On the Road negli USA a 80anni: si può fare!

… Una ragazza, un cane, un violino …

di Alberto Bonzi

La magia del numero undici

Undici. Non è un gran numero per il mondo. Almeno per il mondo che, più o meno, la pensa come me.

L’undici settembre del 2001. E non mi va di andare oltre, tanto sappiamo tutti che cosa accadde. Poi è arrivato l’undici aprile del 2011. Di nuovo un undici. E, guarda un po’, undici anni fa.

Questo ha riguardato solo il mio personalissimo mondo.

Io non ho mai creduto alle cose ‘oltre la mente’ certo che a volte però….

Undici minuti possono anche far volare. Lo dice Paulo Coelho nel suo romanzo che porta proprio quel titolo.

Giugno di quest’anno. Utah, Stati Uniti, Boulder Mountain Pass Route 12, 2.928 metri sul livello del mare.

Io su di una Harley. Una ragazza con il suo cane e un violino si materializzano davanti a me. Delle note mi si avvinghiano all’anima . Non mi vergogno, sto piangendo.

Lo sto vivendo, il mio sogno Americano.

Qui Forrest Gump disse: ‘mi sento un po’ stanchino’. E smise di correre. Io ho continuato…

Il sogno americano… rimasto tale

E penso a quell’undici aprile dell’undici. Forse avevo preso un po’ di freddo. Ho avuto una nonna da battaglia, io. Mai messo una maglietta. Acqua fredda al mattino. Una roccia.

Pare che la ‘Paralisi di Bell’, detta anche ‘paralisi a frigore’, non guardi in faccia nemmeno alle ‘rocce’. Delle nonne se ne frega.

Ma sì, mi dicono in ‘pronto soccorso’ è quello che una volta si chiamava ‘colpo d’aria’. Pochi giorni e ti passa. In ‘pronto’ danno sempre del tu…

È che io, tra 11 giorni (eccolo ancora l’11) dovrei andare in America e farmi un bel 3.000 chilometri in moto.

Nei deserti, Nevada, Arizona. Insomma una cosettina così. Lo stregone del ‘pronto’ mi guarda, i ‘Brutos’ al mio confronto erano bella gente.

Tutta la faccia destra caduta, occhio spento. Unico punto positivo; sparite le rughe, solo a destra però.  E sentenzia ‘certo dovresti farcela, quanti anni hai? Sessantotto! Bah non son pochi per quel giro ma sì, stai tranquillo!

Ho ricominciato imprudentemente a pensare di poter tornare a guidare una moto, leggera, circa sei mesi dopo! Non undici, strano.

Tutto tramontato. Il sogno ‘on the road’ Americano da dimenticare. Poi un sacco di altre grane, occhi da rigenerare, anche sbilenche da cambiare.

Ma, oltre a una nonna da battaglia ho anche avuto una madre che a 82 anni attraversava a nuoto il golfetto di San Michele di Pagana.

E non vogliamo andare nei deserti americani con un’Harley, nove amici da urlo e una guida inarrivabile anche se sei un po’ ‘grandicello’, come usa dirsi oggi? Mi son detto.

E son partito. Se non si fosse capito, io son nato con il maestro Benedetto (Benito) ancora abbastanza saldo al governo. L’avrebbero incastrato due mesi dopo o giù di lì.

Finalmente On the Road: il sogno americano si avvera

Così, in un giorno di fine maggio, mi son trovato a Las Vegas e qui calerei un pietoso velo sulla tremenda realtà che, a volte, l’umanità sa mostrare. Non sono un perbenista nè un ‘quacchero’ (etimologicamente: tremante). A Las Vegas è tutto semplicemente ‘brutto’ e ‘grasso’. Un’altra ‘faccia triste dell’America’. Oltre al Messico e nuvole… Credo.

