In tema di emissioni si avvicinano nuovi traguardi e nuove modalità di testing. In questo articolo facciamo il punto della situazione.
COSA È ACCCADUTO NEGLI ULTIMI ANNI
Negli ultimi 5 anni abbiamo seguito da vicino gli sviluppi normativi in tema di emissioni, in modo particolare per quanto riguarda il CO2. Le emissioni rilevate in sede di testing sono, per l’appunto, quelle relative al CO2 e quelle relative agli “inquinanti”, i quali comprendono il CO (monossido di carbonio), gli HC (idrocarburi), gli NOx (ossidi di azoto) e le particelle. Il CO2 è un gas responsabile dell’effetto serra e, come tale, contribuisce a determinare un aumento delle temperature medie globali. Inoltre, dal punto di vista tecnico, il CO2 emesso da un veicolo è direttamente correlato al suo consumo di combustibile. Per queste ragioni in questo articolo ci interessiamo specificamente a questa tipologia di emissioni.
Quando si tratta di quantificare la percentuale di emissioni di CO2 imputabile agli autoveicoli (intesi come vetture e furgoni) vi è accordo tra i dati dell’ACEA e quelli forniti da Transport & Environment (la nota organizzazione indipendente che si occupa, tra l’altro, di questo specifico problema). Infatti, secondo i dati forniti dall’ACEA, il settore dei trasporti è responsabile del 25% delle emissioni di CO2 ma solo il 13% è dovuto agli autoveicoli (cars and vans). Se invece prendiamo i dati di T&E (abbreviazione di Transport & Environment), questa percentuale risulta essere del 12,5% (con riferimento all’Europa). Una prima considerazione che ci sorge spontanea, pertanto, é che le automobili troppo spesso sono state additate all’opinione pubblica come le principali responsabili delle emissioni di gas serra, mentre esse contribuiscono a tali emissioni solamente in misura del 13% circa.
Pertanto l’automobile ha un peso minoritario nell’ottica globale del problema e, inoltre, il settore dell’auto è riuscito a raggiungere in anticipo (nel 2013) gli obiettivi preventivamente fissati per il 2015, cioè la soglia limite di 130 g/km di CO2. In realtà il valore raggiunto con due anni di anticipo è stato di 127 g/km, cioè 3 g/km inferiore a quello stabilito. Occorre anche ricordare che, come abbiamo visto negli articoli che in un recente passato abbiamo dedicato all’argomento, può esistere una discrepanza tra i dati ufficiali e quelli riscontrati dalle organizzazioni indipendenti nel cosiddetto Mondo Reale (Real World). Dopo anni di informazione indipendente da parte di organizzazioni come T&E o siti internet come <www.spritmonitor.de> oggi anche le Case automobilistiche ammettono tali discrepanze, contribuiscono al dibattito ed adoperano anch’esse l’espressione Real World per indicare cosa accade nella realtà (distinta da quanto viene misurato nei laboratori di prova). La differenza sostanziale tra quanto affermano i Costruttori e quanto sostengono le Organizzazioni indipendenti risiede però nelle motivazioni delle discrepanze che si hanno tra i risultati dei test ed il Mondo Reale.
Per le Case le ragioni sono puramente tecniche e cioé legate al notevole progresso in campo autoveicolistico che, in trent’anni, ha reso obsoleto il test messo a punto negli anni ’80. Secondo T&E, invece, le ragioni del discostamento dei dati ufficiali dal Mondo Reale sono da attribuirsi ad una scrupolosa messa a punto dei veicoli sottoposti ai test, con il conseguente ottenimento di una performance difficilmente riproducibile nella realtà quotidiana. L’edizione 2016 del rapporto “From Laboratory to Road”, recentemente rilasciata dell’ICCT (International Council on Clean Transportation), mostra peraltro che il divario tra le emissioni di CO2 misurate in sede di omologazione e quelle del Mondo Reale continua a crescere. Secondo i dati a disposizione degli autori (che prendono in considerazione 1 milione di veicoli, 13 fonti specializzate e sette Paesi europei interessati) tale divario è passato dal 9% circa, registrato nel 2001, al 42% del 2015. I test di laboratorio sulle vetture offrono comunque il vantaggio di poter stabilire un confronto tra le emissioni di CO2 e il consumo di carburante dei diversi modelli, oltre ad essere procedure standardizzate e ripetibili. Il dibattito attuale, piuttosto, si incentra sulla necessità di disporre di un nuovo test, più moderno e realistico rispetto all’NEDC (New European Driving Cycle), ormai troppo datato come del resto viene oggi unanimente riconosciuto.
