Motore Alfa Romeo 2.2 turbodiesel 150, 180 e 210 CV: focus tecnico – Un propulsore innovativo e sofisticato che pur puntando su una sola unità di sovralimentazione non teme il confronto con le più moderne e blasonate unità motoristiche della concorrenza.
La nuova Alfa Romeo Giulia non eccelle solamente nella versione Quadrifoglio ma anche nella più tranquilla versione diesel. Sotto il cofano della berlina nostrana a nafta troviamo, infatti, una nuova unità 4 cilindri turbodiesel da 2.143 cm3 in grado di erogare una potenza massima da 150 fino a 210 CV e una coppia massima da 380 Nm fino a 470 Nm a 1.750 giri/min. Caratterizzato dal sistema d’iniezione Common Rail Bosch di ultima generazione MultiJet II con Injection Rate Shaping (IRS), iniettori a solenoide e pressione d’esercizio di 2.000 bar, il nuovo motore adotta un doppio albero a camme in testa con quattro valvole per cilindro e un rapporto di compressione di 15,5:1.
L’alesaggio per la corsa ha un valore di 83 x 99 mm, il monoblocco closed-deck con canne riportate è in alluminio, adotta una cinghia di distribuzione al posto della classica catena, ha un sistema di fasatura variabile a regolazione idraulica, si affida a una pompa olio a portata variabile e ha due alberi di bilanciatura controrotanti posizionati nel monoblocco e azionati da ingranaggi per ridurre rumori e vibrazioni. Il singolo turbocompressore Honeywell VNT (a geometria variabile) è integrato in un collettore di scarico isolato, ha una cartuccia per cuscinetti a sfere, un alloggiamento centrale raffreddato ad acqua e, per il motore da 210 CV, è dotato di un sensore di velocità del turbocompressore per consentire la massima pressione di spinta evitando il sovraccarico durante i transitori e gli alti regimi e per minimizzare i tempi di risposta assicurando, nello stesso tempo, vantaggi in termini d’efficienza.
Sul fronte delle emissioni, la non adozione del catalizzatore SCR e dell’additivo AdBlue ha spinto i progettisti a optare per un doppio EGR, uno di alta e uno di bassa pressione, entrambi raffreddati da affiancare al sistema di post-trattamento consistente in un assorbitore di NOx (NSC) e in un filtro DPF. Ma la vera particolarità è che questo nuovo motore è il primo propulsore a gasolio della storia del Biscione a essere costruito interamente in alluminio. Il precedente motore diesel era, infatti, costruito interamente in ghisa e con una cilindrata di 2.184 cm3 e una pressione d’iniezione di 1.600 bar riusciva a erogare 200 CV e 440 Nm a 2.500 giri/min. Il nuovo blocco di alluminio è stato per l’appunto prodotto con un processo di pressofusione a bassa pressione sviluppato dalla filiale Teksid della FCA e ha permesso di produrre un motore di 30 kg più leggero (solo 149 kg) della precedente versione in ghisa. Ma vediamo meglio quali sono state le innovazioni tecnologiche in questo motore.
Cuore in alluminio
Uno dei primi obiettivi per gli ingegneri italiani nella progettazione della nuova Giulia fu quello di riportare in auge le doti di sportività e di piacevolezza alla guida che contraddistinguevano le vetture del Biscione negli anni ’60 e ’70, vetture spinte da potenti motori e dotate di un’architettura a trazione posteriore. Per poter quindi assicurare le stesse doti dinamiche su una sportiva a trazione posteriore con motore diesel, gli ingegneri dovettero garantire un buon equilibrio dei pesi tra l’assale anteriore e quello posteriore ma per fare questo non si poteva fare affidamento sui motori diesel esistenti in quanto erano tutti propulsori con blocco di ghisa e quindi troppo pesanti.
Partendo quindi dall’unità cilindrica già esistente (2.2 litri da 200 CV), una unità buona dal punto di vista fluido e termodinamico, gli ingegneri progettarono una nuova struttura completamente in alluminio caratterizzata da un monoblocco closed-deck con canne riportate e da un sottobasamento. L’applicazione dell’alluminio a un motore turbodiesel ad alta potenza specifica non fu però per i progettisti una sfida facile. Le elevate temperature e pressioni in gioco, come i circa 200 bar della pressione di combustione, spinsero Alfa Romeo ad adottare numerosi e significativi accorgimenti di sviluppo sia nel processo di fonderia che nelle successive fasi di lavorazione. Il primo adeguamento fu la riduzione del alesaggio da 83.8mm a 83mm così da consentire un ponte inter alesaggio dello spessore di 7mm. Un tale valore fu scelto in quanto rappresentava il valore minimo per garantire l’affidabilità strutturale e il corretto raffreddamento di quest’area. Secondariamente si decise di optare per un processo di pressofusione a bassa pressione nell’ottenimento del basamento in alluminio.
