E’ questo, in estrema sintesi, l’interrogativo a cui il seminario tenutosi nell’Auditorium del grattacielo Intesa San Paolo di Torino ha voluto rispondere. Organizzatore dell’evento è stato il Gruppo Componenti dell’ANFIA, l’associazione che rappresenta tutto mondo imprenditoriale italiano legato all’automotive. Una discussione estremamente interessante sia per i temi trattati sia per l’esposizione ricca di contributi tecnici, statistici e propositivi effettuata da tutti i relatori invitati. Fondamentale nella comprensione dei successivi interventi è stato il breve bilancio del settore illustrato in apertura da Giuseppe Barile, presidente del Gruppo Componenti ANFIA: nel 2015 il fatturato complessivo è stato di 39G€ con un export di 19,91G€ e una bilancia commerciale pari a 5,8 G€. Nel 2016 l’export è salito a 19,97 G€ (+0,3%) e il saldo della bilancia è di 5,5 G€ (-0,3%). Dunque una sostanziale tenuta che per il 2017 dovrebbe virare verso una moderata crescita produttiva per effetto del trend positivo nelle immatricolazioni. Ma è indubbiamente verso l’internazionalizzazione che ANFIA e gli osservatori guardano con maggiore ottimismo. I mercati maggiormente ricettivi sono al di fuori dell’Europa ed è lì che si devono cercare nuove opportunità , localizzando la produzione dove c’è la richiesta di maggiore mobilità individuale. E in questo contesto si è inserito l’intervento di Georges Bui del Gruppo PSA che riferendosi ai mercati sui quali ha operato direttamente per conto del colosso francese, ovvero il Middle East e l’Africa, ha esordito ribadendo come il CKD sia pressochè defunto a favore di una localizzazione anche dei componentisti nei luoghi di assemblaggio delle vetture. Questo porta un positivo travaso di competenze che si possono poi positivamente ribaltare nell’importazione in Europa di componenti di costo fortemente concorrenziale e di qualità comparabile coi nostri standard. Un mercato senza dubbio importante è quello iraniano dove con 8M di abitanti presto si arriverà a una produzione annua di 2M di veicoli. L’esperienza di PSA su quel mercato indica una grande richiesta di partner, tanto che sono già in essere un paio di joint venture tra Peugeot e Iran Khodro e Citroen e SAIPA (storico partner fin dai tempi della Dyane, costruita su licenza) per arrivare a produrre 400k veicoli all’anno con una localizzazione della componentistica superiore all’80%. Per il 2025 si prevede una produzione di 8M di veicoli tra Middle East e Africa e il gruppo PSA, oltre alle JV citate, ha avviato le richieste di offerta da fornitori locali e lanciato un paio di nuovi impianti in Marocco (nella strategica area di Kenitra, che dista poche decine di chilometri dalla costa spagnola) e Algeria. In questi Paesi i governi offrono interessanti incentivi a chi porta tecnologia, poiché c’è grande bisogno di crescita: ad oggi, infatti, prevedere oltre il 50% di localizzazione in quelle aree è, secondo PSA, ancora impossibile.
Più focalizzato sui trend tecnologici ed evolutivi del settore automotive l’intervento di Virgilio Cerutti di FCA che ha esordito documentando il costante aumento della densità di vetture sul pianeta, che si ipotizza arriverà dalle attuali 5,7 persone/auto a 3,5 persone/auto nel 2050, col conseguente forte incremento dei volumi produttivi. Ma dove si produrrà ? Dividendo il mondo in 4 macro aree è interessante notare come tra il 2016 e il 2025 in Europa e NAFTA (Stati Uniti, Canada e Messico) le vendite rimarranno pressochè stabili (circa 17M unità /anno) con una vettura ogni 2 persone (1,3 per NAFTA). Al contrario, le aree di maggior espansione saranno la Cina, con un tasso medio di crescita delle vendite del 5% circa e l’America latina (con in testa il Brasile) con l’8% circa. Va sottolineato che nel 2025 in queste 4 aree si prevede siano vendute quasi 80M di vetture. Il mercato più competitivo resta l’Europa dei 28, con le Case che hanno la più estesa gamma di modelli, tutti con alto contenuto tecnologico per effetto anche delle evolute normative che impongono standard elevati, mentre le crescite maggiori in termini di auto per abitante e di vendite e produzione avverranno in Cina e nell’America latina. Venendo agli aspetti più tecnici, i futuri trend saranno focalizzati su emissioni di CO2, sicurezza e connettività , due aspetti, questi ultimi, che di intersecano per offrire gli strumenti necessari a sviluppare i sistemi di guida autonoma. Per quanto riguarda le emissioni il 2020 segnerà il raggiungimento di limiti minimi particolarmente in Europa (<100 gr/km) e Giappone, mentre Cina e USA scenderanno a questi limiti nel corso del quinquennio successivo. E’ dunque evidente che con questa prospettiva la cosiddetta ‘green mobility’ sarà una necessità e lo ‘zero emission’ diverrà il target dei grandi centri metropolitani del futuro. Ma in quest’ultimo contesto, secondo FCA, pensare di passare dal monopolio ormai secolare degli idrocarburi a quello del litio è un esercizio intellettuale ardito che comporta non pochi rischi.