Proprio per queste ragioni il nuovo ciclo, denominato WLTP (Worldwide harmonized Light vehicles Test Procedure), prenderà in considerazione una serie di fattori, tra i quali rientrano accelerazioni e decelerazioni più realistiche rispetto ai lenti transitori attuali, per poter fornire dati più vicini a quelli della guida in condizioni reali. Tuttavia, secondo la stessa ACEA, i test di laboratorio non sono in grado di tenere conto dei comportamenti alla guida, delle condizioni del traffico e delle condizioni meteorologiche. E’ stato però previsto di effettuare prove anche al di fuori dei laboratori, cioè su strada. Questa ulteriore modalità di prova costituisce l’RDE (Real Driving Emissions). Ciò darà un contributo determinante all’ottenimento di dati quanto più possibile realistici. Esiste una roadmap, che prevede che il WLTP sia introdotto a partire da settembre del 2017 per i nuovi tipi di veicolo, mentre la scadenza prevista per tutte le nuove immatricolazioni sarà posposta di un anno. Resta fissato, in ogni caso, il limite per le emissioni di CO2 già previsto per il 2020, che è di 95 g/km (questo limite, dopo un lungo dibattito nelle sedi istituzionali europee, verrà introdotto gradualmente entro il 2021).
E’ interessante notare come, dal 1995, si sia passati da un valore di 186 g/km ai 130 g/km del 2015, che dovranno scendere a 95 g/km per il 2021. Già oggi si pensa a un nuovo limite per il 2025, che dovrebbe essere situato tra 68 e 78 g/km di CO2. Per l’automobilista comune, che non è necessariamente un esperto in campo tecnico, ma deve far quadrare i conti ogni mese, la riduzione delle emissioni di CO2 equivale logicamente a risparmiare. Il limite fissato per il 2015, che come abbiamo visto era di 130 g/km, corrisponde infatti ad un consumo di 5,6 litri per 100 chilometri (per i motori a ciclo otto). Il nuovo limite stabilito per il 2021, di 95 g/km di CO2, corrisponde ad un minor consumo da quantificarsi in 4 litri (sempre di benzina) per 100 chilometri. In altri termini, un limite fissato a 95 g/km significa un risparmio monetario di 500 euro l’anno per l’automobilista medio (risultato ottenuto facendo i conti con i prezzi alla pompa praticati oggi). Su scala continentale, nel 2012 l’Unione Europea ha importato petrolio equivalente a 350 miliardi di Euro, di cui un terzo destinato alle automobili. E’ evidente che tale fabbisogno verrebbe ridotto in maniera consistente dal risparmio di carburante reso possibile a seguito dell’introduzione del nuovo limite per le emissioni di CO2.
Le prospettive per i motori a combustione interna
Gli esperti di Transport & Environment si sono domandati se il limite di 95 g/km di CO2 richiederà un notevole incremento della percentuale di veicoli elettrici (che servirebbero ad abbattere le emissioni complessive del parco circolante dei veicoli nuovi). Sorprendentemente la risposta è un no. Infatti, secondo la CLEPA (l’organizzazione dei fornitori del comparto automotive), nel 2020 i veicoli elettrici saranno tra il 2% e il 5% del totale. Tuttavia l’introduzione di nuovi limiti per il futuro prossimo (2025) potrebbe fornire un importante stimolo per il mercato. Secondo T&E una legislazione improntata al contenimento dei consumi “é lo strumento più efficiente per garantire un mercato per tecnologie avanzate, a basse emissioni di CO2, e spronare gli investimenti in ricerca, sviluppo e fabbricazione”.
Insomma, la progressiva riduzione dei limiti per il CO2 non sembra più essere vista come una “minaccia” per l’industria dell’auto, ma come un’opportunità. Jean-Marc Gales, CEO della CLEPA, ha dichiarato alla Reuters: “L’industria europea é considerata un leader mondiale. Abbiamo bisogno della regolamentazione per mantenere questo vantaggio”. Anche Mercedes-Benz sembra essere in sintonia con questa filosofia di sviluppo. Infatti, in una recente intervista, è stato chiesto al Prof. Dr. Thomas Weber, responsabile del settore ricerca e sviluppo di Mercedes se, visto che le auto elettriche ed ibride sono oggi pubblicizzate come i sistemi di propulsione del futuro, questo significasse che l’era del motore a combustione interna fosse finita. La sua risposta è stata: “Non credo.
L’ottimizzazione di motori avanzati ad alta tecnologia gioca un ruolo chiave nella nostra road map verso la mobilità sostenibile
Per la mobilità del futuro, ci stiamo deliberatamente impegnando non verso un’unica forma di propulsione, ma verso una coesistenza di motori a benzina efficienti e puliti, diesel, ibridi plug in, sistemi di propulsione a batteria e idrogeno. Ognuno di questi tipi di propulsione ha la sua giustificazione e prospettive future”. In aggiunta a ciò, il Prof. Weber ha sottolineato come in Mercedes si sia riusciti “a tagliare i consumi della nostra flotta di veicoli, rilevati secondo il ciclo NEDC, praticamente della metà in 20 anni grazie al rigoroso avanzamento del motore a combustione interna”. Dal contributo di tutte queste voci di esperti ed operatori del settore autoveicolistico sembrerebbe proprio che i motori a combustione interna avessero ancora molto da dire, anche se ogni tanto sentiamo affermare il contrario, più da parte di qualche politico che dei tecnici. Una scelta tecnica razionale sarebbe invece quella di far “dimagrire” i veicoli, perseguendo la progettazione di vetture più leggere e, quindi, più efficienti nei riguardi dell’utilizzo del combustibile.
