Se fino a qualche decennio fa le motorizzazioni disponibili erano soltanto quattro, diesel, benzina, GPL e metano, oggi assistiamo a un livello di frammentazione incredibilmente elevato. D’altronde, il veloce sviluppo delle normative europee ha inevitabilmente tracciato la strada verso un futuro quasi esclusivamente elettrico e per creare un ponte di passaggio tra la propulsione endotermica e quella elettrica è essenziale lo sviluppo delle tecnologie ibride. Seppur complicate e costose a causa del numero elevato di componenti, permettono di ottenere buoni risultati in termini di riduzione delle emissioni e una notevole versatilità di utilizzo. Le performance “green” sono ovviamente legate anche alla modalità di utilizzo degli utenti e alla loro capacità di sfruttarne le potenzialità. Per esempio, una vettura ibrida plug-in, se non viene caricata prima di ogni utilizzo, viene penalizzata dal proprio peso e dalla configurazione del motore endotermico, che è costretto a lavorare a regimi di scarsa efficienza.
Architetture Ibride
Oltre alle classiche divisioni in MHEV (Mild Hybrid), FHEV (Full Hybrid) e PHEV (Plug-in Hybrid), che analizzeremo nei prossimi articoli, possiamo classificare le architetture ibride a seconda di dove viene posizionata l’unità elettrica che contribuisce a fornire coppia e potenza alle ruote. Si tratta delle sigle P0, P1, P2, P3, P4. In pratica, all’aumentare del numero cresce la distanza tra motore endotermico e quello elettrico, che si avvicina alle ruote. Gli ibridi leggeri Mild, cioè quelli che forniscono potenza elettrica di bordo per funzionalità come l’e-boosting, ma che non possono provvedere in modo autonomo alla trazione del veicolo, sono quelli classificabili P0 e P1. Mentre gli ibridi P2, P3 e P4 consentono anche la modalità di marcia puramente elettrica. Come vedremo, alcuni costruttori utilizzano anche la sigla PS – Power Split, per identificare un’unità elettrica inserita all’interno della trasmissione. C’è infine l’architettura P5, con i motori elettrici direttamente sulle ruote, la quale appare però ancora lontana da una reale applicazione sulle vetture di serie.
P0
Facendo riferimento all’infografica fornitaci da BorgWarner, la prima architettura ibrida è la P0. L’unità elettrica è collegata al motore a combustione interna tramite la cinghia dei servizi. Il motore elettrico funge anche da generatore di corrente ed è chiamato Belt Starter Generator – BSG. Si occupa essenzialmente dell’avvio “soft” del motore, sostituendo il motorino di avviamento, ma anche di fornire coppia aggiuntiva al veicolo (e-boosting) e di recuperare energia in frenata e decelerazione.
P1
Nell’architettura P1, il motore elettrico è collegato direttamente all’albero motore del motore a combustione interna (ISG – Integrated Starter Generator). Il vantaggio principale di un’architettura ibrida P1, rispetto alla P0, è la rimozione della trasmissione a cinghia. Ciò significa che l’efficienza aumenta – arrivando fino al 90% non essendoci dissipazioni della cinghia – e la coppia dell’unità elettrica può essere maggiore in termini di ampiezza e di risposta. Le configurazioni P1 presentano però due grandi svantaggi: costi più elevati e maggiore impatto sull’architettura del veicolo esistente.
P2
Il motore elettrico è posizionato tra il motore endotermico e la trasmissione. Può essere anche posizionato lateralmente e collegato tramite cinghia all’asse di uscita che giunge al differenziale. Essendo a valle della frizione, il motore elettrico può essere disaccoppiato da quello endotermico e quindi provvedere alla motricità del mezzo in autonomia. Gira alla stessa velocità del motore oppure a velocità multiple se è presente una riduzione.
P3
Nello schema P3 l’unità elettrica è collegata a valle della trasmissione. Come per l’architettura P2, il motore elettrico può provvedere alla motricità del mezzo in autonomia.
P4
Nei veicoli ibridi P4, l’unità elettrica è collegata tramite un ingranaggio sull’asse posteriore del veicolo o comunque sull’asse opposto a quello equipaggiato con il motore endotermico. Si occupa quindi di fornire motricità all’asse opposto, realizzando, tra l’altro, una trazione integrale. Questa tipologia massimizza il recupero dell’energia perché gli organi trascinati sono al minimo e quindi anche le perdite meccaniche.
PS (Power Split)
L’architettura PS (Power Split) prevede l’integrazione di un motore elettrico e di un generatore direttamente all’interno della trasmissione. Si tratta di una soluzione che necessita di una modifica radicale della trasmissione, quindi non adatta per il retrofit di una vettura esistente, ma che può raggiungere teoricamente picchi di efficienza fino al 95%.
P5
Esiste anche il P5, anche se per ora ha trovato scarsa diffusione. Si tratta del posizionamento dei motori elettrici direttamente sui mozzi delle ruote. I vantaggi sono tanti, come per esempio la possibilità di gestire autonomamente accelerazione e frenata di ogni ruota e quindi poter sviluppare con molta facilità logiche di Torque Vectoring e di controllo dell’imbardata, senza l’utilizzo di differenziali. Lo svantaggio principale è invece l’aumento delle masse non sospese, con la conseguente penalizzazione della tenuta di strada. Inoltre, anche gli ingombri all’interno della ruota diventano molto critici.