Fu René Arnoux oppure Gilles Villeneuve a vincere quella corsa? Ancora oggi, dopo così tanto tempo, c’è chi è convinto che furono questi i piloti che in quel memorabile duello in cui negli ultimi giri si superarono una mezza dozzina di volte, rischiando ogni volta di finire fuori pista, si stessero giocando la vittoria. E invece poco davanti a loro c’era Jean Pierre Jabouille che stava scrivendo una pagina fondamentale nella storia della moderna F1 portando per la prima volta alla vittoria una Renault spinta da un piccolo V6 di 1,5 litri sovralimentato con una coppia di turbocompressori.
Era il 1° luglio 1979 e anche Arnoux era al volante di una Renault Turbo. La Ferrari 312 T4 di Villeneuve, che alla fine arrivò seconda, montava invece un poderoso 12 cilindri contrapposti di 3,0 litri, la stessa cilindrata dei V8 Cosworth DFV utilizzati da tutti gli altri concorrenti, tranne il V12 Alfa Romeo della Brabham BT48. Vediamo come la Casa francese riuscì a raggiungere il risultato che avrebbe aperto un nuovo capitolo tecnico nella storia della F1.
Brillante debutto
Fin dalle origini la Renault affiancò la produzione in serie delle sue vetture con la partecipazione alle prime corse in linea come la Parigi-Bordeaux, la Parigi-Ostenda o la Parigi-Vienna. Dei due ‘fréres’ fondatori Louis e Marcel, fu quest’ultimo che raggiunse presto una certa notorietà con le sue brillanti prestazioni in gara. Una breve gloria, purtroppo, poiché nel 1903 Marcel fu uno dei dodici piloti che persero la vita in una drammatica edizione della Parigi-Madrid. Un duro colpo che portò Louis a rinunciare alla partecipazione diretta alle corse, limitando l’impegno sportivo all’assistenza dei suoi clienti-piloti. E Louis Renault avrà certamente rivolto un pensiero al fratello quando, nel 1906, il pilota ungherese Ferenc Szisz vinse il primo Gran Premio di Francia a Le Mans con una vettura che portava il suo nome. La Renault entrò così nella storia di quella corsa, ma sarebbero passati 79 anni prima che quell’evento si ripetesse. Quella che segue è la storia della seconda vittoria Renault nel GP di Francia…
Renault incontra Gordini
All’alba degli anni ’50, dopo essere sopravvissuta a due guerre e a numerose vicende societarie, la Renault è una grande industria che occupa 50.000 dipendenti ed esporta in tutto il mondo. Produzione e sport si muovono ancora in parallelo: una 4CV vince la sua classe alla Mille Miglia e la ‘Etoile Filante’, una profilatissima vettura spinta da un motore a turbina Turbomeca, stupisce il mondo correndo a 307 orari sul lago salato di Bonneville. Siamo nel 1956 e dalle catene di montaggio della Renault esce la prima Dauphine, una delle vetture di maggior successo della Casa francese, che in soli quattro anni verrà prodotta in un milione di esemplari. Sarà questa vettura che farà incontrare la Renault e Amédée Gordini, un italiano che fin dagli anni ’30 aveva aperto un’officina a Parigi dove si dedicava alla preparazione di vetture da corsa, specialmente su meccanica Fiat. La collaborazione tra la piccola officina di Boulogne-Billancourt e la grande Renault iniziò attorno a un motore Dauphine preparato da Gordini e dotato di cambio a quattro marce anziché le tre originali. Il passo successivo fu l’allestimento sportivo della Renault R8, lanciata nel 1963. Con essa il nome Renault e Gordini si unirono indelebilmente, costringendo quest’ultimo ad ampliare la propria sede trasferendosi, nel 1969, a Viry-Chatillon. Un successo che consentì a Gordini di finanziare il suo ambizioso progetto di creare un suo V8 di 3 litri da corsa. Un progetto per il quale Gordini coinvolse anche l’Università, attraverso la quale conobbe François Castaing, uno studente in cerca di un argomento per la sua tesi di laurea. Gordini apprezzò le sue capacità al punto da offrirgli un posto, avviandolo così ad una brillante carriera che lo avrebbe ben presto portato ad assumere la direzione tecnica dell’azienda.
