L’articolo si propone di ripercorrere la storia di questi motori, che ebbero interessanti sviluppi alla Lancia, esponendone criticità e meriti e identificando i motivi del loro successivo abbandono. In effetti, pochi altri costruttori ritennero di impiegarli. Volkswagen sviluppò un motore a V di 15° per le sue automobili più prestazionali, in versioni a cinque (VR 5) e sei cilindri (VR6), applicato dal 1991 al 2007. Ford costruì invece motori a quattro e sei cilindri (famiglia Essex) con V di 60°, dal 1962 al 1981, in vari modelli; questi motori furono anche forniti a SAAB e Matra.
Un’analisi completa di pregi e difetti di questi motori fu svolta da Antonio Fessia, direttore tecnico della Lancia dal 1955, ed esposta in un articolo comparso nel maggio 1964 sulla rivista ATA (Associazione degli Ingegneri dell’Automobile).
Forse l’autore, con questo scritto, intendeva legittimare, di fronte ai clienti e ai tecnici del settore, la Flavia che, copia aggiornata e migliorata della CEMSA F11, usciva dagli schemi abituali della Lancia, con la trazione anteriore e il motore boxer. Da quest’articolo sono tratti alcuni dei dati e delle considerazioni riportate.È opportuno, anzitutto, definire i motori a V normale in contrapposizione a quelli a V stretto, poiché i testi in materia non offrono definizioni precise. Considerando solamente motori con non più di dodici cilindri, si propone di definire normali quelli in cui, allo scopo d’ottenere in modo semplice un’uniforme distribuzione temporale degli scoppi, i piani delle due bancate formano un angolo pari a 720° (quanto necessario per svolgere un ciclo a quattro tempi), diviso per il numero di cilindri: l’angolo del V sarebbe, quindi, 180° per quattro cilindri, 120° per sei, 90° per otto e 60° per dodici. Questa condizione rende possibile l’impiego di alberi a gomiti non molto diversi da quelli dei motori in linea con metà numero di cilindri. Notiamo che, accettando questa definizione, il motore boxer appare essere un V4 e il V6 così definito è ben diverso da quello comunemente diffuso. La scelta dell’architettura a V è preferita quando esiste la necessità di accorciare il motore e in particolare l’albero a gomiti. Un motore a V è poco più lungo di un motore in linea con metà numero di cilindri e l’accorciamento dell’albero a gomiti conseguente è vantaggioso anche per la velocità di rotazione massima raggiungibile in sicurezza.
Il primo brevetto Lancia (fig. 2), relativo a un motore a V stretto, risale al 1915; data per scontata la scelta di un motore a V normale per quanto detto, il brevetto propone un sistema per contenere non solo la lunghezza ma anche la larghezza del motore. Questo risultato appariva utile nei motori aeronautici di quegli anni, nei quali la larghezza del motore condizionava quella della fusoliera; come esempio applicativo dell’invenzione, il brevetto proponeva un motore a otto cilindri, in cui le bancate formavano un angolo di 60° invece dei canonici 90°. Ciò era possibile angolando, di 15° nei due sensi, i perni di manovella rispetto alla posizione assegnata in un motore a V normale.
La fig. 3 presenta la prima applicazione pratica del brevetto, il motore aeronautico Tipo 4, progettato nel 1917; esso prevedeva dodici cilindri a V di soli 50°. Il prototipo costruito aveva una cilindrata di 24.428 cm3 ed erogava 358 CV a 1.470 giri/min; non fu mai prodotto in serie, probabilmente per l’approssimarsi della fine della guerra.
Il principale punto d’attenzione nella progettazione di un motore a V stretto è costituito dalla ricerca delle condizioni geometriche tali da evitare l’interferenza fra le canne, in prossimità del punto morto inferiore, o il contatto, fra bielle e canne a circa metà corsa; con particolare riferimento a questo problema, fu presentato nel 1919 un nuovo brevetto, che proponeva lo schema di fig. 4.
Il motore aveva i banchi disposti in modo che l’intersezione tra i piani degli assi dei loro cilindri avvenisse lungo una retta posta sotto l’asse di rotazione dell’albero a gomiti e non coincidente con esso, come nel primo brevetto. Evidentemente, l’albero a gomiti cambiava leggermente di forma rispetto al caso precedente, dovendo disporsi sempre i perni di manovella in modo che i punti morti dei vari cilindri fossero raggiunti con angoli di fase equispaziati; nello stesso brevetto, si proponeva anche l’introduzione di un incavo nella parte bassa delle canne, per permettere il passaggio della biella, circa a metà corsa.