Riapro, prudentemente, gli occhi e vedo che stanno per consegnarmi l’unica motocicletta che ti aspetteresti di guidare in quel Paese Gigantesco. Una Gigantesca Harley. Ovvio no? Timidamente ne avevo chiesta una non proprio estrema.  Richiesta cassata! OK, e ci salgo sopra. O meglio: ci scendo sopra.

on the road

Esco nel cortile tanto grande da veder la curvatura terrestre per fare un po’ di ‘amicizia’ col ‘mostro’.

Ne avevo una quando avevo 18 anni. La guerra (quella di allora non quella di adesso) era finita da poco.

L’avevo vinta, quasi, alla lotteria, una storia lunga di fortune passate.

Insomma era tanto che non mi arrischiavo in un ‘rodeo’ del genere.

Prima impressione: ‘Paolo (la nostra super guida che, come valore aggiunto nasce a Condove), procurami un biglietto di ritorno anticipato. Ho scherzato’.

Poi ci siamo parlati, io ho parlato al mostro a due cilindri. In due ore ci siamo capiti. Mi ha detto: ’Qui ci sono solo Io! Le altre moto in questo Paese che ha queste strade fanno ridere. Se hai un po’ di umiltà e un briciolo di Zen (scusa caro Robert, io, comunque il tuo Zen e l’arte… l’ho letto sei volte) per ‘entrare in me’, io ti farò piangere di gioia. Non pensare di muovermi a spinta. Sotto i due chilometri all’ora comando io e se mi va di cadere cado, tu togliti dai piedi che non succede niente. Palestrati che mi tirino su, qui ne trovi fin che vuoi. Oppure chiami tre o quattro normali grassoni e il gioco è fatto. Oltre quel limite di velocità i giochi li fai tu’.

E così è stato.

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Dieci personaggi in cerca d’autore

Paolo, la nostra superguida e anche ‘autore’. Due belle ragazze a dar simpaticamente ‘gusto’ al gruppo. Sette ragazzi molto meno ‘grandicelli’ di me e io ad aspirar gioventù come un’idrovora.

Verso Sud, qui è come in mare. Sono i ‘cardini’ che guidano. Impari il vento laterale. I mini tornadi di sabbia. Le palle di arbusti staccati che rotolano. E gli spazi che non sembrano aver fine. Poi la Sessantasei.

on the road
A sinistra la nostra insuperabile guida. Io tutto a destra. Mancano tre dei ‘magnifici undici’…

Ho iniziato qui a far parte del tutto. Paure, apprensioni, disagi. Non sono più con me. Inizio a vivere quei momenti che io chiamo di ‘profondo sentire’. Alcuni la chiamano sindrome di Stendhal.

L’ho provata sull’Etna, tra le balene, in mare o tra i pesci martello, con Aldo, in mar Rosso, in volo quando una laminare ti spara su con il variometro a fondo scala.

A La Valletta, davanti alla decollazione di Giovanni  Battista. Quando la Natura (o l’uomo con il buono che ha fatto) vanno in scena e tutto il resto scompare. Io non mi sento male, però. Semplicemente piango di gioia.

Ora si va verso Est, vento forte laterale, sabbia che vola, sassolini che sembrano bucarti la pelle. A braccia nude, la nonna da battaglia approverebbe in pieno. Si cambia fuso orario. E’ Arizona. E’ Grand Canyon. Come il Verdon moltiplicato mille. Lungo 450 chilometri, largo fino a trenta con punte di profondità di 1.800 metri. Una delle meraviglie naturali del mondo. L’infinito dev’esser così.

Sulle strade che qui fan parte dei cieli, e quelli di Arizona possono darti un attimo l’illusione che Gea sia la più bella palla dell’Universo, parlo al mio ‘mostro nero’ che pare ascoltarmi.

Capisco il ‘perchè’ di questa motocicletta unica. Imitata e mai eguagliata come la settimana enigmistica. Ascolto il suo respiro rassicurante e ‘brevettato’. Lo traducono con un prosaico ‘potatoes – potatoes – potatoes’ Non mi piace, preferisco  un cavallo al galoppo. Il peso è identico: tra i 4 ed i 5 quintali.