Alpine-Renault: binomio vincente
La connessione tra Renault e Gordini rappresenta solo un anello della nostra storia, poiché l’ingresso della Casa francese nella F1 non sarebbe probabilmente avvenuto se non ci fosse stato l’incontro con Jean Rédélé, un intraprendente ragazzo appassionato di corse automobilistiche che a soli 24 anni aveva preso le redini della concessionaria Renault creata dal padre a Dieppe. La prima Rédélé Special era una coupé disegnata da Michelotti e allestita dalla carrozzeria Allemano su base Renault 4CV. La successiva A106, un’altra coupé con la carrozzeria in vetroresina, fu il primo prodotto della Societé des Automobiles Alpine, fondata da Rédélé nel 1955. Nel 1956 una di queste vetture vinse la sua classe nella Mille Miglia e fu con essa che il nome Alpine iniziò la sua ascesa: alla A106 seguì la A108 e poi, nel 1963, la A110, basata sulla meccanica della R8, un modello che porterà grande notorietà alla piccola officina francese che si avventurerà anche nell’allestimento di prototipi per la 24 ore di Le Mans e di monoposto di F2 e F3. Dal 1968 le Alpine furono commercializzate attraverso la rete Renault e da allora tutti ricordano i successi delle Alpine-Renault nei rally, in un periodo in cui queste corse erano assai popolari e riempivano le cronache sportive in tutto il mondo. La produzione delle A110 non impedì lo sviluppo delle monoposto, tanto che la A361 disegnata da André de Cortanze dominò il campionato europeo di F3 nel 1971 coi giovani piloti francesi Patrick Depailler e Jean Pierre Jabouille. Nel 1972 i tecnici della Alpine prepararono un motore di 1,6 litri sovralimentato con un turbocompressore che erogava 200 CV e che montato su una A110 vinse il Criterium des Cevénnes. Da parte sua, nel 1973 Gordini presentò un V6 di 2 litri e 285 CV disegnato da François Castaing. Denominato CH1, fu realizzato in tempi stretti grazie anche al supporto economico della Elf. Il cerchio si chiude: le Alpine A440 e A441 preparate per il Campionato Europeo Sport 2 litri uniscono per la prima volta in modo ufficiale i nomi Renault, Alpine e Gordini.
Primi tentativi
Quando Richard Bouleau, progettista dei prototipi Alpine fin dal 1963, seppe dell’esistenza del motore V8 sviluppato da Gordini, si lanciò nel progetto di una monoposto, la A350, con l’intento di creare una vettura laboratorio sulla quale sviluppare nuove soluzioni tecniche, specie a livello di sospensioni. Molti però speravano che quello sarebbe stato il primo tassello di un progetto che avrebbe portato la Renault in F1.
Allo sviluppo in pista della A350, iniziato nell’aprile 1968, diede un significativo contributo il pilota italiano Mauro Bianchi, ma le promettenti doti telaistiche non furono assecondate da un altrettanto brillante motore, in forte debito di CV rispetto al Ford-Cosworth, il migliore V8 disponibile all’epoca. L’ulteriore sviluppo del progetto non rientrava però nei piani della Renault, che addirittura proibì di investire altre risorse nel progetto.
Più pressione uguale più potenza
Chiuso il capitolo V8, facciamo un passo avanti temporale per tornare a parlare delle vetture Sport 2 litri cui abbiamo accennato poco sopra. Nel 1974 la Alpine A441 dominò il campionato Europeo Sport e l’anno successivo, col V6 Gordini CH2 turbo da 500 CV è pronta a battersi coi motori 3 litri aspirati dei prototipi iscritti al Campionato Mondiale Sport, tra le cui prove c’è anche la 24 Ore di Le Mans. Parallelamente, alla Renault maturarono l’intenzione di cimentarsi nella F1, ipotizzando l’utilizzo del V6 turbo con la cilindrata ridotta a 1,5 litri, come prescritto dal regolamento per i motori sovralimentati. L’avventura iniziò con la creazione della Renault Sport una struttura diretta da Gerard Larousse, un uomo di fiducia per aver già diretto con successo la scuderia vincente nell’Europeo Sport. Il vero obiettivo fu inizialmente nascosto, comunicando che lo scopo era quello di sviluppare una nuova vettura di F2 in vista della prevista possibilità di utilizzare motori V6 di 2 litri a partire dalla stagione 1976.
