Si è discusso molto durante i primi mesi dell’anno riguardo alla notizia dell’introduzione del limite di 30 km/h in alcune aree urbane nel comune di Bologna. Non è una novità, si tratta infatti di una norma già introdotta in molti altri paesi europei ed esistono statistiche sull’efficacia a riguardo, anche se, come vedremo, ogni città e ogni Paese fa storia a sé. Leggendo le tante pubblicazioni scientifiche che riguardano il tema della sicurezza stradale, uno dei dati più sorprendenti è il fatto che la maggior parte degli incidenti con feriti e morti avvengono in aree urbane ed extraurbane, contrariamente a quanto sarebbe più logico pensare. Quando infatti si pensa ai gravi incidenti, la mente va subito alle autostrade e alle alte velocità, ma poi si scopre ben presto che il contesto dove occorre prestare più attenzione sia quello urbano. Oggi, nelle città, l’auto non è più la protagonista delle strade e condivide lo spazio non solo con altri veicoli a motore come autobus o motociclette, ma anche e soprattutto con pedoni, biciclette, biciclette elettriche, monopattini. Come visibile dalle statistiche ISTAT, i numeri di incidenti con morti e feriti sono in aumento negli ultimi anni, specialmente nelle aree urbane. Esiste quindi un problema concreto, che va affrontato agendo nel migliore dei modi, non solo attraverso la riduzione del limite di velocità. In questo articolo analizziamo il problema in modo statistico e ingegneristico, mettendo in luce quali possono essere le soluzioni da mettere in atto per ridurre gli incidenti, spesso mortali, nei centri urbani.
Visibilità e spazi di arresto
Uno dei modi più efficaci per ridurre la probabilità di un incidente in un contesto urbano, quando la traiettoria si incrocia, è aumentare la distanza di visibilità alla quale i due utenti iniziano a vedersi. Se il conducente di un’auto vede un pedone avvicinarsi a un passaggio pedonale da lontano avrà più tempo per reagire e adattare la propria velocità o addirittura fermarsi, rispetto al conducente che vede il pedone all’ultimo secondo. I primi concetti da introdurre sono quindi la distanza visiva o Sight Distance (SD), ovvero quanto lontano il guidatore riesce a vedere davanti a sé, e la distanza di arresto o distanza visiva di arresto (Stopping Sight Distance – SSD), cioè la distanza percorsa includendo il tempo di reazione e l’effettiva decelerazione. Per potersi fermare in tempo, la distanza visiva deve essere maggiore della distanza visiva di arresto:
SD > SSD
La distanza visiva di arresto si ricava come la somma di due distanze, quella percorsa durante il tempo di percezione e reazione del guidatore (dp) e quella effettivamente impiegata durante la frenata del veicolo (df). Le due distanze possono essere scomposte attraverso questa equazione:
Dove V è la velocità del veicolo in km/h, “Tr” è il tempo di percezione e di reazione del guidatore in secondi, Fl è il coefficiente di aderenza longitudinale impiegato nella frenata (valori prossimi a 1 significano una frenata al massimo dell’aderenza disponibile, cioè una frenata di emergenza).
Sotto sono indicati alcuni esempi di distanza di visiva di arresto, considerando un tempo di percezione e reazione che può arrivare fino a 2 a 2,5 secondi (come dimostrato nello studio del 2018 “A Policy on the Geometric Design of Highways and Streets” dell’American Association of State Highway and Transportation Officials), e una decelerazione media di 0.4 g , cioè quella che un utente medio solitamente mette in pratica, per frenare il proprio veicolo in modo deciso ma controllato, prima di raggiungere un ostacolo che si trova sul suo cammino sulla carreggiata. Il guidatore può sempre mettere in pratica una frenata di emergenza, riducendo mediamente del 30-35% la distanza di arresto in frenata (df), ma non la distanza percorsa durante la fase di “percezione” (dp).
Problema infrastrutturale
La distanza visiva di arresto (SD), primo termine della disequazione SD>SSD, fa intravedere il primo problema, che è quello infrastrutturale. Nelle nostre città troviamo numerosi esempi in cui la progettazione degli attraversamenti pedonali non è adeguata. Spesso, infatti, non consente una distanza visiva sufficiente elevata tra il pedone (o un qualsiasi altro utente che attraversa la strada) e il conducente del veicolo a motore. Girando per le nostre città, non è raro trovare attraversamenti posizionati in corrispondenza di ostacoli (cespugli, alberi, cartelloni pubblicitari, raccoglitori dei rifiuti), di restringimenti della strada, o di parcheggi a bordo carreggiata. Gli attraversamenti pedonali dovrebbero inoltre essere posizionati in modo più strategico, lontano da curve o incroci. Se un attraversamento fosse troppo vicino a una curva, i conducenti potrebbero non essere in grado di vedere i pedoni in tempo. Queste accortezze nel progettare le strade e gli attraversamenti è uno dei punti che dovrebbero affrontati, attraverso azioni da parte dei legislatori locali o, meglio ancora, tramite lo sviluppo di normative comunitarie a livello europeo.