Siccome il processo di pressofusione ad alta pressione (HPDC) non avrebbe permesso un post trattamento di indurimento termico allora la scelta ricadde sul processo a bassa pressione (LPDC) con una lega primaria ad alte prestazioni (AS7GT) e con un successivo trattamento T7 di indurimento e tempra così da ottenere una lega con elevate caratteristiche di resistenza meccanica. Altri accorgimenti furono quelli di mantenere la stessa linea di montaggio (Pratola Serra), dove venivano già assemblate le unità in ghisa, e di mantenere invariata la geometria di base del motore per poter riutilizzare la parte superiore del precedente propulsore. Per rispettare queste caratteristiche si realizzò nuovamente che il processo di pressofusione ad alta pressione (HPDC) non poteva essere utilizzato in quanto i bulloni erano molto vicini alle fodere del cilindro e l’inserto metallico del rivestimento avrebbe compromesso lo spessore della parete in quella zona e quindi la durata e l’affidabilità della struttura.
Un’altra importante scelta architettonica riguardò il passaggio dal design a gonna lunga con capellotti portanti dei cuscinetti del basamento inferiore in ghisa a una configurazione con sottobasamento e gonna corta. Una tale scelta si rivelò giustificata dalla migliore performance strutturale dei cuscinetti principali, con un fattore di sicurezza di affaticamento maggiore del 25%. Inoltre, il migliore comportamento vibrazionale e acustico (NVH) che ne conseguì, permise di compensare lo svantaggio teorico del basamento in alluminio rispetto a quello in ghisa. Il sottobasamento, invece, fu realizzato tramite il processo di pressofusione ad alta pressione (HPDC) e presentava cappellotti di banco in ghisa sferoidale co-colata, al fine di migliorare la resistenza e la rigidità strutturale e ridurre l’espansione termica delle sedi dei cuscinetti. La differente espansione termica tra il basamento in alluminio, i cappellotti di banco in ghisa e l’albero a gomiti in acciaio provoca, infatti, una significativa variazione di spazio tra l’albero a gomiti e i perni di banco durante l’intero ciclo termodinamico del motore.
Oltre a questo fenomeno, deve essere presa in considerazione anche la deformazione aggiuntiva della sede in alluminio dei cuscinetti, deformazione indotta dal serraggio del bullone e dall’accoppiamento del perno di banco. In definitiva, il processo di pressofusione a bassa pressione (LPDC) fu scelto anche perché, grazie al flusso laminare e al dolce riempimento degli stampi, assicurò le migliori proprietà meccaniche del materiale garantendo una porosità estremamente ridotta.
Questione di vibrazioni
La bontà di un propulsore non passa però solamente dalle prestazioni massime che questo è in grado di erogare ma anche dalla sua capacità di azzerare vibrazioni e rumori o di non generarne affatto fin dall’inizio. Proprio per eccellere anche sotto questo aspetto gli ingegneri del Biscione, già durante le prime fase di progettazione, analizzarono due diverse configurazioni per i contralberi di bilanciatura così da poter valutare quale fosse la migliore soluzione per il bilanciamento delle forze e coppie d’inerzia del secondo ordine. Inizialmente fu valutata una variante simile a quella già adottata dal precedente propulsore in ghisa ma secondariamente ci si concentrò su una particolare configurazione nella quale le sedi dei contralberi di bilanciatura erano inserite direttamente nel basamento. Inoltre, per entrambi le varianti si pensò a un azionamento tramite un sistema a ingranaggi lato volano così da minimizzare il trasferimento delle vibrazioni torsionali agli alberi e agli stessi ingranaggi.
Dopo un’attenta analisi si scoprì che la seconda soluzione trasmetteva minori vibrazioni ai supporti motore sopratutto agli alti regimi riducendo quindi la propagazione del rumore strutturale e offrendo un più elevato piacere nella guida sportiva. Inoltre, la scelta di dislocare i contralberi di bilanciatura direttamente dentro il basamento consentì di sfruttare l’effetto schermante delle pareti del blocco motore, per ridurre il rumore dell’aria generato dalla rotazione dei contralberi,e di ottenere una struttura nettamente più robusta e solida. Infine, il sistema di bilanciatura fu completato integrando un separatore centrifugo blow-by che, direttamente assemblato sull’albero laterale e dotato di un filtro, consentiva di ridurre il più possibile il passaggio o trafilamento di goccioline di olio motore.
