Nel 2012, al salone di Pechino, Lamborghini aveva presentato il concept di un nuovo SUV battezzato Urus, entrato in produzione nel 2018.
In occasione della sua introduzione sul mercato non sono stati in molti a ricordarsi che più di 40 anni fa il marchio Lamborghini aveva lanciato il primo di una serie di modelli di fuoristrada, uno dei quali era stato anche oggetto di produzione in serie.
Quella dei fuoristrada/SUV con il marchio del toro è una storia alquanto complessa; a noi le storie complicate, però, piacciono e proviamo a raccontarvela anche se qualche passaggio meriterebbe di essere ulteriormente approfondito.
L’idea di quelle che poi diventarono le fuoristrada Lamborghini ha origine negli Stati Uniti. Gli “States” dalla Seconda Guerra Mondiale in poi hanno le forze armate più potenti e sviluppate del mondo e, oltre ad indire gare di appalto da milioni di dollari, con le quali acquisire nuovi materiali, di quando in quando procedono ad acquisti cosiddetti “off the shelf”, cioè attingendo al mercato commerciale, sulla spinta di esigenze impreviste. I costruttori spesso cercano di… giocare d’anticipo e propongono loro progetti anche non sollecitati. Per una serie di circostanze molti anni fa l’US Army avrebbe potuto immettere in servizio proprio una Lamborghini…
Mentre erano ancora in corso i combattimenti nel Sud-Est Asiatico e vi era un generale interesse per i veicoli leggeri idonei all’impiego in situazioni di guerriglia, attorno al 1968-1969 l’Ordnance Division della FMC (Food Machinery Corporation) di San José (California), un marchio che esisteva dal 1928 e dal 1941 produceva veicoli militari, decise di sviluppare un fuoristrada ispirato alle “dune buggies” californiane. Si riteneva, infatti, imminente l’emissione di un requisito da parte dell’US Army per la sostituzione della Ford M151 MUTT. La FMC definì questo progetto High Mobility Wheeled Vehicle, veicolo ruotato ad alta mobilità , e sottopose nel 1970 il primo dei due prototipi costruiti all’esercito che accettò di valutarlo come XR311. L’US Army ritenne di approfondirne la valutazione, anche con differenti configurazioni per missioni specifiche, dotate di armamenti particolari, ed ordinò dieci esemplari di pre-serie.
Queste macchine, erano caratterizzate da un design molto moderno ed avevano un motore posteriore V8 a benzina Chrysler LA da 5,2 litri e 187 HP, collegato ad un convertitore di coppia, anch’esso Chrysler, A-727 TorqueFlite a tre velocità . Su strada questi veicoli potevano arrivare, secondo la versione del propulsore, a 130-145 km/h; telaio e carrozzeria erano in acciaio e anteriormente vi era un’unica fila di posti per un pilota e due serventi dell’armamento.
Il mezzo era essenzialmente un’autovettura da esplorazione armata, in grado di trasportare i serventi di un’arma (da scegliere tra una mitragliatrice M60, una più pesante Colt-Browning M2HB da 12,7 mm, un cannone senza rinculo da 106 mm, un lanciatore di missili anticarro Hughes TOW ed altro ancora) ma ne fu ipotizzata anche una configurazione ambulanza. La valutazione di queste macchine, alle quali la stampa diede il nome di GI Hot Rod, si protrasse fino al 1974 ma alla fine l’esercito non ordinò la “dune buggy da combattimento” XR311, la cui esperienza, però, fu utile nello sviluppo della successiva HMMWV Hummer.
L’XR311, quindi, come tale non ebbe seguito e i pochi esemplari superstiti si trovano nei musei o sono ricercati dai collezionisti.
A questo punto subentrò una fase nella quale l’esatta cronologia e tutti i passaggi non sono chiari. Nel 1976 alcuni tecnici che avevano preso parte allo sviluppo dell’XR311 costituirono la Mobility Technology International di San José, in California, con Rodney Pharis come presidente, e sottoposero una rielaborazione del veicolo che avevano sviluppato all’italiana Lamborghini che acquistò il progetto, presentando il prototipo Cheetah nel 1977 a Ginevra.
La Lamborghini intendeva partecipare al concorso HMMWV che si riteneva imminente ma nacquero controversie legali sulla proprietà del progetto e la Cheetah fu abbandonata. Non del tutto, però, perché la Teledyne Continental (CAE) ne aveva acquistato i diritti. Il disegno originale dell’XR311, tuttavia, rimaneva “proprietà intellettuale” dell’FMC; quest’ultima, vuoi per la tiepida accoglienza durante la valutazione del 1970-1974, vuoi per le ristrutturazioni che stavano investendo tutto il settore automotive militare americano, non candidò l’XR311 al concorso per l’HMMWV e ne vendette a sua volta il progetto all’AM General (dell’American Motors) che lo ridisegnò integralmente battezzandolo Hummer.
Così di fatto, dal febbraio 1981 in competizione vi furono tre derivati dell’XR311: lo Hummer dell’AM General (che di lì a poco, nel 1982, sarebbe stata rilevata dal gruppo LTV), la Cheetah presentata da Lamborghini ed MTI e quella sottoposta da Teledyne CAE.
