Nascita e sviluppo delle tecnologie a geometria variabile ed introduzione alle turbine VGT.
Procediamo con la nostra trattazione sulla turbo-sovralimentazione del motore termico.
Nel precedente articolo abbiamo introdotto il concetto di Aspect Ratio (AR), termine inglese che genericamente indica il rapporto tra la dimensione più grande e quella più piccola di una figura bidimensionale. Riportandolo al nostro caso d’interesse, l’AR diventa un parametro adimensionale che rappresenta il rapporto tra la sezione trasversale d’ingresso dei gas di scarico del motore e il raggio medio della voluta dal centro della turbomacchina.
Perché è così importante? Per comprenderlo a pieno è necessario fare un passo indietro.
Nel tempo le normative ambientali sono diventate sempre più stringenti sulle percentuali di emissioni tollerate. Come conseguenza, i costruttori si sono trovati nella condizione di dover ridurre progressivamente le dimensioni dei motori, dando vita ad una vera e propria corsa al cosiddetto downsizing, con l’obbiettivo di realizzare componenti compatti pur garantendo le stesse performance dei motori con taglia più grande. Ma come è possibile realizzare un motore di cilindrata inferiore che possa garantire prestazioni pari – o addirittura superiori – a quelle di un motore dal volume più ampio? La soluzione è arrivata con l’introduzione dei sistemi a geometria variabile, una tecnologia che consenta di modificare le dimensioni caratteristiche dei dispositivi per meglio adattarli alle condizioni fluidodinamiche di esercizio imposte dal motore.
L’idea a monte è quella di voler modificare le sezioni di ingresso (ed eventualmente di uscita) della turbina e del compressore in maniera tale che questi possano elaborare al meglio la portata di fluido che li attraversa. Ottimizzare la portata di una turbomacchina significa poter ridurre il tempo della risposta del turbo alle variazioni di regime del veicolo, mitigando sensibilmente il manifestarsi del fenomeno del turbo lag.
Nei tradizionali sistemi a geometria fissa l’AR risulta costante. Con l’introduzione dei sistemi a geometria variabile, invece, il suo valore diventa modulabile grazie a diverse soluzioni tecnologiche che prevedono l’utilizzo di palettature scorrevoli e rotanti o, più in generale, componenti mobili capaci di modificare l’altezza della sezione trasversale attraversata dai gas o l’angolo di incidenza sulle palettature.
Tutte le soluzioni agiscono in collaborazione con l’ECU (Engine Control Unit); ad essa viene richiesto di ottimizzare la geometria in maniera tale da ridurre o aumentare l’area di ingresso (e quindi l’AR) rispettivamente per aumentare (ai bassi carichi) o ridurre (agli alti carichi) la velocità del fluido di lavoro. Le condizioni del flusso a monte della turbina vengono così adattate alle necessità che si presentano senza agire sul momento d’inerzia.
Le ragioni di queste scelte derivano dagli studi fluidodinamici, dai quali è possibile ricavare la area minima necessaria (A*) che, per la sezione d’ingresso di una turbina, può essere determinata attraverso una complessa equazione polinomiale (Eq. 1) ottenuta partendo dall’ipotesi di effettuare una trasformazione isoentropica con gas perfetto.
I risultati si sono rivelati sorprendenti e, nei confronti con i tradizionali turbocompressori a geometria fissa, quello VGT vince incontrastato: la possibilità di regolare l’AR in relazione alle necessità che si presentano durante l’esercizio consente di ridurre le pressioni di spinta in accelerazione senza ricorrere a valvole di spillaggio, evitandone le conseguenti perdite ed ottimizzando le prestazioni offerte dall’intero apparato turbo-motore.
Nel corso delle ultime due decadi sono stati messi a punto una grande quantità di sistemi VGT. Nel prossimo articolo della nostra trattazione proseguiremo con l’analisi dei sistemi a geometria variabile per le turbine, approfondendo le configurazioni utilizzate per le volute ed il cosiddetto sistema flapping.