Moto Guzzi Le Mans

Moto Guzzi Le Mans: un nome, quello della famosa pista francese, mitico e fortemente rievocativo per gli amanti della Casa di Mandello.

“Sono stato davvero fortunato a trovarne una in queste condizioni”, ci confida il proprietario della moto del servizio.

“Un bel po’ di anni fa giravo con una Lario 650, quella con le teste a quattro valvole. Una moto che mi piaceva molto e che dovetti vendere a malincuore”.

“Quando, passati vent’anni decisi di riacquistare una moto ripensai subito a quella piccola e sportiva Lario, ma qualche chilo in più rispetto al passato mi fecero optare per cilindrate più… consone”.

“Per questo acquistai questa Le Mans 850 da un meccanico che ne conosceva bene la storia e prima della consegna ne ha curato personalmente la messa a punto”.

“E’ stato così bravo che da allora è diventato il mio meccanico di fiducia e mi ha aiutato a completare la mia piccola collezione di grossi bicilindrici mandelliani”.

La versione bianca e nera della Le Mans è, al pari di quella celeste metallizzato e nera, un po’ più rara di quella rossa e nera.

In questi tre colori la Le Mans I, denominazione assunta di diritto dopo l’apparizione della seconda serie, fu prodotta in 7.036 unità.

Tutte hanno in comune quel bel cupolino (che gli inglesi chiamano bikini fairing) che incorpora il faro tondo ed è verniciato con una vistosa fascia frontale arancio fluo.

Concorrenza fortissima

Era la concorrente diretta di Laverda 1000 tre cilindri, Ducati 900 SS, BMW R90S e, tra le giapponesi, della Kawasaki Z900.

Alla prima serie seguì la Le Mans II, presentata nel 1978 e caratterizzata da un’estesa carenatura e che rappresentava la versione più sportiva della turistica 1000 SP.

Prodotta fino all’81 in poco più di 7000 esemplari, fu seguita dalla terza serie, che tornava a una carenatura meno estesa e aveva un’estetica simile a quella dei modelli V35 e V50, coi quali peraltro condivideva solo l’architettura del motore e la forma squadrata dei gruppi termici.

Fu prodotta fino al 1985 in circa 10.000 esemplari e per circa un anno restò in listino insieme alla successiva versione di 1000 cc.

Fu questa il tentativo di rendere moderna una moto che era ormai obsoleta: la concessione alla moda del periodo che vedeva l’utilizzo di una ruota anteriore da 16″ (peraltro presto ritornata a 18″) e l’estetica poco convincente furono fattori che ne decretarono l’insuccesso presso il pubblico, attratto ormai da mezzi tecnicamente più avanzati.

Presentata nel 1984 fu prodotta in 6.343 esemplari prima di uscire di produzione circa dieci anni dopo.

Tonti Frame

Così gli amici inglesi battezzarono il telaio della Guzzi V7 Sport, la moto che diede una svolta alla produzione della bicilindrica di Mandello, creata per essere un’affidabile motocicletta destinata a motorizzare il corpo della Polizia e trasformata poi in una tranquilla granturismo di buone ma non certo esaltanti prestazioni messa in vendita nel 1967.

La V7, nella sua forma originale, fu l’ultimo lavoro che l’Ufficio Tecnico della Moto Guzzi portò a termine sotto la direzione dell’ingegner Giulio Carcano.

Gli succedette il romagnolo Lino Tonti, un passato alla Aermacchi, alla Bianchi e creatore della famosa Linto 500 GP, il cui motore era ottenuto dall’accoppiamento di due gruppi termici Aermacchi Ala d’Oro 250 su un carter disegnato appositamente.

Uno che ci sapeva fare, insomma. Sotto la sua guida, nel 1969 nacque la V7 Special, col motore portato da 703,7 (80 x 70 mm x 2) a 757 cc (83 x 70 mm x 2), e quindi la 850 GT, col motore ulteriormente maggiorato a 843,6 cc portando la corsa a 78 mm.

Ma il capolavoro di Tonti fu senza dubbio la versione Sport, nata dopo che nel 1970 la Casa di Mandello debuttò nelle gare per derivate di serie, allora agli albori, con una V7 Special col motore ‘minorato’ (il diametro dei pistoni passò da 83 a 82,5 per ottenere 748 cc) cosicché potesse rientrare nei limiti della categoria 750.

Pezzo forte della Sport era il telaio, di struttura convenzionale a doppia culla chiusa, che vantava un’eccellente rigidezza torsionale ed era caratterizzato dalla parte inferiore della culla scomponibile per facilitare lo smontaggio del motore e da due nodi principali in cui erano alloggiati i cuscinetti a rullini di supporto del forcellone oscillante e del braccio entro cui passa l’albero della trasmissione alla ruota posteriore.

Dalla pista alla strada

La V7 Sport debuttò in pista a Monza nel 1971, classificandosi al terzo posto nella ‘500 Chilometri’ con la coppia Riva-Piazzalunga. Già nel 1972 le V7 Sport ebbero il motore 850 e in questa configurazione parteciparono anche al Bol d’Or, la più famosa corsa motociclistica di durata che si disputava a Le Mans.

Non fu dunque un caso se a fine ’72 apparve il prototipo della Sport col motore 850, i freni a disco su entrambe le ruote (la V7 Sport aveva ancora i tamburi), un esteso cupolino e la scritta ‘Le Mans’ sui fianchetti.