All’epoca il rapporto di 2:1 tra le cilindrate dei motori aspirati e quelli sovralimentati derivava dal cambio regolamentare avvenuto nel 1966, che prevedeva il passaggio da 1,5 a 3,0 litri, dando facoltà a chi voleva ancora utilizzare i motori più piccoli, di adeguarne la potenza con la sovralimentazione. Nonostante nessuno abbia poi sfruttato questa opzione, essa rimase nelle pieghe del regolamento per anni senza essere oggetto di revisione tecnica. Dieci anni dopo i francesi non fecero altro che applicare quella regola, derivando dal loro 2 litri due tipologie di motori: uno, siglato 32T, con alesaggio ridotto da 86 a 80 mm e corsa 49,4 mm e l’altro, fortemente superquadro, con dimensioni di 86 x 42,8 mm, siglato 33T. Alla sovralimentazione provvedeva un turbocompressore standard della Garrett, mentre la benzina era iniettata da un sistema meccanico Kugelfischer. Le prime prove al banco, effettuate nell’estate del 1975, portarono il 33T a esprimere 360 CV a 11.100 giri/min, una potenza incoraggiante anche se ancora difficilmente sfruttabile, come verificò ben presto Jean Pierre Jabouille, il pilota designato da Renault Sport per lo sviluppo della vettura. I primi test del motore furono condotti su una vettura Sport, la A442, allestita per lo scopo; Jabouille rilevò un ritardo nella risposta all’acceleratore, il famoso tubo lag, che rendeva la macchina pressoché inguidabile, nonostante gli sforzi del pilota per adattare il tipo di guida all’erogazione. Al direttore tecnico Bernard Dudot e al suo team si prospettava una lunga e tortuosa fase di sviluppo.
Il primo prototipo
Furono André de Cortanze, André Renut e Marcel Hubert i creatori della Alpine A500, una monoposto con struttura mista in tubi d’acciaio e pannelli di lamiera d’alluminio rivettati che, coerentemente con la politica voluta dalla Renault, fu presentata come la nuova monoposto di Formula 2. Al debutto in pista avvenuto nel maggio 1976 a Jarama, il motore, che montava un cambio a sei rapporti Hewland FG400, era accreditato di ben 500 CV, erogati però in modo difficile da gestire, col compressore che quando iniziava davvero a ‘pompare’ iniettava oltre 100 CV in modo quasi istantaneo… Il 10 maggio 1977, un anno dopo il debutto, la Renault scoprì finalmente le carte, presentando alla stampa la RS01, la monoposto che rappresentava l’ingresso ufficiale della Renault nella F1. Il telaio era una monoscocca in lamiera di alluminio, all’epoca considerata la tecnologia d’avanguardia, e l’aerodinamica derivava da accurati test nella galleria del vento. La vettura fu dipinta in un vistoso colore giallo sul quale spiccavano i loghi della Renault e degli sponsor Elf, che già da qualche anno sosteneva l’attività sportiva della Casa francese, e della Michelin, cui spettava il compito di portare al debutto nella F1 il suo pneumatico a struttura radiale, ponendosi come alternativa a Good-Year e Firestone. Una sfida nella sfida quella degli pneumatici, poiché il comportamento dei radiali si rivelò assai diverso da quello dei convenzionali, impegnando il pilota ad adattare il suo stile di guida non solo alla brusca erogazione del motore turbo ma anche al repentino passaggio dei radiali da una condizione di eccellente grip a quella di improvviso scivolamento… Solo il lungo lavoro di messa a punto di sterzo e sospensioni effettuato da Jabouille coi suoi tecnici permise di controllare la situazione trasformando addirittura quello che sembra un handicap insormontabile in un vantaggio.
