Più motori turbo per il futuro

Più motori turbo per il futuro

Più motori turbo per il futuro – Ce li ricordiamo tutti i motori turbo degli anni ’80! A partire da quelli di casa nostra, per finire con i prodotti dei cugini d’Oltralpe. Chi non si ricorda le Uno Turbo i.e., le Punto GT, le Renault 5 Gt Turbo o le Sierra e le Escort Cosworth? Erano motori che davano grandi soddisfazioni. C’era anche qualcuno che li elaborava per raggiungere potenze allora considerate stratosferiche. Anzi, a pensarci bene, erano in tanti a metterci le mani per far salire le pressioni di esercizio e immancabilmente mandare in frantumi l’intero manovellismo. Beh, i turbo di oggi sono ben altra cosa. Forse meno entusiasmanti, ma sicuramente più intimi e gentili nei confronti del nostro caro vecchio motore a combustione interna. Ma non per questo meno efficienti. Anzi. A piegarsi al verbo del turbo sono ormai in tanti. Anche Porsche ha ceduto con il suo sei cilindri piatto montato sulla 911. C’era da stupirsi? No, rispondiamo noi. Assolutamente. E allora sorge naturale e spontanea la domanda: cos’è che ha permesso tutto questo? Cosa è cambiato in tutti questi anni e quali sono le conquiste che hanno permesso di rendere così amiche due macchine così diverse, in tutto e per tutto? Anche in questo caso la risposta non è difficile, ma mettere tutto nero su bianco, in modo ordinato, può aiutarci a capire perché il futuro sarà costruito e popolato di motori turbo.

Più motori turbo per il futuro
Turbocompressore con turbina a geometria variabile. Le palette dello statore si orientano per diminuire o aumentare la sezione di ingresso a seconda della portata di gas in uscita dal motore.

Sezioni di ingresso variabili
I gas che fuoriescono dal motore finiscono, secondo un percorso che procede radialmente dall’esterno verso l’asse, sulle palette della turbina che, a sua volta, grazie al collegamento rigido con il compressore mette in rotazione la girante di quest’ultimo. Bene. A bassi regimi, la portata dei gas in uscita dal motore è troppo bassa per trasferire la giusta energia. Avendo il gruppo di sovralimentazione una certa inerzia, si riscontra quello che è noto in gergo come turbo-lag. La soluzione? Sulla carta è semplice, si passa ai turbocompressori con geometria variabile. In pratica, la parte statorica del gruppo turbina modifica le proprie sezioni di ingresso per sfruttare il principio di conservazione dell’energia e imprimere alla carica una maggiore forza di impatto. Si tratta di una definizione poco tecnica, ma che dovrebbe rendere l’idea. Mano a mano che le portate salgono, le sezioni vengono ampliate fino a portarle al loro massimo valore. Il problema vero è rappresentato dalla realizzazione di sistemi a geometria variabili per i motori a benzina che lavorano a temperature sensibilmente più alte dei propri fratelli a gasolio. Nella pratica abbiamo già visto applicazioni di questo tipo con il potentissimo 2.0 litri AMG, l’M133, che al massimo delle sue prestazioni ha un gruppo di sovralimentazione capace di viaggiare a oltre 1 bar di pressione relativa. Per il futuro si parla di sistemi capaci di incrementare ulteriormente la pressione di lavoro, fino a a raggiungere 1.4/1.5 bar, sempre di pressione relativa. Ricordiamo, infatti, che molte volte, anche alcuni operatori del settore confondono i valori di pressione assoluta con quelli di pressione relativa. È solo questione di convenzioni, ma sappiate che oggi giorno, un turbo che lavoro con picchi di pressione relativa prossimi a 1.5 bar è sicuramente un turbo di ultimissima generazione, capace di sopportare condizioni termomeccaniche esasperate con velocità di rotazione prossime anche ai 300,000 giri/min (trecentomila giri al minuto)

L’asso nella manica: il raffreddamento
Un gruppo di sovralimentazione di un motore a benzina moderno può raggiungere e superare i 1,000 °C. Il lato freddo, ovvero quello del compressore centrifugo, è quello con le temperature più basse. Il lato caldo, quello della turbina, è invece la zona capace di raggiungere temperature di esercizio come quella indicata poco sopra. In ogni caso, l’aria spinta verso i cilindri si scalda parecchio e ciò rende necessario un suo raffreddamento al fine di aumentarne la densità. Ma non solo. Una carica troppo calda può essere la ragione che porta a detonazione e