Parliamo ancora del Criterio dell’Impronta (Footprint)
Secondo Transport & Environment non è corretto che, per attribuire gli obiettivi ai singoli produttori, ci si basi sul peso delle vetture da essi costruite. Ciò, come abbiamo già visto in passato, può condurre ad un circolo vizioso, per cui chi costruisce auto pesanti non é incentivato a perseguire la leggerezza in quanto viene di fatto agevolato dalla normativa vigente. La soluzione sarebbe quella di prendere a riferimento l’impronta (Footprint) del veicolo. Il criterio del peso, invece, porta a differenziare gli obiettivi attribuiti alle Case sulla base del peso dei veicoli da esse prodotti in un determinato periodo, comparato al peso medio dei veicoli prodotti da tutta l’industria.
Il consumo è legato essenzialmente ad accelerazione, resistenza al rotolamento, pendenza e resistenza aerodinamica. Solamente la resistenza aerodinamica non è legata direttamente al peso del veicolo, per cui sarebbe altamente opportuno ricercare la massima leggerezza possibile nella progettazione. Secondo i ricercatori della Lotus, come avevamo già visto, sarebbe possibile rendere la vetture più leggere del 33% entro il 2020, con un costo dei componenti maggiore del 3%, ma ottenendo un risparmio del 23% del carburante e, quindi, di CO2. A partire dagli anni ’90, invece, il peso dei veicoli è cresciuto, talora per necessità ma, in altri casi, senza una effettiva giustificazione tecnica o normativa. Il termine Footprint indica il prodotto della carreggiata media per il passo del veicolo e corrisponde, pertanto, all’area del rettangolo che si ottiene congiungendo i mozzi delle quattro ruote, considerando il valor medio della carreggiata. In altri termini si tratta della proiezione sul terreno del volume utile effettivamente a disposizione dei passeggeri, da cui si evince l’utilità ed il significato dell’impronta (mentre un peso maggiore in sé non è un fattore di utilità).
Ne avevamo parlato tre anni fa ma, stante la situazione normativa, si tratta di un argomento sul quale appare opportuno ritornare. Se dunque, come già avviene negli Stati Uniti, si adottasse come riferimento il Footprint anziché il peso del veicolo, sarebbe logico attendersi ricadute positive sulla progettazione, che sarebbe incentivata nella direzione di una maggiore leggerezza ed efficienza complessiva del sistema, con una immediata riduzione di consumi ed emissioni (in particolare di CO2). Tuttavia vi sono anche alcuni autori che hanno mosso delle critiche al criterio del Footprint, sostenendo che esso non incentiverebbe la produzione di auto più piccole (anche se incoraggia quella di auto più leggere). Secondo una fonte di Bruxelles, se vi sarà la necessaria volontà politica, il Criterio del Footprint potrebbe entrare a far parte anche delle normative europee, in particolare in relazione ai nuovi obiettivi da fissare per il 2025. Una prima proposta in tal senso, secondo rumours che circolano in ambienti della UE, potrebbe essere presentata nell’estate del 2017.
Ricordiamo anche che nel 2009 e nel 2011 i capi di stato della UE hanno convenuto di tagliare, entro il 2050, le emissioni complessive dell’80÷95%, in confronto ai livelli del 1990. Ciò significa che il comparto dei trasporti dovrebbe tagliare le proprie emissioni del 60% per il 2050. Quando, nel 2007, si iniziava a discutere di limiti per le emissioni, venne avanzato il timore che le vetture potessero divenire troppo costose, ovvero non più alla portata di molti consumatori. Secondo T&E invece “Le auto sono divenute più economiche di quasi il 15% dal 2002. E’ stato stimato che i costi necessari per raggiungere l’obiettivo dei 95 grammi saranno ripagati nell’arco di due-tre anni dai minori costi per il carburante… Per i proprietari delle vetture di seconda mano i benefici ammonteranno a diverse migliaia di Euro durante la vita utile della vettura”. Questo perché sappiamo che un limite più basso per le emissioni di CO2 equivale anche a ridurre i consumi, con risparmi per gli automobilisti che si concretizzano nell’arco del tempo. L’industria europea non può competere con quella dei Paesi emergenti in termini di costi, ma possiede un know how unico, nel quale rientrano le conoscenze relative al contenimento delle emissioni, cioè all’efficienza energetica, che nello scenario attuale rappresentano una risorsa tanto preziosa quanto irrinunciabile.