Nel 2011 l’ACI ha pubblicato uno studio “Linee Guida per la progettazione degli attraversamenti pedonali” frutto dell’esperienza come promotore e capofila nell’EPCA–EuroTEST, il programma internazionale per la sicurezza che coinvolge 18 Automobile Club di 17 Paesi. Lo studio dell’ACI ha promosso un innovativo know-how per la progettazione e la realizzazione degli attraversamenti pedonali, basato sull’analisi delle migliori esperienze europee e finalizzato all’incremento della sicurezza dei pedoni. L’obiettivo è stato anche quello di gettare le basi per la definizione di criteri uniformi per la normativa europea sugli attraversamenti pedonali: stesse regole per tutti, dai progettisti ai costruttori fino agli stessi pedoni.
Frenata automatica e altri dispositivi
Ritornando alla precedente disequazione, tanto semplice quanto efficace, la distanza visiva deve essere sempre maggiore alla distanza visiva di arresto (SD > SSD). Oltre ad aumentare la Distanza Visiva (SD), modificando la progettazione delle strade e delle infrastrutture, possiamo provare a ridurre la distanza percorsa durante il tempo di percezione e reazione (df), quindi diminuendo la SSD. Sebbene questo obiettivo sia storicamente correlato alla guida del conducente (attenzione, tempo di reazione, età, stanchezza), oggi dipende sempre di più anche dal veicolo. Le autovetture più moderne incorporano infatti i sistemi di frenata automatica di emergenza, sempre più evoluti e che intervengono anche a velocità urbane. Tali sistemi permettono per esempio di ridurre di quasi 17 metri la distanza percorsa a 30 km/h durante il tempo di reazione e percezione o di quasi 28 metri quelli percorsi partendo da 50 km/ora.
Si rende quindi necessario accelerare il più possibile l’integrazione dei dispositivi di frenata automatica di emergenza (AEB) nel parco circolante. Per fare ciò, occorre incentivare l’acquisto di vetture più moderne, visto che il dispositivo è obbligatorio per legge a partire da luglio 2022 per tutti i veicoli di nuova omologazione. La direttiva europea non riguarda solo il dispositivo di frenata automatica, ma anche il sistema di mantenimento di corsia, il monitoraggio della stanchezza del conducente e il rilevamento automatico dei limiti di velocità. Gli incentivi statali potrebbero quindi essere mirati non solo alla riduzione dell’emissione delle sostanze inquinanti ma anche alla semplice riduzione dell’età del parco circolante, con effetti immediati sulla diminuzione degli incidenti stradali. I dati ACI del 2023 ci informano che le auto in Italia hanno mediamente più di 12 anni, cifra addirittura in aumento rispetto all’anno di rilevazione precedente. Quando ci sarà una buona introduzione di veicoli moderni dotati di dispositivi di guida autonoma almeno di Livello 2, la curva statistica di incidenti e di morti, specialmente nei contesti urbani, è fisiologicamente destinata a scendere.
Effetti della riduzione della velocità da 50 km/h a 30 km/h
All’interno della definizione di SSD troviamo ovviamente la velocità, anche in termini esponenziali. È quindi evidente e ovvio che la riduzione della velocità dei veicoli vada a vantaggio della sicurezza. Esistono diversi studi scientifici che analizzano l’influenza della velocità urbana sulla probabilità che si verifichi un incidente e sulla sua severità. La velocità è stata identificata come un fattore chiave negli incidenti stradali mortali che influenza sia la probabilità di un incidente che la sua gravità, come per esempio dimostrato dallo studio del 2006 “Driving speed and the risk of road crashes: A review di Aarts, L. e Van Schagen I.” Analizzando diverse pubblicazioni ci si rende conto anche della difficoltà di mettere in relazione diretta la velocità di un veicolo con la probabilità che un pedone muoia se investito da quel veicolo. In Spagna, nell’ambito della campagna di informazione della Direzione Generale del Traffico (DGT) sulla sua misura principale di riduzione della velocità da 50 km/h a 30 km/h, si indica che in caso di investimento a 30 km/h la probabilità di morire è del 15% e dell’85% quando la velocità sale a 50 km/h (DGT, 2021). Studi più vecchi come Bonanomi (1990) offrono valori simili come indicato nella tabella 6.
