La storia del Suzuki Jimny nasce nel lontano 1970 quando la categoria dei veicoli fuoristrada era così permeata dalle vetture da ricognizione americane, eredità della seconda guerra mondiale, da caratterizzarne l’intera categoria. Allora, ma a volte ancora oggi, con il termine Jeep si definiva non tanto la marca americana quanto proprio le vetture da fuoristrada. In questo contesto nasce il primo Jimny, il cui nome pare proprio derivi da un diminutivo vezzeggiativo che in italiano potremmo tradurre con “Jeepino”. La sigla è LJ10, capostipite della più longeva storia iniziata il 10 aprile 1970. Un veicolo estremamente compatto e versatile, costruito intorno a un piccolo ma robusto motore due tempi posto longitudinalmente per favorire la trazione integrale, ancorato a un telaio a longheroni e traverse con sospensioni a balestre. Meno di tre metri di lunghezza con 25 cavalli e cambio a 4 rapporti e riduttore per muovere con disinvoltura circa 630 kg di vettura anche nell’off-road più impegnativo.
Le tre generazioni
La prima generazione vede il susseguirsi di motorizzazioni via via più grandi e potenti: LJ20, LJ50 fino all’LJ80 del 1977, il primo a montare un motore 800 a quattro tempi e il primo ad affacciarsi ufficialmente anche in Europa.
La seconda generazione parte con il nuovo SJ410 nel 1981, il motore arriva al litro di cilindrata, seguito dalla versione milletre SJ413 del 1984. Le linee sono squadrate e l’aria da 4×4 militare ha lasciato il posto a una vettura dalle linee squadrate che strizzano l’occhio al pubblico giovane per districarsi anche nel traffico urbano di tutto il mondo. La domanda europea è così elevata che parte della produzione viene soddisfatta da un accordo con la spagnola Santana che realizza la versione Samurai superando così il limite del contingentamento a cui erano assoggettate le Case giapponesi all’epoca. Nascono diverse versioni di carrozzeria tra cui anche un curioso pick-up e compare anche una motorizzazione diesel con motore Peugeot prima e Renault poi.
Si arriva così, superando il milione di esemplari prodotti nel 1987, al 1998, quando nasce la terza generazione. L’originario nome Jimny sostituisce le sigle precedenti anche fuori dal Giappone e la vettura è totalmente nuova. Linee più moderne e meno squadrate, mantenute le proverbiali dote off-road e migliorate quelle stradali con l’adozione delle molle elicoidali all’avantreno e al retrotreno al posto delle balestre e perfezionata la trasmissione part-time con la possibilità dell’inserimento della trazione integrale anche in movimento. Due carrozzerie: berlina prodotta in Giappone e cabrio in Spagna. Per soddisfare le richieste del mercato al 1300 benzina viene in seguito e per alcuni anni affiancata una versione 1500 Turbodiesel con motore di derivazione Renault. È la serie più longeva che resta in produzione fino all’arrivo del nuovo Jimny del 2018!
La quarta generazione tanto attesa
Da alcuni anni si attendeva e si vociferava dell’avvento della quarta generazione, tra appassionati ed estimatori c’era anche il timore di un imborghesimento del Suzuki Jimny, con il rischio di perdere alcune delle peculiarità tanto amate, in particolare quelle off-road. Invece Suzuki non ha tradito né la tradizione né gli affezionati estimatori, anzi.
Nulla di meno e tanto di più
Il nuovo Jimny torna alle origini dal punto di vista esteriore, con linee nuovamente squadrate, parabrezza meno inclinato e parafanghi sporgenti in materiale plastico. Ma non si tratta di un vezzo estetico ma sostanzialmente funzionale. Tutto è studiato per migliorare la visibilità esterna per valutare facilmente l’ingombro della vettura, dote tanto apprezzata in fuoristrada quanto in città. Dell’aspetto esteriore e dell’abitacolo rinnovato parleremo in seguito, ora vogliamo cominciare dalle migliorie tecniche, che sono molte.
Telaio rinforzato
Il telaio a longheroni e traverse è stato rafforzato con l’inserimento di una nuova doppia traversa tubolare centrale a “X”, tra il cambio e la scatola di rinvio, e una in scatolato smontabile all’altezza cambio. Con questi nuovi elementi il telaio aumenta la rigidità torsionale e la robustezza complessiva, con il duplice vantaggio di consentire alla vettura una maggiore precisione nella guida su asfalto e, contemporaneamente, di resistere maggiormente agli strapazzi del fuoristrada. Tutti gli organi meccanici risultano protetti principalmente dalla posizione: motore, cambio e scatola di rinvio con riduttore si trovano in posizione rialzata rispetto al telaio, che ha alla stessa altezza dal suolo solamente i due ponti rigidi e parte della linea di scarico.
