di coppia alla ruota desiderata. Trattasi naturalmente di un esborso non indifferente, che però alla prova dei fatti ci sentiamo di consigliare caldamente, dato che questi due dispositivi sono in grado, da soli, di trasformare la dinamica di quella che – per quanto precisa e relativamente affilata – è comunque una grossa berlina in quella di una sportiva vera, in grado di regalare Divertimento con la “D” maiuscola.
MECCANICA D’AUTORE
Il contenuto di maggiore interesse della nostra Panamera resta comunque quello nascosto sotto il cofano. Beninteso, non tanto per la sua natura di turbodiesel: ormai di acqua sotto i ponti dai tempi del primo Cayenne Diesel ne è passata parecchia, ben sette anni, ed il motore ad accensione spontanea è stato totalmente “sdoganato” anche nei segmenti più alti del mercato, al punto che oggigiorno capita di trovarne persino nel vano motore di qualche Maserati. Anche in un mercato ormai saturo di unità a gasolio eccezionali per potenza, silenziosità ed efficienza, il “tre litri” V6 di Porsche ha qualcosa di interessante da dire, in primo luogo in ragione della sua potenza specifica, che con 300 CV erogati è pari a oltre 100 CV/litro ed estremamente elevata per un’unità mono-turbo, mentre la coppia massima è pari a 650 Nm a 1.750 giri/min. Rispetto alla precedente edizione di questa unità , che a parità di cilindrata arrivava ad erogare solo 250 CV, le novità introdotte sono state parecchie, al punto che è possibile parlare di un motore di fatto nuovo: albero motore, bielle e pistoni sono infatti stati riprogettati da zero, così come è completamente rivisto il circuito di sovralimentazione, che si vale di una turbina maggiorata, di una pressione di sovralimentazione particolarmente alta (passata da 1,5 a 2 bar) e soprattutto di un raffinato intercooler aria-acqua, in luogo della precedente e ben più convenzionale soluzione aria-aria. Tra le altre cose, il fatto di essere riusciti ad incrementare la coppia del propulsore lungo tutto l’arco di funzionamento ha consentito di allungare i rapporti del cambio riuscendo a recuperare qualcosa anche sul fronte del consumo, che si conferma in effetti essere il più contenuto della gamma Panamera – più basso anche di quello della versione ibrida – e pari a soli 6,4 l/100 km nel ciclo combinato NEDC. Infine, una citazione la merita anche il cambio, che – attenzione – sulla “Diesel” non è il PDK proprietario di Porsche ed equipaggiante le versioni a benzina, bensì il più convenzionale, ma non per questo meno valido, Aisin Tiptronic S. Questa trasmissione, siglata TL-80 SN, si distingue in particolare per le sue ridotte dimensioni e peso a dispetto della complessa meccanica di cui dispone, e mostra eccellenti doti di fluidità , scorrevolezza e velocità di cambiata, con quest’ultima a livelli non troppo dissimili da quelli di un buon “doppia frizione”. In definitiva il compromesso giusto per quella che è, in ultimo, pur sempre l’ammiraglia della casa.