Fu solo l’anteprima di ciò che sarebbe avvenuto nel 1975, ovvero l’anno in cui la Le Mans giunse al pubblico nella sua veste definitiva.

Un po’ in ritardo, se vogliamo, ma le priorità aziendali (in quel periodo la Moto Guzzi era parte del Gruppo De Tomaso che controllava anche la Benelli) fecero si che l’uscita della Le Mans passasse attraverso un paio di passaggi intermedi che, seppur significativi, diminuirono l’impatto che la moto avrebbe potuto avere sul pubblico nel già nel 1972.

Aveva la frenata integrale

La Sport, infatti, guadagnò due freni a disco anteriori nel 1973 trasformandosi nella 750S e quindi la frenata integrale con tre dischi (brevettata da Moto Guzzi grazie alla collaborazione con la Brembo) col successivo modello S3, posto in vendita poco prima che al Salone di Milano del 1975 fosse presentata la V850 Le Mans.

Il risultato di questa lunga gestazione è la moto che abbiamo fotografato.

Non esattamente: la primissima serie, arrivata ai concessionari nel 1976 in poco più di 200 esemplari aveva il supporto del fanale posteriore (un CEV di forma più tonda) ricavato direttamente nella sagoma del parafango.

Successivamente il supporto fu separato e il fanale ebbe una forma rettangolare, come sulla moto del servizio. I primi telai riportano il numero VE11111.

I due grossi carburatori Dell’Orto PHF36 da 36 mm dotati di pompetta di ripresa per migliorare il ‘passaggio’ in accelerazione, richiedevano un certo sforzo per l’azionamento e la manovra non era facilitata dalle manopole di gomma piuttosto dura, che non garantivano una sufficiente presa alle mani.

E’ la Moto Guzzi più bella dell’era moderna?

Delle bicilindriche Moto Guzzi la prima due serie della Le Mans è senza dubbio quella esteticamente più gradevole.

Solo il coperchio anteriore dell’alternatore e i coperchi delle punterie erano lucidati.

I tubi di scarico e i silenziatori erano verniciati nero opaco e sono perfettamente intonati alla veste cromatica della moto, qualunque sia il colore scelto.

I comandi al manubrio non sono un portento, sia esteticamente sia come fattura; sotto questi aspetti i corrispondenti componenti giapponesi erano ben superiori.

Anche gli strumenti Veglia Borletti, poco ricercati graficamente, funzionano bene a patto che i cavi di trasmissione siano in buone condizioni e non facciano curve troppo brusche, fattore importantissimo per strumenti meccanici come questi.

Essi sono incastrati in un cruscotto di plastica nel quale ci sono anche una serie di spie curiosamente realizzate con sottili strisce di plastica colorata.

Rispetto alla V7 Sport si vede comunque una svolta stilistica, anche se non radicale.

Alcuni componenti non sono all’altezza

Il serbatoio manteneva la forma del passato, ma perdeva le decal con l’Aquila per esibire due placchette metalliche applicate sui fianchi e aveva il tappo ad apertura rapida con la cerniera su lato opposto.

Spiccavano le ruote in lega leggera da 18″ realizzate appositamente dalla FPS, i due fianchetti dalle forme squadrate e una sella coi volumi che sembrano tagliati con l’accetta e sormonta la parte posteriore del serbatoio creando un gradevole motivo estetico.

E’ incernierata dietro e si solleva come un cofano per dare acceso ai componenti elettrici.

La forcella ha gli steli da 35 mm e i foderi grigi che diventeranno neri opachi solo nell’ultima parte della produzione della prima serie.

E’ un componente di non eccelsa qualità nel quale, come nella moto del servizio, si interveniva sull’idraulica utilizzando componenti più evoluti, come ad esempio quelli della Bitubo.

Una curiosità: l’interasse tra gli steli varia tra la Le Mans I e la Le Mans II, mentre per la Le Mans III si è tornati al valore iniziale.

Questo implica che le ruote non sono intercambiabili, essendo di conseguenza anche l’interasse dei dischi variato in modo sensibile.

Riguardo i freni, davanti ci sono due dischi di diametro 300 mm e dietro un disco da 242 mm.

Come noto il sistema integrale azionava un disco anteriore e il posteriore col pedale e l’altro disco anteriore con la leva al manubrio.

Motore V7 vitaminizzato

Le misure caratteristiche restano quelle di 83 x 78 mm dell’850 GT.

La distribuzione ad aste e bilancieri comanda due valvole per cilindro rispettivamente da 44 e 37 mm per aspirazione e scarico (sulla 750 Sport erano 41 e 36 mm).

Il motore della Moto Guzzi Le Mans, rispetto a quello del prototipo derivato dalle moto da corsa impiegate dal 1972 in poi, fu reso più adatto all’uso stradale, pur rappresentando un passo avanti in termini di prestazioni rispetto al V7 Sport.

I carburatori da 40 furono ridotti a 36 mm, gli ingranaggi del cambio passarono dalla dentatura ‘dritta’ a quella elicoidale, i cilindri in lega leggera ebbero una più tradizionale canna in ghisa riportata anziché il cromo e il rapporto di compressione fissato al valore di 10,2:1.