Oatman, sulla Route 66. Centro dell’epopea dei cercatori d’oro dell’Ottocento. Rimasta così com’era con tanto di asini che circolano liberamente. Siamo in Arizona.

Mi accorgo che le mani sul manubrio sono quasi inutili. Lei sa dove andare. Ora andiamo a Nord.  Intorno deserto di cespugli, qualche cavallo. Ogni tanto incrociamo un camion gigantesco, è ovvio oppure un’auto. Quasi un avvenimento. Qualche villaggio come isole. Forse di nativi. Poi le stazioni di servizio. Oasi. Limonate fredde per i quarantadue gradi al sei per cento di umidità. Dai Alberto, ce la puoi fare.

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I ragazzi sono stati bravissimi a farmi coraggio, non guasta mai, loro non sanno di nonna da battaglia e mamma ondina.

Una sola volta, ma in buona compagnia, mi è preso sonno, guidando in quel mare senza coste. Mi sono sparato una bevanda energetica. L’effetto è stato quello dell’orsetto Duracell. Ballo ancora adesso!

Santa Cleopatra! Adesso ho capito cos’è quel ‘Monster’ che c’era sul cappellino di Valentino!

Prima o poi doveva arrivare. Ed è arrivata la Monument Valley. Territorio e riserva Navajo. E qui, come dicevano Senofonte e mia nonna, l’ho proprio persa la Trebisonda. Mi si perdoni l’accostamento Senofonte-nonna, li accomunano le battaglie.

I ragazzi, con Paolo, erano davanti. L’Harley ed io ci siamo fermati a fotografare, ma solo con quel fantastico sacco amniotico delle nostre emozioni che noi chiamiamo, forse impropriamente, Anima, tutto quello che mi inchiodava in quell’istantanea della mia vita che sarà sempre con me.

L’ho sentita assestarsi, farsi largo, in me, tra le balene, i pesci martello, Caravaggio e altro. Certamente, ora, è tra quelle della prima fila.

Ero fermo, metro più metro meno, dove quel Gigante di Tom Hanks, interpretando, da par suo, la più pura bellezza d’animo che la natura umana possa  esprimere, ebbe a dire ’’… sono un po’ stanchino…’’. E smise di correre. Un istante infinito. Poi Lei ed io siamo ripartiti. I Ragazzi ci aspettavano. Io sono ancora là!

 

Per togliere un po’ di intensità al momento che rischiava di ammazzarmi di emozioni ho cercato il ‘Geococcyx Californianus‘ ma non c’era. Beep-Beep, insomma quello che sbertuccia sempre Willy Coyote.

Beh, Beep Beep ha quel nome lì. La Diligenza di ‘Ombre rosse’ c’era però.

on the road

Se non sbaglio era solo il quarto giorno. Il mio stupendo Sogno Americano sarebbe durato ancora altri quattro giorni straordinari. Forse, per la prima volta, per me, la realtà che mi ha coinvolto, e quasi travolto, è stata superiore, e di tanto, alle aspettative. Ed erano già  altissime.

A proposito di bisonti…

Ora, io ed il mio bisonte, avevamo trovato una buona intesa. Riuscivo persino a fare degli ‘otto’ nelle stazioni di rifornimento. Ammetto che ci sarebbe riuscito anche un camion dei loro con tre rimorchi.

Tutto, là è infinito.

Era già qualcosina, comunque.

on the road
Siamo ancora sulla Route 66, qui si rifornivano le Ford T. Nulla è cambiato.

Il bello del raccontare è che mentre lo fai rivivi quei momenti. Cristina, mia moglie, non ne può più. E’ per quello che mi son messo a scrivere, rovistando nel mio stracolmo sacco, o gerla, di emozioni. Per non tediare taglio corto.