Motore potenziato
Il propulsore a benzina, sempre all’avantreno in posizione longitudinale per favorire lo sviluppo della catena cinematica con trazione 4×4, è cresciuto di cilindrata: ora è un 4 cilindri in linea 1,5 litri da 102 cavalli a 6.000 giri/minuto e 130 Nm di coppia a 4.000 giri/minuto. Il cambio a 5 marce ha la stessa rapportatura così come il riduttore, ma sono stati riprogettati i percorsi d’innesto e la leva per ridurre le vibrazioni. Il rapporto finale al ponte è, nella versione col cambio manuale, più lungo che in passato, soluzione che sicuramente influisce sulla riduzione dei consumi alzando di 5 km/h la velocità di punta. Malgrado la maggiore cilindrata, 1.462 rispetto a 1.328 cm3, il peso complessivo dell’unità motrice è diminuito del 15%.
Leva 4×4 e riduttore manuale
Con grande gioia degli appassionati è ricomparsa sul tunnel centrale la leva di comando per l’inserimento della trazione integrale e delle successive ridotte. Sono stati tolti i pulsanti dell’elettroattuazione per tornare alla soluzione più semplice, e quindi intrinsecamente più robusta. La leva permette di inviare la coppia motrice all’avantreno anche in movimento, fino alla velocità di 100 km/h. Come in passato l’inserimento del rapporto di riduzione richiede che il veicolo sia fermo. Si tratta di un sistema di trazione definito part-time: la trazione è normalmente posteriore, con l’inserimento dell’anteriore s’invia coppia all’asse che collega la scatola di rinvio al differenziale anteriore, non esiste differenziale centrale. Soluzione che rende la vettura un po’ più sottosterzante ma molto mitigata dal passo particolarmente corto di 2.250mm.
Ammortizzatore di sterzo e nuova luce
L’architettura delle sospensioni resta invariata rispetto alla terza generazione: avantreno e retrotreno sono realizzati con ponti rigidi sospesi da molle elicoidali, con ammortizzatori idraulici posizionati non all’interno delle molle. Per migliorare il feedback e ridurne le vibrazioni è stato installato uno specifico ammortizzatore di sterzo. Freni a disco con pinza “in alto” all’avantreno e freni a tamburo al retrotreno. Significativo l’incremento dell’altezza minima da terra, che passa da 190 a 210mm, con grande beneficio nell’impiego fuoristradistico.
Un aiuto dall’elettronica
Sfruttando i sensori dell’impianto ABS, i tecnici Suzuki hanno realizzato un sistema di controllo della trazione che svolge una funzione simile a quella di un differenziale a slittamento limitato (LSD). Il dispositivo prende il nome di Brake-LSD: leggendo la velocità di rotolamento delle singole ruote, in caso di differenza notevole sullo stesso asse il sistema frena la ruota che presumibilmente ha perso aderenza. Agisce su entrambi gli assali: posteriore e anteriore.
Cosa cambia ancora?
Rispetto alla generazione precedente cambia anche la misura degli pneumatici di serie montati sempre su cerchi da 15 pollici con calettamento 5,5 J: mentre prima erano 205/70 R15 ora sono leggermente più stretti e con spalla più alta, mantenendo così lo stesso sviluppo di rotolamento: 195/80 R15. Ennesima dimostrazione della maggior propensione all’off-road della nuova quarta generazione. La spalla più alta lavora meglio in off-road anche se il disegno del battistrada degli pneumatici di serie è sostanzialmente stradale. La minore impronta a terra (195 Vs 205) contribuisce a ridurre i consumi di carburante ma la spalla più alta (/80 VS /70) ha una maggiore deriva su asfalto.
Stilemi storici…
Come si diceva inizialmente, non si tratta di un vezzo per far parlare di sé o peggio, come abbiamo letto in qualche commento sui social, lo scopiazzamento degli stilemi di altre storiche vetture 4×4 di ben altra stazza e costo, ma in realtà i designer di Suzuki hanno ripreso proprio gli stilemi delle precedenti generazioni di Jimny interpretate in versione 4×4 da “duri e puri”. In questa chiave è stata disegnata la calandra, che riprende le feritoie della terza generazione e i fari tondi con indicatori di direzione anch’essi tordi della prima LJ10. Il cofano motore piatto a “conchiglia” richiama gli immortali SJ410 e SJ413, riprendendo l’accenno delle due feritoie alla base del montante del parabrezza. Le luci posteriori in posizione bassa e orizzontale richiamano ancora quelle della seconda generazione.