L’ora si avvicina
A Silverstone, la pista dove fu programmato il debutto in gara della RS01, erano iscritte 37 monoposto, ma sulla griglia c’erano solo 26 caselle. La Renault fu però dispensata dalle pre-qualifiche grazie a Bernie Ecclestone, che sfruttò la sua influenza per convincere chi all’epoca governava la F1 che l’avere al via una grande Casa come la Renault sarebbe stato un evento di grande richiamo per gli appassionati. La RS01 passò quindi direttamente alle qualifiche ottenendo il 21° tempo, a un secondo e 22 centesimi dalla pole di James Hunt con la McLaren. Una posizione che Jabouille migliorò in gara finché la rottura del turbo non lo costrinse al ritiro. Dopo una pausa nei due successivi GP, la RS01 fu nuovamente al via del Gran Premio d’Olanda, disputato a Zandvoort. In prova Jabouille conquistò la quinta fila col decimo tempo e in gara rimontò fino al sesto posto, intravedendo anche la possibilità di salire sul podio. Il motore resse lo sforzo, ma questa volta fu la rottura di una sospensione che, dopo 40 dei 75 giri, concluse anzitempo la gara del francese. Un primo parziale successo, cui fecero però seguito una serie di ritiri e perfino la mancata qualifica nel GP del Canada, dove Jabouille, in una giornata freddissima, non riuscì a portare alla giusta temperatura le sue Michelin che non ne vollero sapere di trasmettere a terra tutta la coppia del motore turbo. Lo sviluppo era tutt’altro che finito…
Primi traguardi
La stagione 1978 iniziò con due gare in Sudamerica, in Argentina e Brasile, ma la Renault decise di posticipare il debuttò nel Gran Premio del Sudafrica, a Kyalami, un tracciato posto a 1.800 metri sopra il livello del mare e dunque vantaggioso per chi poteva compensare il calo del 20% della pressione atmosferica con un compressore. La RS01 fu rivista nel telaio e nell’aerodinamica, anche se restavano ancora irrisolti i problemi di erogazione. L’evidente calo di potenza degli aspirati portò Jabouille in terza fila col quinto tempo, a soli 7/10 dalla Ferrari di Niki Lauda. A metà gara, però, l’ennesima rottura del motore spegne le velleità della squadra francese.
E’ sulle difficili strade del Principato di Monaco che Jabouille riesce finalmente a portare a termine il suo primo GP; parte in sesta fila e in gara non mancano i problemi, inclusa una sosta ai box per un intervento sui freni, ma alla fine si classifica al decimo posto, a quattro giri dal vincitore Depailler con la Tyrrel-Ford. Un risultato comunque positivo, almeno per il morale della squadra che ritrova un po’ di fiducia per continuare la difficile messa a punto della vettura. Una gioia di breve durata poichè, già al successivo GP del Belgio, problemi ai freni e l’ormai cronico ‘turbo lag’ trasformano una gara iniziata abbastanza bene in un calvario: Jabouille termina caparbiamente la gara, ma i 14 giri di distacco dal vincitore Andretti sono troppi per essere classificato. Pare che in quell’occasione Rolf Stommelen, il pilota tedesco che aveva una già una lunga esperienza nell’Endurance con la Porsche, suggerì ai tecnici della Renault di utilizzare due turbo per risolvere il problema del ‘turbo lag’…
A Watkins Glen per Jabouille le cose vanno decisamente meglio: chiude al quarto posto dopo essere stato a lungo terzo e conquista i primi punti nel mondiale. A Montreal, nell’ultimo GP della stagione, la Renault finisce un’altra gara, anche se all’ultimo posto. In una recente intervista Larousse ricordò che i team inglesi, assai più esperti, guardavano il team francese con una certa sufficienza e che l’esser riusciti a finire qualche gara e a conquistare i primi punti iridati fu oltre che un sollievo per tutto il team anche motivo di accresciuto rispetto da parte degli avversari. La ‘théière jaune’, la teiera gialla, com’era stata soprannominata la monoposto francese per via della fumata bianca che usciva dagli scarichi ogni volta che si rompeva il motore, iniziava finalmente a far intravedere le sue potenzialità…
Bi-turbo per vincere
Per il 1979 l’impegno della Renault nella F1 continuò con ancora maggior impeto: fu preparata una seconda monoposto per René Arnoux, un giovane e promettente pilota francese già nell’orbita Renault già messosi in luce nei campionati minori e reduce da un brillante debutto in F1 nel 1978, pur alla guida di una monoposto, la Martini-Ford, non certo all’altezza delle avversarie. Con Jabouille e Arnoux la squadra Renault era ben assortita: il primo, più tecnico e profondo conoscitore della vettura che aveva visto nascere, poteva proseguire lo sviluppo e inseguire il risultato che lo avrebbe consegnato alla storia della F1 mentre Arnoux, veloce e con l’impeto della giovinezza, sarebbe stato il pilota sempre pronto