
Secondo alcune stime attendibili, ogni santissimo giorno che iddio manda in Terra un essere umano deve sopportare circa 33mila messaggi pubblicitari più o meno evidenti e subliminali. Una massa che manda la materia grigia in sovraccarico finendo per diventare un fastidioso rumore di fondo in grado di disturbare la concentrazione e alterare tanto l’umore quando la soglia dell’attenzione.
Finora, a parte la pubblicità in arrivo dall’esterno e quella trasmessa dalle emittenti radiofoniche, uno dei rari posti immuni dal bombardamento a tappeto dei “commercial” era proprio l’automobile. Nulla entrava nel chiuso dell’abitacolo, rarissima oasi di pace impermeabile anche al marketing più aggressivo, un’estensione su ruote di casa propria, angolo di mondo asettico e privato per antonomasia, anche perché è scritto sulla pietra che chi guida non va disturbato. O meglio, sarebbe meglio non farlo.
Adv, the next frontier
Ma anche quell’estremo scampolo di serenità sarebbe in procinto di svanire per sempre, nel nome e per conto dei bilanci delle case automobilistiche, sempre più a corto di fiato e alla ricerca di sacche di ossigeno.
Tutto nasce per caso qualche mese fa, quando un ignaro automobilista statunitense proprietario di una Jeep ha raccontato sui social l’immane iattura di cui era vittima, nella speranza che qualcuno gli spiegasse come uscirne. In pratica, ogni volta che sfiorava il pedale del freno, sul grosso schermo centrale compariva la pubblicità di una forma di garanzia aggiuntiva della vettura. Ed ogni volta era necessario correre col ditino sullo schermo per eliminarla, almeno fino alla frenata successiva. Una seccatura che a lungo andare è diventata molesta, spingendo il malcapitato a rivolgersi direttamente ad una filiale del marchio per chiedere spiegazioni e soprattutto scoprire come disattivare la funzione.
Un errore (o forse no)
Stellantis, proprietaria del marchio Jeep, si è giustificata parlando di un errore tecnico e del tutto isolato “che colpisce non più di una decina di autoveicoli nei soli Stati Uniti”, anche se – fra le righe del comunicato – si legge una sorta di ammissione: in fondo si tratta di veicoli, che poi siamo utilizzati per trasportare cose e persone o pubblicità, che differenza fa? I proprietari di Dodge, ad esempio, a due mesi esatti dall’acquisto ricevono regolarmente sul display offerte legate a pacchetti di garanzia aggiuntivi.
Insomma, da caso isolato, la sfortuna del proprietario Jeep si è trasformata in un vaso di Pandora ancora tutto da spalancare, a parte una sola certezza che si è fatta strada sempre di più: presto, le auto diventeranno portatrici di messaggi pubblicitari, togliendo a chi guida la speranza di essere seduti sull’ultimo atollo tagliato fuori dalla pubblicità che irrompe improvvisa come sul televisore di casa.
Il motivo, spiegano gli esperti, si deve per primo alla connessione invisibile che rende un’auto moderna perennemente collegata a centraline e di conseguenza a centrali che profilano, propongono e valutano per conto di aziende appollaiate sulle grondaie. Secondo, ma non certo per ordine di importanza, i disastri dei mercati, punto nevralgico dove finiscono per concentrarsi gli effetti nefasti di leggi, obblighi, limitazioni, politiche, concorrenze e dazi. Una tempesta perfetta che obbliga a cercare nuove opportunità per fare cassa, piegando l’infotainment e la connessione sempre più sofisticata al bisogno impellente di recuperare denari.
Un business imperdibile
Secondo Mark Wakefield, managing director di “AlixPartners”, società di consulenza finanziaria globale, “In un mondo ideale, il telefono cellulare e i diversi servizi o applicazioni si fondono completamente in un grande ecosistema coerente: una piattaforma perfetta per la pubblicità, l’upselling e la promozione di prodotti più o meno premium”. E c’è di più, perché secondo alcune ricerche, sottobanco circolano cifre assai ghiotte legate ai servizi per veicoli connessi, un mercato pronto ad esplodere che solo inizialmente può arrivare a 473 milioni di dollari, con previsioni per il 2032 che parlano di toccare senza troppi sforzi quota 1,68 miliardi.
Va da sé. La guerra a chi parte e conquista prima è già iniziata e non sembra destinata a fare prigionieri, o tantomeno a lasciare spazi liberi alla concorrenza. Nei bilanci General Motors del 2024, una riga era dedicata ai due miliari di dollari incassati con “OnStar”, la società sussidiaria che si occupa di servizi a pagamento su connettività, sicurezza, navigazione e diagnostica a distanza per i veicoli che fanno parte della galassia del marchio di Detroit. E la previsione è di arrivare a 20miliardi all’anno.
Un business un po’ borderline che ogni tanto finisce per incappare nelle inchieste di qualche giudice, come quello che ha costretto sempre GM al patteggiamento per aver profilato con cura i propri clienti vendendo i loro dati ad altre aziende senza alcun consenso.
Vietato parlare all’autista
E tutto questo, senza ancora aver citato chi inorridisce all’idea di bombardare con pop-up e banner improvvisi quanti dovrebbero concentrare tutta l’attenzione possibile nella guida. Un po’ come ha fatto la “AAA Foundation for Traffic Safety”, organizzazione statunitense senza scopo di lucro specializzata nelle ricerche su traffico e sicurezza, che ha sottolineato ciò che tutti sanno ma che sembra pronto al dimenticatoio: tutto quello che è in grado di spostare lo sguardo dalla strada è potenzialmente e altamente pericoloso, come messo nero su bianco in tempi non sospetti dalla “National Highway Traffic Safety Administration”, che tuttavia si è fermata a diffondere delle linee guida, utili come un aspirapolvere su una scialuppa di salvataggio.
Per contro, sforzandosi di capire anche le ragioni delle case automobilistiche, c’è chi prova a buttare lì una soluzione sardonica, come la “Public Interest Research Group”, organizzazione in difesa dei diritti dei consumatori: “La pubblicità on board potrebbe anche funzionare, a patto di chiarire un paio di dettagli: primo, avere la possibilità di inibire i pop-up in arrivo, secondo, capire se anche gli automobilisti ci guadagnerebbero qualcosa”. La risposta è del tutto inutile.