Il campo di applicazione dei brevetti si trasferì alle automobili. Lo scopo, in questo caso, era anche la riduzione dell’ingombro trasversale in modo così spinto, da rendere possibile l’impiego di una sola testa. I motori per aereo, secondo i brevetti Lancia, potevano essere identificati come un diverso tipo di motori a V, quelli per automobile potevano anche essere immaginati come un particolare tipo di motori in linea.
La ricerca di una larghezza ridotta si adattava allo stile dell’epoca, che prediligeva cofani affusolati, che potessero essere contenuti all’interno dei parafanghi anteriori; il vantaggio era particolarmente evidente confrontando un motore a otto cilindri a V stretto, con un angolo di una decina di gradi, con lo stesso a V normale, con 90°.
Seguendo questo schema, furono presentati due motori simili: il n° 68 nel 1922, con otto cilindri, applicato alla Trikappa (fig. 5) e il n° 67 nel 1923, destinato invece alla Lambda (fig. 6). Entrambi avevano un angolo fra i banchi di 14° e i piani degli assi dei cilindri s’incontravano lungo una retta posta 120 mm sotto l’asse dell’albero a gomiti.
In fig. 7 sono riportate le sezioni del motore Lancia Lambda, impiegato nelle serie successive alla sesta; si noti l’applicazione di bielle leggermente curvate, per evitare il contatto con la canna a circa metà corsa; la testa è unica e presenta le valvole allineate secondo due file, posizionate circa al centro dei due banchi; il loro comando è eseguito con un solo asse a camme con bilancieri.
Oltre alla riduzione di larghezza, si rendeva disponibile un accorciamento considerevole, anche se meno consistente di quello raggiungibile con un motore a V semplice. Questo risultato, utile in un motore a otto cilindri, era immotivato in uno a quattro. Infatti, lo stile delle vetture di quegli anni preferiva cofani abbastanza imponenti, cui anche la Lambda si adattò, lasciando all’interno ampi spazi vuoti, come può vedersi in fig. 8.
Tuttavia, nel pratico impiego, fu apprezzata la facilità di manutenzione che ne derivava, in particolare l’accessibilità a frizione e cambio; inoltre, la posizione del propulsore consentiva una maggior larghezza al pavimento anteriore, rendendo anche possibile il suo abbassamento; il baricentro della Lambda era conseguentemente alquanto più basso di quello delle sue concorrenti.
Per queste ragioni, lo schema fu tramandato a tutti i motori a quattro cilindri costruiti in seguito dalla Lancia, e montati sulle Artena, Augusta, Aprilia, Ardea, Appia e Fulvia, dal 1922 al 1976, oltre che sui motori delle Dilambda e Astura a otto cilindri.
Nel 1950, l’ammiraglia, l’Astura, fu sostituita dall’Aurelia che, visti i tempi, fu dotata di un più economico motore a sei cilindri. Anche questo poteva dirsi a V stretto, poiché aveva un angolo fra le bancate di 60°, contro 120° di un ipotetico V6 normale; fu il primo motore a sei cilindri costruito con architettura a V. L’angolo di 60° fu definito per ottenere la migliore equilibratura; in questo caso, l’angolo fra le bancate imponeva l’uso di due teste, eliminando uno dei vantaggi dei motori a V stretto. Tuttavia, fu l’unico motore Lancia a essere imitato dai costruttori concorrenti; oggi è identificato come V6, senza riferimento al suo schema a V stretto.
Fessia ricevette il compito di sviluppare la nuova generazione Lancia, costituita da Flaminia (1957), Flavia (1960), e Fulvia (1963).
Egli era ben convinto della superiorità della trazione anteriore nel comportamento dinamico del veicolo e tale schema fu applicato alla Flavia e alla Fulvia. La Flaminia, invece, nacque a trazione posteriore per le dimensioni e prestazioni in gioco, con la meccanica dell’Aurelia cui furono apportati opportuni miglioramenti.
È necessario precisare che, secondo le teorie di Fessia, era necessario porre il motore a sbalzo, per migliorare l’aderenza dell’asse anteriore, senza tuttavia eccedere per non rendere l’automobile troppo sottosterzante. Per le auto medie e piccole, dove s’imponeva l’uso di motori a quattro cilindri, erano disponibili tre soluzioni: con motore in linea trasversale, a V stretto e boxer, entrambi longitudinali.
La soluzione a motore trasversale, in quegli anni in sviluppo presso la British Motor, poi lanciata nel 1959 con la Mini, richiedeva un cambio di velocità incorporato nel motore e fu scartata, per la lubrificazione promiscua di cambio e motore e per gli investimenti eccessivi che essa comportava. La soluzione con cambio allineato al motore, che si affermò poi come vincente, non fu giudicata accettabile per il conseguente aumento di carreggiata.
Rimanevano i motori boxer e a V stretto posti in posizione longitudinale.
