Suzuki Katana: il design arriva sulle giapponesi

Suzuki Katana
(Foto © F.Daudo)

Il mondo della motocicletta ha scoperto il design in tempi relativamente recenti. Non che le moto del passato non avessero stile. Anzi.

Gli esempi di classici intramontabile che uniscono le scultoree strutture del motore con l’eleganza di parafanghi, sella, serbatoio e dei pochi altri elementi caratteristici continuano ad alimentare le discussioni tra gli appassionati.

Norton Manx o Vincent Black Shadow? Gilera Saturno e Guzzi Falcone? BMW R69S o Munch Mammut? Honda CB 750 o Kawasaki Z1 900? Potremmo proseguire ancora, e dimenticheremo senza dubbio qualcuno.

Detto questo, resta il fatto che fino agli anni ’70 il design, inteso come rigorosa disciplina architettonica che sperimenta strade inesplorate e le applica alle motociclette, se escludiamo qualche caso isolato, quasi non esisteva, specialmente sulle moto costruite in grande serie. C’era però un mondo parallelo, ovvero quello dei piccoli costruttori di parti speciali: cupolini, mezze carenature, carenature complete cambiavano profondamente l’aspetto delle moto dell’epoca che, tranne la BMW R100RS, ne erano sostanzialmente prive.

Suzuki Katana
La Suzuki 750 Katana pesa circa 225 kg, ha un passo di 1520 mm  e la sella posta a 770 mm dal suolo. La velocità massima sfiorava i 220 orari. (Foto © F.Daudo) 

Suzuki chiama Target

Come abbiamo accennato, qualche tentativo c’era stato.

In Italia, ad esempio, la Italdesign aveva collaborato con la Ducati per tracciare la linea della 860 GT e con la MV Agusta per disegnare la 350 Ipotesi.

Oltreoceano Craig Vetter aveva proposto una sua versione delle tre cilindri Triumph Trident e BSA Rocket III, peraltro ‘vestite’ da uno studio di design inglese.

E il nome della Italdesign arrivò anche in Giappone, probabilmente per intercessione della SAIAD, l’importatore italiano della Suzuki, per una proposta stilistica sulla RE5, spinta dal motore Wankel.

Tra le Case giapponesi la Suzuki fu la prima a capire come il tocco del designer poteva dare nuova vita a una moto senza gli ingenti investimenti necessari per rivoluzionarne la parte meccanica.

Per questo, in collaborazione con Manfred Becker, responsabile marketing dell’importatore Suzuki tedesco, fu affidato l’incarico di sviluppare un prototipo di moto sportiva adatta al mercato occidentale allo studio Target Design fondato da Hans Muth insieme a due soci, Hans-Georg Kasten e Jan Fellstrom.

Suzuki Katana
Il motore ha dimensioni caratteristiche di 67 x 53 mm per una cilindrata di 747 cc. Compresso 9:1 eroga 82 CV. Sul coperchio dell’alternatore manca l’etichetta che indica, oltre al nome Suzuki anche la sigla TSCC riferita alle camere di scoppio ad alta turbolenza utilizzati su questi quattro cilindri bialbero 16 valvole. (Foto © F.Daudo)

Muth si era già occupato della vestizione della BMW R100RS e quindi dell’estetica delle R45 ed R65, compresa la R65LS che montava un caratteristico cupolino di forma piuttosto avanzata per i tempi.

Fellstrom aveva lavorato prima alla Porsche e poi alla BMW, così come Kasten.

Spazio alla creatività del designer

Inizialmente fu scelta la quattro cilindri GS650G con trasmissione finale ad albero e successivamente si passò alla realizzazione di un prototipo modellato attorno alla meccanica al top in quel momento, ovvero quella della Suzuki GSX1100.

Il mandato dava ampia libertà d’azione ai designer, come ricorda Kasten in un’intervista alla rivista Motorcycling: “Capimmo subito che avevamo la possibilità di operare come non avremmo mai potuto fare alla BMW, ovvero realizzare la moto sportiva dei nostri sogni”.

“Ma nella modellazione non trascurammo gli aspetti funzionali”.

“Ad esempio la zona delle ginocchia doveva essere snella, ma il serbatoio doveva avere adeguata capacità”.

“E da qui venne fuori quella forma particolare. E poi la moto doveva essere stabile in velocità, per cui fissammo il fanale al telaio e aggiungemmo quella carenatura alla testa della forcella”.

Alla fine il prototipo siglato ED-2, European Design 2 (il primo progetto attorno alla 650 era identificato ED-1) fu spedito in Giappone, dove ricevette subito il benestare per l’allestimento di una show bike da presentare al pubblico, ai giornalisti e alla rete di vendita per raccogliere il loro parere.

I giudizi furono così positivi che dopo un solo anno dall’avvio del progetto si passò ala produzione in serie.

Va precisato che Hans Muth, la cui fama di designer fu un eccellente biglietto da visita per la Target-Design, è sempre stata la figura associata al design della Katana, ma che al progetto lavorarono in modo più diretto Fellstrom, che firmò tutti i bozzetti, e Kasten che trascorse col socio un periodo in Giappone per seguire l’industrializzazione della nuova moto, che alla fine fu davvero vicina alle linee del prototipo.

Suzuki Katana
In un periodo in cui ancora i telai in tubi d’acciaio erano per la maggior parte neri, sulla Katana si è scelto il grigio per evidenziarne la struttura. (Foto © F.Daudo)

Suzuki Katana: il debutto è al Salone di Colonia 1980

Etsuo Yokouchi, responsabile dello stile alla Suzuki Motor Co, fu incaricato di seguire il progetto in Giappone seguendo le linee guida della Target-Design.