Benvenuti cuscinetti
Sul fronte prettamente prestazionale i progettisti italiani, per raggiungere un tale livello di potenza (98 CV/litro), optarono per una sovralimentazione composta da un unico turbocompressore. Nello specifico si tratta di un turbo Honeywell GTD1752, un’unità VNT (Variable Nozzle Turbine), cioè una turbina a geometria variabile con 12 pale girevoli, girante del compressore in alluminio con 8 palette e girante della turbina con 11 palette. Il controllo della pressione di sovralimentazione fu ottenuto grazie a un attuatore elettrico sul lato della turbina e grazie a un sensore di velocità sul lato del compressore. L’integrazione di un sensore di velocità del turbocompressore (versione da 210 CV) permise di sfruttare al meglio l’unità in ogni condizione di lavoro. Questa unità di sovralimentazione è capace di raggiungere un regime massimo di 213.000 giri/minuto e fa registrare una temperatura massima di 830 °C in ingresso alla turbina. Valori raggiungibili grazie all’adozione di cuscinetti a sfera per l’alberino di collegamento turbina – compressore, che garantiscono minori attriti specie a freddo, e grazie ad un corpo centrale raffreddato ad acqua, che consente un perfetto ed ottimale controllo delle temperature in gioco.
Come dicevamo la scelta ricadde su una soluzione con cuscinetti a sfere a entrambe le estremità in luogo del classico sistema con cuscinetti tradizionali che contiene un set di cuscinetti a rulli e un cuscinetto a spinta. La motivazione fu la maggiore riduzione dell’attrito a tutte le temperature di funzionamento, sopratutto nelle fasi di avviamento del motore a freddo. Una tale riduzione dell’attrito è, infatti, garantita dai molti elementi in rotolamento all’interno dei cuscinetti che vanno a sostituire la sottile pellicola d’olio che normalmente troviamo nei turbocompressori con boccole. Questa maggiore riduzione dell’attrito rende possibile, infine, una più celere risposta del turbocompressore anche in quelle fasi di minore efficienza come in caso di un’improvvisa richiesta di potenza motore.
Ben due circuiti
Altra peculiarità di questo motore fu l’adozione di due distinti circuiti di raffreddamento sulle versioni più potenti da 210 CV e sulle versioni Eco da 150 CV. I motoristi Alfa Romeo pensarono, infatti, di adottare un circuito primario o principale che, alimentato da una pompa meccanica, garantisse il giusto quantitativo di fluido refrigerante alla testa del cilindro, al blocco motore e alle utenze secondarie come il circuito dell’olio, l’EGR di bassa pressione e il riscaldamento interno all’abitacolo. A questo circuito primario affiancarono un circuito secondario a bassa temperatura che, alimentato da una pompa elettrica ausiliaria, garantisse il giusto quantitativo di fluido refrigerante al cuscinetto del turbocompressore (raffreddato ad acqua), all’EGR di alta pressione e all’intercooler per il trattamento dell’aria compressa.
Non solo quindi furono adottati un efficientissimo intercooler e un turbocompressore, entrambi raffreddati ad acqua, ma vennero utilizzati due distinti vasi di espansione e, grazie alla pompa ausiliaria elettrica del circuito secondario, fu possibile attuare una precisa strategia di “cool down” del turbocompressore anche a motore spento così da preservarne più a lungo la sua integrità.
Niente SCR e AdBlue
Sul fronte delle emissioni inquinanti l’adozione dei due circuiti EGR, quello di alta e quello di bassa, consentì agli ingegneri della Casa automobilistica italiana di rispettare la stringente normativa antinquinamento Euro 6 senza dover adottare un catalizzatore SCR con tecnologia AdBlue. Entrambi gli EGR vengono raffreddati per consentire un abbassamento della temperatura di combustione così da ridurre ulteriormente la formazione di NOx e aumentare il rapporto aria-carburante. Nello specifico, nel circuito ad alta pressione una valvola motorizzata a corrente continua controlla il flusso dei gas di scarico prelevandoli dall’ingresso in turbina e reimmettendoli nel collettore di aspirazione. Questo primo itinerario di bypass per i gas di scarico da un aiuto alla strategia di contenimento delle emissioni inquinanti andando a ridurre l’emissione di CO e a impedire la formazione di depositi carboniosi quando il motore non è ancora entrato a regime dopo un avviamento a freddo.
Ora per le versioni a bassa potenza gli ingegneri definirono un circuito ad alta pressione esterno che, grazie a una pompa elettrica, assicura il flusso tra il radiatore dell’EGR di alta pressione e il radiatore principale anche durante la fase di warm-up (riscaldamento) nella quale il termostato rimane chiuso. Mentre per le versioni ECO e per quelle ad alta potenza, l’EGR ad alta pressione è raffreddato usando le basse temperature del sistema di raffreddamento secondario che consente in questo modo di mantenere le temperature di ogni componente sempre al di sotto dei 50°. A volte però il circuito dell’EGR di bassa pressione, per consentire il passaggio dei gas nocivi dall’uscita a valle del DPF fino all’ingresso a monte del turbocompressore, risulta eccessivamente lungo e ingombrante. Per questo in Alfa cercarono di rendere questo sistema il più compatto e corto possibile adottando una forma a T del sistema NSC + DPF e installandolo quanto più a ridosso dello stesso turbocompressore.