Meglio differenziare la fonte di energia su più soluzioni, come profetizzato fin dagli anni ’70 da Fiat col TotEM e ulteriormente sviluppato da FCA negli ultimi anni col software Flexfuel di Magneti Marelli che consente l’utilizzo di quattro diversi carburanti, etanolo, metanolo, miscela benzina-etanolo e gas naturale, sul medesimo motore. Una tecnologia di cui l’azienda italo-americana è oggi leader e che ha ricevuto ulteriore impulso dall’accordo firmato nel 2015 tra FCA, Iveco, Magneti Marelli e la IFCI (Israeli Fuel Choices Initiative) che ha portato alla recente presentazione in Israele della Fiat 500 M15, una vettura conforme alla Euro6 in grado di funzionare anche con una miscela composta per l’85% da benzina e per il 15% da metanolo, secondo il protocollo M15 emesso dal Ministero dei Trasporti israeliano, il primo a standardizzare l’uso di questo tipo di miscela nel rispetto della Euro6.  Il vantaggio dell’uso del metanolo rispetto all’etanolo è che quest’ultimo, essendo un prodotto bio tende a essere instabile mentre il primo, essendo sintetico, e più stabile e dunque facilmente maneggiabile e stoccabile. FCA non trascura poi l’ibrido nella declinazione plug-in: ne è dimostrazione tangibile Chrysler Pacifica, un monovolume sul quale sono state applicate, oltre alla trazione elettrica, tutte le più recenti tecnologie appena descritte e che andrà ad arricchire la flotta della Waymo, la società creata da Google, da anni impegnata nel sostegno dello sviluppo della guida autonoma. Come si vede i player in questo settore non sono più soltanto gli storici colossi dell’automotive ma sulla scena si stanno affacciando anche nuovi concorrenti. Sull’onda della sempre più importante presenza di hardware e software che gestiscono i sistemi di sicurezza delle vetture, anche le grandi multinazionali della Silicon Valley, come la Blackberry, si stanno affacciando verso il mondo automotive. Un approccio che però non è del tutto scontato, ha concluso Cerutti, poichè un ruolo fondamentale nel successo del prodotto lo svolge la sua industrializzazione e soprattutto il controllo del processo, uno know-how che richiede una enorme esperienza specifica e che espone chi proviene da altre culture industriali a grossi rischi. E’ peraltro notizia recentissima che il market cap di Tesla ha superato quello di Ford e non è distante da quello della General Motors, segno inconfutabile  del cambio di rotta in corso, cui i componentisti europei e italiani devono prestare la massima attenzione. A chiuso i lavori il ‘padrone di casa’ ovvero il Presidente del CdA di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro che ha posto l’accento sul nuovo ruolo che le banche devono assumere in questo scenario, ovvero evolversi da semplice istituto di credito a partner che affianca l’impresa nel raggiungimento degli obiettivi. Intesa Sanpaolo è particolarmente attiva nel settore automotive, con investimenti che nel 2016 sono stati del 32% superiori a quelli del 2015. Le imprese privilegiate sono quelle chi investono nell’innovazione, depositano brevetti (un’attività cui colpevolmente gli italiani sono poco attivi, pur avendone i requisiti, e  che ci penalizza nel ranking dei Paesi più avanzati) e soprattutto sono ‘performanti’, ovvero in grado di onorare la fiducia accordata. In questo contesto le aziende del settore automotive sono, rispetto ad altri settori, decisamente virtuose: il 96% di esse risulta infatti ‘in bonis’, ovvero in perfetta media europea, a fronte invece di una media nazionale che vede al 16% le aziende ‘non performanti’ e dunque a forte rischio per gli istituti bancari. Un altro punto fondamentale è che la fiducia a un’impresa è data anche in base alla filiera di appartenenza e soprattutto al capofiliera, cui viene richiesta non tanto una copertura di garanzia (ci mancherebbe!) ma una semplice referenza.
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