AMG Motor  ( M157 ) 2010
Sistema di sovralimentazione del motore M157 di AMG. In colore azzurro il lato freddo, in colore rosso quello caldo. Si noti l’intercooler all’uscita del compressore.

alla produzione di ossidi di azoto, tanto odiati, soprattutto di questi tempi dopo le vicende che hanno coinvolto i motori del DieselGate. Esistono due modi per abbattere le temperature di esercizio e quindi gli ossidi di azoto: uno già noto da tempo, ma pur sempre migliorabile, un altro di recente introduzione nel settore automotive che si occupa di veicoli costruiti in serie. Nel primo caso stiamo parlando dei noti intercooler, che possono essere di tipo aria/aria o aria/acqua. Nel secondo caso, invece, facciamo riferimento ad una tecnologia molto più nuova per il settore automobilistico delle auto da turismo: l’iniezione di acqua all’aspirazione. Qust’ultima metodica è già stata introdotta da BMW con la sua M4 GTS, tanto per citare un esempio, ma si tratta di un’idea già nota da parecchio tempo e utilizzata con grande beneficio nel settore aeronautico già durante la Seconda Grande Guerra.

Se non ce la fanno i gas… proviamo con l’energia elettrica!
Avrete sicuramente sentito parlare di turbocompressori con assistenza elettrica. Un sistema elettrico capace di mettere in rotazione l’albero delle giranti (compressore e turbina) è un’idea sicuramente interessante. Quando la portata dei gas è bassa, il motore elettrico si occupa di portare il turbo al corretto numero di giri, e questo in brevissimo tempo. Quando invece i gas in uscita sono in eccesso, situazione in cui la valvola wastegate dovrebbe operare con il suo lavoro di modulazione, facendo transitare parte dei gas direttamente allo scarico senza farli passare in turbina, potrebbero essere indirizzati allo stesso gruppo elettrico, dove un grande condensatore potrebbe immagazzinare l’energia da restituire attraverso il motore elettrico in una fase successiva in cui sarebbe richiesta la nuova accelerazione del gruppo di sovralimentazione. Se questo non fosse il caso, la stessa energia potrebbe essere veicolata in altro modo e in un’altra zona del motore, laddove potrebbe venir immagazzinata per essere sfruttata successivamente. A tal proposito sono stati fatti già degli esperimenti interessanti, ma ancora una volta ciò che per ora sta frenando questo genere di tecnologia è ancora il classico bilancio dell’energia.

Luftstrecke
Il motore V-6 TDI di Audi con compressore elettrico. In questo caso ad essere assistito elettronicamente è il lato di aspirazione, ossia il lato freddo.

L’unità elettrica associata al gruppo di sovralimentazione, infatti, assorbe ancora troppo energia, tanto che nel prototipo sviluppato da Audi sono stati misurati assorbimenti dell’ordine dei 10 CV. Sicuramente troppo, Ma non solo. La stessa corrente continua che dovrebbe alimentare questi motori non sarebbe sufficiente se generata da un impianto classico a 12 Volt. Nel cado proprio del prototipo Audi, infatti, il sistema funziona con tensione a 48 Volt.

Conclusioni
Gli aspetti che abbiamo toccato sino a questo punto non coinvolgono altre voci di importanza strategica, tra cui non dimentichiamo l’uso di materiali sempre più resistenti e sempre più leggeri. Ma il contributo nel settore dei materiali è una voce che, per quanto critica, abbiamo dato per scontata. Geometria variabile, iniezione d’acqua, scambiatori di calore ad elevatissima efficienza e con bassissime perdite di carico, così come l’assistenza elettrica sono le tecnologie che compariranno nel futuro dei motori turbo.

AMG Motor  ( M157 ) 2010
Il motore M157 di AMG. Siamo nel 2010. Si notino le dimensioni notevoli del gruppo di sovralimentazione di cui, in primo piano, vediamo la bocca di ingresso del compressore centrifugo.