La presentazione interna della GSX1100 Katana avvenne nel luglio del 1980 mentre il pubblico dovette aspettare l’autunno seguente per ammirare i due prototipi ED-1 ed ED-2 al Salone di Colonia.

Tre cilindrate: 550, 650 e 1100

La produzione della Suzuki Katana inizia nel 1981, sia nella versione di 1100 sia in quella di 650 cc che però non sarà mai esportata in Europa, dove invece arriverà la GS550 EM Katana.

A fine 1981 esce la GSX1000S Katana, col motore ridotto a 1000 cc riducendo l’alesaggio da 72 a 69,4 mm (con la corsa invariata a 66 mm) per essere omologata nei vari campionati per le derivate dalla serie tra cui quello  AMA Superbike, assai popolare negli USA ma che però all’epoca prediligeva il manubrio stradale piuttosto che i semimanubri propri della Katana.

Suzuki Katana
Il tachimetro e il contagiri sono contenuti in un singolo contenitore, in cui sono inserite anche le 5 spie di servizio. Si noti la piastra superiore dedicata alla Katana e priva degli attacchi per il manubrio alto. (Foto © F.Daudo)

La 1000 aveva alcune modifiche orientate all’impiego sportivo e per questo fu prodotta in un numero limitato di esemplari che oggi, sul mercato del collezionismo d’Oltreoceano, mercato a cui era destinata, ha valutazioni decisamente interessanti.

Tornando alla versione più nota in Europa, tra le caratteristiche salienti della 1100 Katana ricordiamo le ruote da 19” all’anteriore (3.50-19) e da 17” al posteriore (4.50-17) una deviazione quest’ultima dal classico cerchio da 18” utilizzato sulla 1100.

Il motore è un robusto quattro cilindri bialbero 16 valvole raffreddato ad aria che eroga 111 CV a 9.500 giri/min con una coppia di 97 Nm a 6.500 giri.

Rispetto alla versione standard le quote del telaio variano nell’inclinazione del cannotto e di conseguenza nell’avancorsa per rendere più stabile un mezzo destinato ad alte velocità di crociera: la velocità massima è infatti di circa 230 orari, con una coppia motrice che consente medie elevatissime senza troppi stress meccanici.

Molti preferiscono la 750

A conti fatti, però, la Katana 1100 commercialmente non funzionò: la sua estetica, forse un po’ troppo fuori dagli schemi dell’epoca, non ebbe il previsto impatto sul pubblico.

In fatto di prestazioni non temeva rivali ma aveva nel peso uno dei suoi limiti ed era piuttosto impegnativa da guidare sul misto o sui tornanti delle strade di montagna.

Nel 1982 la Suzuki presenta la quasi gemella versione col motore GSX750.

La GSX750S Katana è quasi irriconoscibile dalla sorella maggiore, anche se si differenzia in numerosi dettagli:

  • la ruota posteriore è da 18” e monta pneumatico 4.00-18,
  • la ruota anteriore monta uno pneumatico 3.25-19,

due varianti che influenzano positivamente la manovrabilità della moto.

Suzuki Katana
I dischi anteriori, forati, hanno diametro 275 mm. Sul fodero è montato il dispositivo anti-dive idraulico che sfrutta la pressione esercitata nel circuito idraulico dei freni per sostenere l’avantreno in staccata. (Foto © F.Daudo)

Le dimensioni più contenute del motore fanno pure risparmiare qualche chilo e la minor potenza, che è comunque di 82 CV, rendono il mezzo sostanzialmente più equilibrato e adatto a un’utenza più ampia.

Il motore, rispetto alla versione standard, subisce interventi alla distribuzione, all’accensione, all’aspirazione (coi 4 carburatori Mikuni che passano da 32 a 34 mm) e allo scarico.

Dal punto di vista estetico le differenze con la 1100 sono la colorazione del parafango anteriore, tutto grigio anziché bicolore, la copertura della sella monocolore anziché bicolore e scamosciata, e il colore del codino.

La Suzuki Katana oggi è da collezione

La Suzuki Katana rappresenta la transizione tra le maximoto degli anni ’70 e quelle del decennio successivo che si evolveranno nel motore, soprattutto col raffreddamento a liquido, e nella ciclistica, con l’avvento della sospensione progressiva con un solo ammortizzatore.

Fu proprio la Suzuki a guidare questa svolta: nel 1985 presentò infatti la GSX-R 750 e quindi la 1100, che erano tecnicamente molto più moderne della Katana, nonostante fossero separate da pochi anni.

Il motociclismo è passione e questo spiega forse perché la Katana fu un flop commerciale mentre la GSX-R un successo mondiale: una era una moto ‘normale’ con un bel vestito, per quanto il bello sia spesso un attributo soggettivo, l’altra portava per la prima volta in strada una vera moto da corsa, indicando la strada a tutti gli altri costruttori.

Tuttavia la Suzuki Katana si è guadagnata un posto di rilievo tra i collezionisti ed è destinata a incrementare il suo valore.

E’ una moto relativamente rara e offre l’opportunità di circolare con una ‘classica’ anche nel traffico odierno.

Suzuki Katana
Il disco posteriore è identico agli anteriori. I silenziatori sono degli aftermarket dell’epoca commercializzati da Busso, che aveva una linea completa di silenziatori di ricambio per le giapponesi più in voga. (Foto © F.Daudo)

Si ringrazia ‘Ruote da Sogno’ di Reggio Emilia per averci messo a disposizione la moto del serivizio.