… per maggiore funzionalità
Tutto in chiave funzionale, squadrata in ogni lato per poter vedere dal luminoso abitacolo dove termina ogni spigolo, con il vantaggio offerto dai parafanghi allargati di proteggere dagli eventuali schizzi le superfici vetrate o l’abitacolo se i vetri sono abbassati (in fuoristrada si raccomanda di non tenerli troppo abbassati ma a volte… capita). Ci teniamo a sottolineare che, malgrado l’abitabilità sia migliorata, la lunghezza massima è la stessa della versione base della terza generazione (leggermente inferiore degli ultimi Suzuki Jimny venduti) 3.645mm contro i 3.775mm, mentre la larghezza dichiarata è la stessa: 1.645 mm. Il passo (2.250mm) è rimasto invariato mentre le carreggiate da 1.355mm davanti e 1.365mm dietro sono cresciute rispettivamente a 1.395mm e 1.405mm. Il nuovo disegno del portellone e dei sedili posteriori crea un nuovo piano di carico perfettamente lineare a schienali abbattuti e facilmente lavabile perché rivestito in materiale plastico con disegno antiscivolo che richiama i pannelli in alluminio “mandorlato”. Come il guidatore appassionato sarà felice di ritrovare la leva meccanica per l’inserimento delle quattro ruote motrici e del riduttore, allo stesso modo il passeggero apprezzerà molto il ritorno della lunga e pratica maniglia nel suo lato della plancia. Maniglia che con la terza generazione era stata eliminata, probabilmente a causa della presenza dell’Airbag del passeggero. Ridisegnata la plancia con al centro il sistema di infotainmant appositamente tarato per gli impieghi gravosi e l’utilizzo anche con guanti da lavoro. Il cruscotto risulta più grande e sempre retroilluminato per assicurarne la lettura in ogni condizione. Semplici e razionali tutti i comandi nella parte bassa della plancia, che oltre alla regolazioni per la climatizzazione contiene anche gli interruttori alzavetro che non sono posizionati sulle portiere.
Alla guida: prima su asfalto…
Nel breve tratto di asfalto che conduce al primo sterrato cerchiamo di notare le differenze rispetto al passato, si tratta soprattutto di sensazioni più che riscontri oggettivi. Il volante sembra più leggero ma al contempo più preciso. Probabilmente il diametro è maggiore ma si percepisce piacevolmente la presenza dell’ammortizzatore che smorza vibrazioni e reazioni non volute. La sensazione del diametro maggiore è rafforzata dalla percezione di quanto sia vicino il finestrino alla mano sinistra, condizione che non pregiudica assolutamente né il comfort né il senso di controllo del mezzo ma che anzi, consente un’ottima visibilità sul cruscotto cresciuto notevolmente nella dimensione dei due strumenti analogici con la centro il display multifunzione. L’altra differenza percepita a bassa velocità è un lieve ronzio proveniente della catena cinematica. Sicuramente dovuta alla gioventù degli ingranaggi nuovi ma forse indotta in parte dalla presenza della leva che agisce direttamente sulla scatola di rinvio lasciando così aperta una linea diretta tra gli ingranaggi e l’abitacolo. Al crescere della velocità il rumore sparisce perché naturalmente coperto da motore, rotolamento delle gomme e aerodinamica. Il tratto asfaltato è tortuoso ma ugualmente non ci accorgiamo delle gomme meno votate all’asfalto e neppure della maggiore altezza da terra che potrebbe aver alzato il baricentro, anzi. Sembra di guidare una vettura “con l’assetto” rispetto al modello precedente, probabilmente merito della maggiore rigidità torsionale del telaio rafforzato, ma certamente anche di una messa a punto delle sospensioni non solo orientata verso l’impiego off-road. In pochi chilometri quello che all’apparenza sembrava un Jimny più votato al fuoristrada si rivela migliorato anche su asfalto.
… poi in fuoristrada
Lasciata la strada imbocchiamo una carrareccia e ritroviamo quella motricità naturale che da sempre ha contraddistinto tutti i Suzukini, tanto da farci indugiare nell’inserire la trazione sulle quattro ruote, necessaria solamente nelle condizioni più impegnative. Bastano poche centinaia di metri per sentirsi tutt’uno con il Jimny, che fa esattamente ciò che vogliamo con grande naturalezza. Quando il terreno diventa più serio, con maggiore pendenza e profondi solchi scavati dalle copiose piogge dei giorni precedenti che hanno fatto riemergere grandi sassi, inseriamo anche le ridotte e abbiamo proprio la sensazione di mordere il terreno con le gomme, malgrado siano delle coperture dal disegno prettamente stradale. Lo sterzo s’indurisce molto meno che in passato, e nei passaggi in twist con stacco ruota giochiamo col gas per innescare l’intervento, progressivo e non troppo brusco, del Brake-LSD. La ciliegina sulla torta è la maggiore luce a terra, che passando da 190 a 210mm, soprattutto se proporzionata al passo particolarmente corto, aumenta significativamente la mobilità nelle condizioni più estreme. Complessivamente abbiamo la sensazione che rispetto al passato non solo le doti siano oggettivamente aumentate, ma che sia anche più semplice di prima. L’agilità trasmette una sensazione di facilità e leggerezza, che non deve mai sfociare nella sottovalutazione del rischio, ma che consente di affrontare con maggior naturalezza anche gli ostacoli più impegnativi.
Conclusioni
Da appassionati di fuoristrada il nostro giudizio potrebbe risultare un po’ di parte, ma siamo fortemente convinti che il nuovo Suzuki Jimny non solo sia l’immortale ultimo autentico 4×4 compatto, ma che con il suo understatement e la sua originalità attragga, se non subito certamente tra qualche anno, anche un pubblico non esclusivamente appassionato di off-road ma che vorrà distinguersi dalla pletora di B-SUV che, prima o poi, arriveranno a saturare il mercato e a nauseare un po’ il pubblico più esigente e meno propenso al conformismo.