AM General, quindi procedette nella rielaborazione del progetto ed alla fine risultò vincitrice con quello che diventò l’Hummer che tutti conosciamo. Lamborghini non procedette, anche a seguito della minaccia di denuncia per violazione della proprietà intellettuale da parte di FMC. Teledyne acquistò la Cheetah ed iniziò la costruzione di tre prototipi, dei quali solo uno arrivò vicino ad essere completato.
In quel momento la ditta di Sant’Agata Bolognese si trovò in crisi di liquidità e dovette abbandonare tanto eventuali sviluppi della Cheetah, quanto il programma E28 con la BMW (dal quale sarebbe poi nata la M1, portata avanti dalla sola casa tedesca).
Nel 1981 i problemi di insolvenza Lamborghini furono superati dall’intervento dei fratelli Patrick e Jean Claude Mimram che rilevarono il controllo dell’azienda (che poi rivenderanno al gruppo Chrysler nel 1987).
Il lavoro sull’idea del fuoristrada, però, non si era fermato e già all’edizione 1981 del salone di Ginevra poté essere presentato il prototipo chiamato LM001 (la sigla è stata interpretata come Lamborghini Militare 1 ma è probabile che significasse Lamborghini Mimram 1). Questo nuovo prototipo aveva un’impostazione largamente simile a quello della Cheetah con un più grosso ma meno spinto motore AMC da 5.896 cm3 e 180 HP; la velocità massima era indicata in 160 km/h.
La macchina, per essere una vera Lambo, aveva bisogno di più potenza, e così l’anno dopo a Ginevra fu presentato il prototipo LMA002 (la A stava per Anteriore) con il motore Countach LP500S da 4.754 cm3 e 375 CV. Al successivo salone di Bruxelles, sempre del 1986, apparve la versione definitiva con il motore Countach L503 Quattrovalvole da 5.167 cm3 e 450 CV; la velocità massima era dichiarata in 210 km/h. Il telaio era riprogettato ed il motore diventava anteriore, risolvendo così i problemi di stabilità in condizioni estreme che si avevano con la sistemazione posteriore. In opzione era disponibile anche l’adattamento del motore marino L804, un V12 di 7.257 cm3 e 420 HP. In realtà con questa motorizzazione fu costruito un solo esemplare, denominato LM004 7000.
Questa volta l’auto ebbe successo: in sette anni la Rambo Lambo fu costruita in un totale variamente indicato tra 313 e 328 esemplari, dei quali 12 erano nella versione LM American con alcune modifiche di dettaglio. Tra i personaggi conosciuti che l’acquistarono si ricordano il re Hassan del Marocco (che ebbe il primo esemplare commercializzato), Sylvester Stallone, Tina Turner, Malcolm Forbes, Muammar Gheddafi, Mike Tyson e Pablo Escobar; lo sceicco del Brunei ebbe un esemplare unico con carrozzeria station wagon.
Circolarono a lungo voci dell’acquisto di 40 esemplari da parte delle forze armate dell’Arabia Saudita e di una quantità imprecisata da quelle libiche ma non vi è alcuna prova che trattative di questo genere, se davvero ci furono, fossero andate a buon fine.
Il prototipo LMA002 fu modificato per creare una LM003 Diesel, montando il cinque cilindri di 3 litri e 150 HP dell’italiana VM ma non vi fu produzione.
Nel gennaio 1994 la Chrysler vendette la Lamborghini all’indonesiana Megatech ed il nuovo acquirente ipotizzò un rilancio del settore fuoristrada; l’incarico di rivedere la veste della nuova auto fu affidato a Zagato, che assegnò il lavoro alla divisione SZ Design; Inizialmente fu previsto un facelift della formula dell’LM002 ma poi ci si orientò su un progetto totalmente nuovo, designato LM003 (la sigla era tornata disponibile visto che il precedente modello diesel era stato abbandonato).
Furono disegnati molti bozzetti e costruito un simulacro: l’LM003 che sarebbe stata costruita da una Joint Venture con l’asiatica Timor era un’auto elegante e raffinata che su alcuni mercati si sarebbe chiamata Borneo e su altri Galileo. Ma intanto gli assetti societari continuavano ad essere tribolati; nel 1995 l’azienda passò sotto il controllo di V’Power Corporation, con sede alla Bahamas, con il 60% del capitale, ed una quota del 40% alla malese Mycom Sedtco. Questa situazione portò alla cancellazione di ogni programma nel campo dei SUV. Poi, nel 1999, il prestigioso marchio italiano è passato sotto l’egida di Audi AG e i numeri delle vendite sono tornati a crescere e con questi risultati è stato possibile tornare a pensare al settore SUV.
In ogni caso, l’idea originale dell’XR311 ha continuato a vivere sotto varie forme (oltre che in quella, dal maggior successo in assoluto, rappresentata dallo Hummer). Alcuni XR311 erano stati acquistati dalla difesa israeliana ed è possibile che il loro progetto avesse influenzato per alcuni aspetti quelli dei Ramta RAM V1 e RBY Mk.1 attualmente in servizio e, infine, almeno nell’estetica, l’XR311 ha sembra aver ispirato il VLEGA Gaucho argentino di oggi. Sì, come abbiamo detto all’inizio, a noi le storie complicate piacciono.
(Testo di Nico Sgarlato – tratto dalla rivista Retrovisore 6-2018).