I motori boxer avevano un ingombro assiale ancora più contenuto di quelli a V stretto e una migliore equilibratura intrinseca ma imponevano l’uso di un basamento in due parti e di due teste cilindri. Nel caso di asse a camme nel basamento e valvole in testa, come nella Flavia, era, inoltre, preferibile l’impiego di due assi, per non allungare eccessivamente le punterie, con limitazioni alla velocità massima di rotazione.
Possedevano, inoltre, un possibile vantaggio di peso, poiché i loro basamenti potevano essere costruiti in lega leggera fusa sotto pressione, con canne in umido, montate con metodi classici. Questa soluzione non era possibile nei motori a V stretto; in questi, la faccia superiore delle canne formava un angolo con il piano della testa, causa di difficoltà per le lavorazioni meccaniche e per la buona tenuta delle guarnizioni. Furono anche studiate soluzioni (motore Lancia 200, in fig. 9) con cilindri disassati e paralleli, disposti in due banchi.
Per questa ragione, il basamento doveva essere costruito in due parti: la prima, comprendente le canne, in un sol pezzo in ghisa fusa, come nell’Appia (fig. 10 e fig. 11); la seconda di alluminio, per il contenimento dell’albero a gomiti. Questo schema fu ancora mantenuto nella Fulvia (fig. 12), come può vedersi nella sezione in fig. 13; per il miglioramento delle prestazioni, furono istallati due assi a camme in testa. Inoltre, il motore fu montato inclinato per diminuirne l’altezza.
Considerando anche gli aspetti funzionali, si nota che i condotti interni nella testa dei motori a V stretto hanno lunghezze differenti fra loro, ciò che tende a produrre una distribuzione della miscela non corretta e una perdita di potenza per unità di cilindrata.
Le tappe evolutive dei motori Lancia mostrano la consapevolezza di questo problema e le contromisure attuate, mai completamente efficaci. Osservando, infatti, la sezione trasversale del motore della Lambda in fig. 7, si nota che esistevano tre condotti longitudinali interni alla testa: uno centrale per l’aspirazione e due laterali per gli scarichi.
Con questa disposizione, il carburatore e il collettore di scarico erano disposti, insolitamente, sull’estremità posteriore della testa (fig. 8). Le pareti laterali erano completamente lisce, una caratteristica estetica apprezzata a quel tempo; per contro, i cilindri erano diversamente riempiti, per la loro diversa distanza dai collettori. Inoltre, esisteva un’importante superficie di scambio termico fra i gas di scarico, il circuito dell’acqua e il collettore di aspirazione, con effetto negativo sulle temperature dell’acqua e dell’aria.
Già nei motori seguenti, solo il collettore di aspirazione percorreva, per un certo tratto, l’interno della testa, mentre quelli di scarico erano esterni, uno per lato del motore.
La sistemazione migliore apparve nel motore dell’Appia (fig. 11), nel quale tutte le valvole di aspirazione furono orientate verso il lato destro del motore e tutte quelle di scarico verso il sinistro; in questo modo, sia il collettore d’aspirazione, sia quello di scarico erano posti all’esterno della testa. Tuttavia si presentavano ancora lunghezze differenti per i condotti interni, che però potevano essere compensate con differenti lunghezze dei condotti nei collettori; era d’obbligo la presenza di due assi a camme nel basamento.
La stessa disposizione fu ripresa per la Fulvia (fig. 13), questa volta con assi a camme in testa.
La forma dei condotti interni causava una notevole complicazione della fusione, che si rende evidente osservando la fotografia di una testa sezionata, in fig. 14.
Fessia si pose il problema di confrontare correttamente le lunghezze dei diversi tipi di motori a quattro cilindri, per decidere fra V stretto e boxer; misurò la distanza fra le facce esterne della prima e dell’ultima maschetta nei diversi casi noti. Per ottenere un parametro indipendente dalla cilindrata del motore, questa distanza fu rapportata all’alesaggio; il valore R così ottenuto indicava in modo imparziale le proprietà delle diverse soluzioni. Si noti la sostanziale equivalenza fra il motore della Fulvia, e quello della Flavia e il notevole vantaggio rispetto al motore in linea di riferimento non meglio noto.
Tipo motore | cilindrata | sopporti | alesaggio | lunghezza | R |
cm3 | mm | mm | |||
Lambda | 2570 | 3 | 82,5 | 250 | 3,03 |
Augusta | 1196 | 3 | 69,8 | 210 | 3,01 |
Aprilia | 1486 | 3 | 74,6 | 213 | 2,85 |
Ardea | 903 | 3 | 65 | 189 | 2,91 |
Appia | 1090 | 2 | 68 | 176 | 2,60 |
Flavia | 1500 | 3 | 82 | 231,5 | 2,82 |
Fulvia | 1091 | 3 | 72 | 207,5 | 2,88 |
Riferimento | 956 | 5 | 65 | 310 | 4,77 |
Un secondo confronto fu fatto misurando la rigidezza flessionale dei diversi alberi a gomiti, valutata applicando un carico al centro, con l’albero appoggiato alle estremità; questo secondo parametro, riportato in fig. 15 è un indicatore indiretto della silenziosità del motore, in particolare per quanto riguarda il battito di banco.