a dare battaglia, anche solo per un piazzamento. A Digione, nei test pre-campionato, la Renault stupì gli osservatori con una velocità di punta di almeno 20 km/h superiore agli avversari: il motore turbo cominciava ad essere davvero temibile tanto che qualcuno pronosticò che tutti i team, prima o poi avrebbero dovuto applicare questa tecnologia… Il 1979 è l’anno delle wing-car ovvero le monoposto con il cosiddetto effetto suolo. La prima Renault che si adegua a questa soluzione aerodinamica inventata dalla Lotus è siglata RS10 ed è portata al debutto nel Gran Premio di Spagna dal solo Jabouille. Il suo telaio nasce già predisposto per poter installare un motore con due turbocompressori, uno per bancata, che però si vedrà solo sulle due RS10 iscritte al GP di Monaco, a fine maggio. Una gara che si concluderà con il ritiro di Arnoux per incidente e Jabouille che staccato di 8 giri dal vincitore non sarà classificato. La soluzione dei due turbo KKK si dimostrò essere quella giusta per migliorare sensibilmente la risposta all’acceleratore, grazie anche alle dimensioni più compatte delle parti rotanti, con la conseguente minor inerzia a salire di giri e quindi una maggior prontezza nel fornire pressione. All’appuntamento col successivo GP di Francia, il 1° luglio 1979 a Digione, la Renault aveva la consapevolezza di schierare due monoposto finalmente competitive guidate da due piloti determinati a fare del loro meglio davanti al pubblico amico, stimato in circa 70.000 presenze. Unica incognita l’affidabilità, fino ad allora responsabile di tanti ritiri e che coinvolgeva tutti i componenti, inclusi quelli provenienti da aziende esterne. Per questo fu sviluppato un rigoroso sistema di controllo qualità ed effettuata un’analisi accurata dei difetti di volta in volta riscontrati. Era l’inevitabile pegno che la squadra francese doveva pagare per acquisire esperienza: non dimentichiamo che era in F1 solo da due anni…
Ma a Digione questa volta le cose sembra vadano nel verso giusto fin dall’inizio: le due Renault Turbo di Jabouille e Arnoux partono in prima fila davanti alla Ferrari 312 T4 di Gilles Villeneuve, staccata di 2/10 da Arnoux. Al via le vetture aspirate godono di un certo vantaggio, ma i due francesi reggono bene. Specie Jabouille, che si accoda a Villeneuve, mentre Arnoux resta indietro. Attorno a metà gara si accende il duello tra la Renault e la Ferrari. Al quarantasettesimo giro Jabouille passa in testa, accumulando nei successivi dieci giri circa cinque secondi di vantaggio. Villeneuve non riesce a rispondere e anzi perde terreno anche su Arnoux, in rimonta dopo la non brillante partenza. Con Jabouille che amministra il vantaggio per conquistarsi un posto nella storia, i due piloti alle sue spalle si sfidano in un duello che rimarrà negli annali dell’automobilismo come esempio di coraggio e determinazione. Oggi, nella moderna F1 dominata dall’elettronica manca quella fondamentale componente che rendeva spettacolari le corse: l’improvvisazione. In passato, quando le F1 erano davvero difficili da guidare, il pilota puntava proprio su questo fattore, sulla sua sensibilità e la carica agonistica per sorprendere l’avversario. Tutti abbiamo in mente quelle immagini, le curve percorse fianco a fianco, le staccate impossibili e l’assoluta voglia di prevalere ad ogni costo sull’altro, con sportività e un’essenziale dose di fiducia reciproca. Arnoux e Villeneuve erano grandi amici e questo rende ancora più emozionante rivedere quelle immagini consegnate alla storia della F1. Raccontarlo per l’ennesima volta non aggiungerebbe nulla. Alla fine la spuntò Villeneuve per 2/10, ma Arnoux stabilì il giro più veloce della corsa. Ma, cosa ancora più importante davanti a loro, con 15 secondi di vantaggio c’era Jabouille. Il motore turbo, anzi bi-turbo, della Renault aveva vinto la sua battaglia, aprendo una nuova frontiera tecnica che sarebbe stata presto seguita anche dagli altri Costruttori, favorendo uno straordinario sviluppo di nuove tecnologie e materiali che probabilmente sarebbero arrivati sulle monoposto di F1 ben più tardi. Anche la Michelin aveva vinto: il debutto con la Renault l’aveva poi portata a fornire, su richiesta di Enzo Ferrari in persona, le 312T4 che quell’anno conquisteranno il mondiale Costruttori e quello piloti con Jody Scheckter. Le potenze specifiche raggiunte nel giro di pochi anni dai migliori motori turbo raggiunsero vette incredibili e ancora oggi insuperate. Oggi, dopo 35 anni, questa è ormai storia, ma la Renault da allora non ha mai smesso di investire nella F1, continuando a vincere anche quando i regolamenti non le consentirono più di godere dei vantaggi di aver sviluppato per prima un motore turbo.