“Pedestrian injury mitigation by autonomous braking di Rosen E.” del 2010 ha indicato che il rischio di mortalità a 50 km/h è più del doppio superiore al rischio a 40 km/h e più di cinque volte superiore al rischio a 30 km/h. La probabilità di sopravvivenza e la gravità delle ferite non dipendono solo dalla velocità del veicolo. Altri fattori ricorrenti, che abbiamo riscontrato in diverse pubblicazioni, sono l’età del pedone, il tempo di risposta dei soccorsi o il tipo di veicolo. A tal proposito, uno dei paper più recenti è del 2019: “The relationship between impact speed and the probability of pedestrian fatality during a vehicle-pedestrian crash: a systematic review and meta-analysis di Hussain, Q.; Feng, H.; Grzebieta, R.; Brijs, T.; Olivier, J.”. Questo studio ha inoltre indicato che anche la tipologia di veicolo incide moltissimo e che gli Sport Utility Vehicles (SUV) e i van presentano un rischio di mortalità più elevato in caso di incidente rispetto alle autovetture.
C’è anche chi ha provato a mettere in relazione la probabilità che un incidente sia fatale con l’età del pedone e la velocità del veicolo. Ad esempio, per i pedoni di età superiore a 15 anni, uno studio del 2009 “Pedestrian fatality risk as a function of car impact speed di Rosen, E.; Sander, U.” ha proposto la seguente funzione di rischio di mortalità pedonale (P), dove P è la probabilità di morte del pedone di età A colpito da un veicolo a motore che circolava alla velocità V (Km/h).
Un paper del 2013 “Impact speed and a pedestrian’s risk of severe injury or death di Tefft, B.C.” ha dimostrato invece come il rischio medio di morte per un pedone di 30 anni investito ad una data velocità è simile al rischio di morte per un pedone di 70 anni investito dalla stessa vettura ad una velocità 19 km/h più lenta. Oltre all’età del pedone, all’interno dell’ambiente urbano sono state analizzate anche altre variabili come l’altezza, il peso, il sesso o l’indice di massa corporea, anche se queste sembrano avere meno influenza rispetto all’età.
Attenzione ai risultati degli studi
Quando si analizzano gli studi sulla sicurezza stradale occorre sempre tenere a mente alcuni parametri che possono influenzare sensibilmente i risultati. Per esempio, l’anno dello studio: quelli condotti molti anni fa non considerano i miglioramenti nella progettazione dei veicoli o il miglioramento delle procedure di assistenza dei feriti. In questi casi, questi modelli portano a tassi di mortalità più elevati rispetto a quelli reali. Il secondo parametro a cui prestare attenzione è la distribuzione dell’età della popolazione. Le regioni o le città dello stesso paese con una popolazione più anziana avranno statisticamente tassi di mortalità superiori alla media del paese. Ma anche l’età media dei veicoli e la tipologia di veicoli circolanti è importante, le città con percentuali più alte di SUV e percentuali più basse di citycar presentano un rischio di mortalità più elevato.
30 km/h: non è l’unica cura
La regola di base con la quale si può concludere è che per diminuire le probabilità di incidenti nelle aree urbane è necessario aumentare la distanza visiva (SD) tra i veicoli a motore e gli utenti vulnerabili della strada, in modo che entrambi abbiano più tempo per reagire e prendere decisioni, e diminuire al tempo stesso la distanza di arresto (SSD). La riduzione della velocità limite da 50 km/h a 30 km/h nei centri urbani è certamente un intervento drastico ed efficace con effetti immediati sulla sicurezza, come dimostrato da molti studi, ma non può essere considerato come una soluzione a lungo termine e definitiva, né estendibile a tutte le aree urbane. Per poter mantenere l’efficacia del limite ed essere certi che venga rispettato occorrerebbe innanzitutto un controllo continuo e capillare tramite apparecchiature di rilevamento della velocità, con sanzioni in caso di infrazioni, in tutte le aree, scenario che è pressoché impossibile nonché molto dispendioso. Inoltre, non è possibile né consigliato applicare la riduzione della velocità a 30 km/h a tutte le aree urbane. In alcune zone, infatti, una maggiore velocità aiuta a reindirizzare rapidamente il flusso veicolare verso le zone meno trafficate e meno abitate, evitando le congestioni e l’aumento del traffico. È quindi necessario agire con interventi più radicali e duraturi. Il primo è quello del miglioramento dell’infrastruttura, tramite la verifica della sicurezza di tutti gli attraversamenti e di tutte le strade urbane dove è previsto un elevato numero di pedoni a bordo strada. Una regolamentazione statale o europea per la progettazione di questi attraversamenti e intersezioni tra strade, piste ciclabili e percorsi pedonali aiuterebbe fortemente a ridurre questo tipo di incidenti. In secondo luogo, occorre incentivare l’ammodernamento del parco circolante, non solo perché i veicoli nuovi sono meno inquinanti, ma perché sono dotati di dispositivi di assistenza alla guida di Livello 2, obbligatori per le nuove omologazioni a partire dal 2022. Infine, sono importanti anche le campagne di educazione e di divulgazione della sicurezza stradale sia per i conducenti che per gli utenti deboli della strada – come pedoni, ciclisti e monopattini – anch’essi soggetti a distrazioni, soprattutto dovute all’utilizzo dei dispositivi mobili.