Gli altri quattro giorni?  Quattro fucilate di emozioni. Gli Archi di Moab, Bryce Canyon,  Zion National Park. Poi quella ragazza, quel cane, quel violino. Le note avvinghiate all’anima sono ancora con me.

on the road

E quelle strade semideserte disegnate per quella moto – non ho trovato una curva che non avesse un raggio assolutamente costante – che, a volte, mi hanno fatto capire che cosa possa essere quello che, credo, oggi si usa chiamare ‘sballo’. Io appartengo a due generazioni ‘prima’, quello da farmaci o da erba non lo conosco.

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E Las Vegas, ahimè di nuovo, ma con il ‘sacco delle emozioni’ stracolmo come i carri del fieno, in luglio. Così  l’ho patita di meno questa Bisanzio prima della caduta. O, forse, ‘durante’.

Uno dei tre ‘Roberto’ che erano con noi si differenzia dagli altri due non solo per il cognome, ma perchè ride in un modo che ti vien voglia di incontrarlo ancora. Poi nasce a Rapallo, come me, per lui pero’, la guerra non c’era più da almeno 30 anni. Parliamo genovese! Quelle frasi che pochi sanno.

Tipo ‘picchiarsi con una valigia’. Sì, vuol dire cercare di chiudere una valigia stracolma che non vuol saperne di chiudersi saltandoci sopra come una bertuccia.

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Las Vegas e le sue Bizantine finzioni. Noi e le ragazze che erano con noi, invece, siamo veri.

Alla partenza Roberto si stava picchiando, appunto, con una enorme valigia acquistata a Las Vegas apposta per contenere i ‘pochi ricordini’ che lui e la strepitosa Silvietta – sua figlia – non si erano trattenuti dal comprare. Trattasi, senza ombra di dubbio di ‘acquisto compulsivo ‘. Guaribile, esclusivamente, a seguito di disastrose crisi economiche. Forza Roby, ci siamo quasi.

Insomma lui, sì, Roby, stava saltando sulla valigia ‘ griffata Harley ‘ ovvio, per farci stare un martello di peluche, grosso come un gatto grosso, utilissimo, per altro, per piantar chiodi di peluche!

Guardandolo, divertito, ho pensato che anch’io, forse, avrei dovuto comprare un altro ‘sacco amniotico delle Emozioni’. Il mio era proprio come  la valigia di Roby. Stracolmo oltre ogni immaginazione. E’ che non sono facili da trovare i ‘contenitori di Emozioni’. Le Anime, insomma. Pare che il Diavolo le compri ma pare anche che non le rivenda.

E sono tornato dalla paziente compagna della mia vita. Era un lunedì, l’una e trenta del mattino. Abbiamo tirato le quattro e la mia ‘gerla di Emozioni’ non dava segni di svuotamento.

Lei, quando torno dalle mie ‘cosine’ mi fa sempre la minestra di zucca.  Ora, in buona sostanza, checché se ne dica, la minestra di zucca è un po’ come la  ‘Corazzata Potemkyn’ di Fantozziana memoria.

Ma ti fa sentire a Casa! Le zucche sono le mie. E mi sono sentito bene. In fondo anche ET voleva tornare a casa no!? Anche lui, come me, era in un ‘altro Mondo’.

Che avesse proprio ragione Steve Jobs? Io, se non fossi stato ‘affamato e pazzo’, in America in moto a rosicchiare il mio ottantesimo non ci sarei mai andato. Tutti me l’han detto. Sì, che ero pazzo.

Ma che bello esser pazzi!

Dimenticavo: chi ha qualche minima nozione di aritmetica avrà certo capito quante estati ho ed anche che, nel sogno Americano, eravamo in undici e che il ’22 è il doppio di undici! Undici anni dopo l’undici aprile dell’undici…

Fate bei sogni, e che siano un po’ pazzi!

TESTO E FOTO DI ALBERTO BONZI

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