Me lo ha confermato un amico che qualche mese fa, su mio consiglio, aveva ordinato la sua nuova auto: la consegna è in ritardo a causa della penuria di componenti elettronici che sta fermando molte produzioni in tutto il mondo. Linee ferme per spostare i componenti più difficili da reperire sui modelli maggiormente richiesti, impoverimento della dotazione (ad esempio eliminando il navigatore integrato in favore di app esterne) e difficoltà anche nell’aftermarket, con un contingentamento anche dei ricambi, sono gli ulteriori effetti di questa situazione. Un disastro di cui forse non si parla abbastanza e che impatta sull’industria automotive e coinvolge l’utente finale, mettendo in forte difficoltà i dealer in un periodo in cui si sta facendo il massimo per far risalire i volumi dopo ciò che è successo l’anno scorso.
SEMPRE PIU’ DIPENDENTI DALL’ELETTRONICA
I semiconduttori sono diventati componenti chiave sulle auto dotate dei più moderni sistemi di infotainment, dashboard digitali e sofisticati controlli elettronici che hanno moltiplicato il numero di centraline a bordo veicolo. D’altra parte la pandemia ha aumentato fortemente le richieste della cosiddetta ‘elettronica di consumo’, ovvero smartphone, tablet, laptop e consolle ludiche, facendo impennare gli ordini dei fornitori di elettronica che, a causa del crollo delle commesse da parte di altri settori, hanno dirottato la loro capacità produttiva dove maggiore è la richiesta. Se aggiungiamo che l’automotive è un cliente tutto sommato piccolo (assorbe meno del 10% dei volumi produttivi dell’elettronica) e che il 70% della produzione di elettronica per l’auto arriva da un singolo produttore, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), è chiaro che l’allarme sta diventando rosso. Anche perché in Europa si produce solo il 10% del fabbisogno complessivo e che solo per raddoppiare questa quantità servirebbero decine di miliardi di euro e tempi realizzativi non certo adeguati a risolvere una crisi che si pensa possa perdurare a lungo.
LA CRISI SECONDO L’ANFIA
Per approfondire il tema abbiamo chiesto aiuto all’ANFIA, nella persona del dottor Marco Stella, Presidente Gruppo Componenti ANFIA e CEO DTS. Ovviamente l’associazione che rappresenta i principali attori dell’industria automotive italiana è preoccupata per questa situazione e segue con attenzione l’evolversi della situazione: “Il problema è partito dalla scarsa disponibilità di semiconduttori, semplificando i cosiddetti chip, rilevata nell’autunno 2020 e che ha iniziato a dare problemi alle filiere produttive a partire da dicembre. Con la ripartenza abbastanza sostenuta e in parte inattesa che c’è stata nel 2021, al tema della scarsità di semiconduttori si è aggiunto anche l’aumento dei costi delle materie prime utilizzate nel mondo dell’auto. Non solo. A questo si è sovrapposto qualche problema logistico innescato dall’aumento spropositato e inatteso del costo dei noli dei container provenienti dalla Cina. Cito anche, per completare il quadro, il blocco del Canale di Suez e quello del porto di Yantian a causa dei casi di positività da variante delta del Covid. Tutti fattori che insieme hanno fatto contrarre la produzione industriale e alla chiusura parziale o totale di taluni stabilimenti, con i conseguenti ricorsi agli ammortizzatori sociali”. Un quadro per molti versi apocalittico a cui non sembra facile trovare in tempi brevi un rimedio: “Difficile semplificare le cose e fare una sintesi della situazione. Quello che è certo è che il settore dell’auto nel 2020 ha dato un forte shock alla richiesta di componenti, arrivando in alcuni casi ad azzerare gli ordini. Questo ha senza dubbio aperto la porta ad altri settori che invece a causa della pandemia hanno aumentato i volumi produttivi”.
IL VERO ‘PESO’ DELL’INDUSTRIA AUTOMOTIVE
In effetti il fenomeno va interpretato in una dimensione globale, assegnando il reale peso sui volumi produttivi mondiali a ogni settore merceologico. Solo così si può capire come poter venire fuori da questa situazione. E in questo contesto ci sono delle sorprese. “Non è facile attuare dei correttivi anche perché i volumi di componenti elettronici generati dall’industria automotive sono bassi, solo il 7-8% di un mercato dominato dal settore degli smartphone, dei computer e in generale dalla cosiddetta filiera dell’elettronica di consumo. A peggiorare la situazione si aggiunge il fatto che circa il 50% della produzione è concentrata su un solo produttore taiwanese che per non fermarsi nel periodo di lockdown ha dovuto orientarsi su altri settori”. Settori che hanno continuato il trend positivo e stanno quindi generando eccellenti profitti a produttori, che ora faticano ad abbandonarli per tornare verso i loro clienti storici: “Si pensava che la situazione sarebbe tornata normale nel primo semestre del 2021 ma che ormai crediamo si protrarrà anche nel 2022. Paradossalmente la montagna insormontabile da scalare che pareva essere la ripresa produttiva dopo il lockdown è passata in secondo ordine”.