Si concluse, considerando anche questo risultato, che i motori a V stretto e boxer erano approssimativamente equivalenti per la loro lunghezza e presentavano notevoli vantaggi rispetto a quelli in linea.
In questa situazione di sostanziale parità, si decise di applicare il motore boxer, meglio equilibrato ma più costoso, alla Flavia e quello a V stretto alla Fulvia.
Il confronto trascurava tuttavia la diversa incidenza degli ammortamenti, probabilmente perché il sistema di produzione Lancia impiegava macchinario di tipo universale, il cui costo non era sensibilmente influenzato dalle diversità di lavorazione fra i due motori; queste attrezzature erano certamente flessibili ma non certo idonee alla produzione economica di grandi volumi, per l’elevata incidenza della manodopera.
Un sistema produttivo al passo con i tempi avrebbe comportato, invece, l’impiego di macchinari specializzati, organizzati in linee a trasferta, in grado di eseguire molte lavorazioni in parallelo. È ora impossibile rendere evidente il diverso valore degli investimenti nei tre casi (V stretto, boxer e in linea) in modo preciso, potendosi tuttalpiù ricorrere a considerazioni di tipo qualitativo.
I motori in linea, con una sola testa, hanno gli assi delle valvole posti in un solo piano, per le camere di combustione a tetto, o in due piani, per le camere di combustioni emisferiche. Per i motori a V normale e boxer, si possono ripetere le stesse considerazioni per ognuna delle teste. Nei tre casi, tutti i fori (passaggi dell’acqua, dell’olio, delle viti) sono paralleli fra loro e possono essere lavorati contemporaneamente con macchine a mandrini multipli. Altre macchine multiple saranno necessarie per le lavorazioni delle valvole, se inclinate, una serie per le camere a tetto, due per quelle emisferiche.
Nei motori a V stretto, le direzioni di lavorazione aggiuntive si raddoppiano a causa dell’esistenza di due banchi; si raddoppia di conseguenza l’investimento per le macchine di lavorazione delle valvole. Manca, inoltre, la possibilità di lavorare più tipi di motore sulla stessa linea, per quanto sarà detto in seguito. Infine, l’attrezzatura fusoria delle teste sarà più onerosa, per la forma complicata delle parti interne.
Per quanto riguarda il basamento, le lavorazioni previste sono ben più numerose, a causa del blocco in due pezzi e dell’esistenza di tre direzioni di lavorazione distinte: quella dei fori di fissaggio della testa e delle due parti del basamento e quelle dei cilindri, diversamente inclinati.
Si deve anche ricordare che il dimensionamento del basamento dei motori a V stretto è condizionato dai citati problemi d’interferenza; ne consegue che le quote fondamentali per la lavorazione del basamento (si veda la fig. 16), l’angolo del V (q) e il disassamento fra l’asse dei cilindri e quello dell’albero a gomiti (b), dipendono anche dall’alesaggio, dalla corsa e dalla lunghezza della biella (l), come si dimostra confrontando queste dimensioni per alcuni motori a quattro cilindri della Lancia. Per una razionale organizzazione della linea di lavorazione, sarebbe invece auspicabile standardizzare almeno una delle due quote.
Tipo motore | alesaggio | corsa | l | b | q |
mm | mm | mm | mm | ||
Lambda | 75 | 120 | 245 | 15,275 | 14° |
Augusta | 69,85 | 78 | 170 | 13,720 | 18°15’2” |
Aprilia | 74,61 | 85 | 185 | 13,850 | 17°40’ |
Ardea | 65 | 68 | 155 | 14,820 | 17°40’ |
Appia | 68 | 75 | 160 | 18,886 | 10°14’ |
Fulvia | 72 | 67 | 153 | 18,936 | 12°53’28” |
Ne consegue la pratica impossibilità di allestire linee di lavorazione meccanica che possano trattare contemporaneamente motori di cilindrata diversa o durare, come solitamente accade, per tempi più lunghi della vita di un singolo modello.
Tentando a questo punto una conclusione, si possono identificare i motivi per l’abbandono dei motori a V stretto con la difficoltà a produrli economicamente in grande serie e con il superamento del problema dello sbalzo nella trazione anteriore, ottenuto con l’architettura a motore in linea trasversale, oggi d’impiego generalizzato. Rimane, a testimonianza dell’ingegneria motoristica Lancia, il motore V6, applicato ancor oggi in molti motori di grande cilindrata.