L’Italia dell’auto fatica a ripartire

Mercato

Un ottobre in frenata e un anno che si chiude in calo.

Il mercato automobilistico italiano arranca, mentre l’elettrico resta fanalino di coda in Europa.

Le immatricolazioni nel nostro Paese si fermano a 125.826 unità, segnando un calo dello 0,6% rispetto a ottobre 2024.

Ma il dato più preoccupante arriva guardando al quadro dei primi dieci mesi.

Infatti, sono 1.293.366 le vetture immatricolate tra gennaio e ottobre, per una flessione del 2,7% sull’anno precedente e addirittura del 20,4% rispetto al periodo pre-pandemia del 2019.

Proiettando il trend sull’intero anno, si stima una chiusura intorno a 1.502.836 veicoli, pari a un -3,6% sul 2024 e un -21,6% rispetto al 2019.

Insomma, il mercato resta in rosso acceso, segno di una crisi strutturale che va ben oltre la congiuntura economica.

I numeri della crisi

Periodo Immatricolazioni Variazione su 2024 Variazione su 2019
ottobre 2025 125.826 -0,6% -20,4%
gennaio-ottobre 2025 1.293.366 -2,7% -20,4%
proiezione 2025 1.502.836 -3,6% -21,6%

Elettriche, ancora una goccia nel mare

L’Italia continua a restare nelle retrovie europee per quanto riguarda la diffusione delle auto elettriche.

Nonostante gli incentivi – esauriti tra il 22 e il 23 ottobre, con 55.680 prenotazioni – il loro impatto resta marginale.

Una cifra che, pur compatibile con il numero medio di BEV (Battery Electric Vehicle) immatricolate in un anno, è una goccia nel mare se rapportata a un parco circolante di oltre 41 milioni di vetture.

Molto rimane da fare per accelerare una transizione ecologica che, almeno nel nostro Paese, appare più teorica che reale.

La lentezza dello sviluppo infrastrutturale (basti pensare alla rete di ricarica pubblica, ancora troppo concentrata nei grandi centri urbani) e la percezione di limitata flessibilità d’uso delle vetture elettriche continuano a frenare la domanda.

Secondo il Centro Studi Promotor, l’elettrico viene scelto soprattutto come seconda auto, raramente come veicolo principale.

L’autonomia percepita come insufficiente, i tempi di ricarica e l’incertezza sul valore residuo nel medio periodo rappresentano barriere ancora difficili da superare.

Un mercato in cerca di fiducia

I concessionari, dal canto loro, mostrano poche aspettative di ripresa.

Sempre secondo il Centro Studi Promotor, solo il 6% degli operatori prevede un aumento delle vendite nei prossimi mesi.

Il 28% scommette sulla stabilità, mentre il 66% teme un ulteriore calo.

Dati che delineano un settore incerto, poco sostenuto e con prospettive limitate.

La mancanza di segnali positivi dall’Unione Europea, in termini di politiche industriali di rilancio, aggrava ulteriormente la situazione.

Come osserva Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor, “non vi sono segnali che indichino un intervento deciso da parte dell’UE per rilanciare l’industria automobilistica europea, già provata dagli effetti della stessa politica di transizione energetica”.

Necessario un cambio di paradigma

L’automotive italiano si trova oggi su un crinale delicato.

Da un lato, l’esigenza di innovare e ridurre le emissioni e dall’altro, la realtà di un mercato che non riesce a tenere il passo con la rivoluzione elettrica.

Senza una strategia chiara (fatta di incentivi strutturali, investimenti nelle infrastrutture di ricarica, sostegno all’industria nazionale e un serio piano di formazione per la filiera) la transizione rischia di restare un obiettivo più politico che industriale.

Forse, più che di rottamare le auto, oggi servirebbe rottamare le politiche che le riguardano: solo così l’Italia potrà tornare, davvero, a mettersi in marcia.

Innovazione dopo la crisi?

L’auto italiana oggi viaggia a fari spenti, in una notte lunga fatta di incertezze, rincari e scelte politiche sbagliate.

Ma ogni crisi, nella storia dell’automobile, ha sempre generato innovazione. Forse è il momento di ripensare il concetto stesso di mobilità, tornando a un equilibrio tra progresso tecnologico e sostenibilità reale.

Quella che si misura non solo in grammi di CO₂, ma anche in posti di lavoro, libertà di movimento e visione industriale.

Perché il futuro dell’auto, e dell’Italia, non può restare sempre in rosso.