I CHIP SONO SOLO L’INIZIO
Parlando delle materie prime il rame ha avuto delle variazioni sostanziose di prezzo (+120%) ed essendo questo materiale fondamentale nell’ambito dell’elettrificazione c’è da aspettarsi che il prezzo si terrà su livelli alti anche in futuro. Anche la produzione di materie plastiche ha avuto una serie di problematiche che ne ha rallentato la produzione e aumentato i prezzi. Se a questo aggiungiamo che anche nel settore delle materie prime l’industria dell’automotive ha una bassa rilevanza rispetto ad altri settori, si comprende come anche qui manchi una forte capacità contrattuale verso i produttori. “Così come per l’elettronica, anche l’aumento del costo dell’acciaio non è certo dovuto al calo di richiesta da parte dell’industria dell’auto”, aggiunge Stella.
COME SI STA ORGANIZZANDO L’AUTOMOTIVE
“Le Case seguono diverse filosofie”, continua Stella. “C’è chi, dovendo utilizzare al meglio lo scarso stock di componenti elettronici a disposizione, privilegia vetture di maggiore valore aggiunto, sacrificando le consegne delle vetture dei segmenti inferiori, e chi fa il contrario, fermando le linee dei prodotti top di gamma per soddisfare le richieste dei segmenti che fanno maggiori volumi. In Italia i ritardi di consegna collidono con il piano degli incentivi statali, che vengono erogati solo se dalla richiesta alla consegna passa un lasso di tempo definito. Per questo motivo ANFIA ha chiesto al Governo di portare a 300 giorni il tempo che intercorre da ordine a consegna al cliente”.
PREZZI DEI COMPONENTI INCONTROLLATI?
Non è da escludere che la situazione possa andare a influire sui prezzi, essendo normale cercare i maggiori profitti: “Il motto ‘cash is king’ vale ancor più in certe situazioni ed è chiaro che i più forti cercano di utilizzare questa leva per aumentare il fatturato. Ritengo però che questo fenomeno sia transitorio e che rientrerà quando la capacità produttiva si riadeguerà alle richieste del mercato. Devo dire, a svantaggio dell’automotive, che il nostro è un prodotto industriale molto complesso, che richiede soluzioni tecnologicamente avanzate, livelli di qualità elevati e prezzi molto competitivi. Non siamo certo i clienti più desiderabili quando un fornitore ha la possibilità di scegliere”.
QUALE POSSIBILE SOLUZIONE?
Da quanto abbiamo esposto è chiaro che il problema non è di facile soluzione, e lo è ancor più considerando il relativamente basso potere contrattuale dell’industria dell’auto in un contesto di questo genere. Tuttavia si sta cercando di trarre qualche indicazione utile a gestire meglio in futuro una situazione del genere ed è subito chiaro che questo fa venire a galla i limiti della delocalizzazione indiscriminata attuata negli ultimi trent’anni: “Occorre innanzitutto fare una riflessione su qual è la nostra autonomia dal punto di vista dei processi primari e questo apre un capitolo che ha a che vedere con le iniziative che si stanno mettendo in campo per rilanciare l’economia europea nel post pandemia”, precisa Stella. “Se dobbiamo fare delle auto elettriche alimentate a batteria dobbiamo avere delle gigafactory in Europa. Non possiamo pensare di acquistare il litio tutto dall’Asia o da Paesi che sono controllati dal mondo asiatico. Essere più autonomi in questo settore come pure in quello delle tecnologie di produzione dei microchip diventa indispensabile. In Spagna si stanno riattivando i giacimenti di litio e lo stesso capita anche altrove, con l’obiettivo di raggiungere in pochi anni l’80% di indipendenza. Una visione fondamentale in un periodo in cui l’Europa sta stanziando forti investimenti per il ‘recovery’ dell’economia, con impatto non solo sulle industrie ma anche sulle infrastrutture e in generale sui cittadini. Non è accettabile che questi soldi escano dall’Europa”.
LA POSIZIONE ANFIA
Parole, quelle di Marco Stella, che anche se non potranno vincolare le scelte dei massimi poteri fanno onore a un’associazione come ANFIA che, insieme alle omologhe europee, ha il dovere di far sentire la voce dei suoi rappresentati: “Noi ci siamo mossi subito e devo dire che abbiamo trovato sempre un’ottima apertura al dialogo. Abbiamo coinvolto il Governo sia per mezzo del Ministero dello Sviluppo Economico sia di quello degli Affari Esteri per sensibilizzare sul problema dei semiconduttori e sul comportamento di questa azienda taiwanese che monopolizza il settore. Nel settore delle materie plastiche abbiamo osservato, tra le altre misure, come debba essere rivisto il ruolo dell’eni, un’ente che in passato aveva nelle settore della chimica e delle materie plastiche un ruolo vitale”. Una considerazione, quest’ultima, che ci pare estremamente centrata e mette sul piatto la necessità di aumentare la ‘massa critica’ della nostra industria (e l’esempio di eni, che sappiamo essere davvero un gigante sia in termini di forza lavoro sia di strutture e di know-how tecnologico, è calzante) per darle maggior rilevanza a livello europeo per contribuire a quel distacco dalle sudditanze verso Paesi che molte delle tecnologie di cui oggi si vantano le hanno imparate dall’Occidente.