La tecnica della sovralimentazione – La sovralimentazione, gioia e dolore dei moderni propulsori, è una tecnica motoristica estremamente affascinante e, allo stesso tempo, molto complessa.
Fin dai tempi più antichi si è sempre cercato il modo di poter incrementare il più possibile la potenza di un motore a combustione interna. Oggi è quanto mai risaputo che se volessimo aumentare la potenza di un propulsore, mantenendone invariate le sue dimensioni e geometrie originali quindi la sua cilindrata, dovremmo per forza o incrementare la sua velocità massima di rotazione (rpm) o innalzare i rendimenti termico e volumetrico del propulsore stesso. Questo accade perché, mantenendo fissa la cilindrata totale del nostro motore, si cade in uno dei limiti che affligge qualsiasi motore ad aspirazione naturale cioè la quantità di aria e carburante che lo stesso motore è in grado di aspirare naturalmente andando a riempire il cilindro prima della compressione e dello scoppio.
Analizzando poi i tre termini prima elencati scopriamo che: il rendimento termico, pur importante che sia, non può venirci in contro poi più di tanto. Essendo, infatti, legato al rapporto di compressione, alla forma della camera di combustione, alla dosatura della miscela di carburante e alle modalità con le quali si svolge la combustione, questo parametro non è facilmente modificabile; il rendimento volumetrico, invece, è un parametro più facilmente utilizzabile ed una delle metodiche che permette la modifica di questo rendimento è proprio la sovralimentazione. Proprio la sovralimentazione, introducendo un maggiore quantitativo di aria all’interno del cilindro, caratterizzata da una maggiore densità , una maggiore pressione e un numero maggiore di molecole di ossigeno, riesce a migliorare il coefficiente di riempimento e quindi il rendimento volumetrico, ad aumentare la pressione media con la quale i gas premono sul pistone durante ogni fase di scoppio ed espansione, ad incrementa il valore della pme e quindi della potenza utile e ad aumentare la coppia stessa erogata dal motore e naturalmente anche la potenza in quanto prodotto della coppia per il regime di rotazione.
Per ottenere questo magico effetto posso essere utilizzate diverse soluzioni, ognuna con i propri aspetti positivi e negativi. Le più conosciute sono la sovralimentazione tramite compressori volumetrici (Supercharged per gli americani) o quella tramite turbocompressori o compressori centrifughi (Turbocharged per gli americani).
Compressori volumetrici
I compressori volumetrici sono dei compressori ben noti per la loro capacità di spostare la medesima quantità di aria ad ogni ciclo motore. Questa macchina volumetrica è, infatti, caratterizzata da una portata di aria che aumenta in modo direttamente proporzionale con la velocità di rotazione del motore e da un rapporto di compressione indipendente dalla velocità di rotazione quindi da una pressione di sovralimentazione che rimane costante sempre. Questo tipo di compressori è azionato meccanicamente cioè viene messo in rotazione tramite una cinghia o una catena che lo collega direttamente con l’albero motore. Questo tipo di collegamento se da un lato produce un effetto positivo, l’estrema rapidità di risposta all’azionamento a qualsiasi regime e carico motore, dall’altro produce anche un effetto negativo che consiste in una quota parte di energia che viene sottratta direttamente al motore per mettere in rotazione il compressore stesso. Questa parte di energia (cavalli) che viene sottratta al motore è tanto più elevata quanto maggiore è il grado di sovralimentazione per il quale è stato progettato.
Di compressori volumetrici ne esistono di vari tipi ma qui citeremo soltanto i più comuni e utilizzati. Un primo tipo è il Roots o compressore a lobi. All’interno del suo carter vi trovano posto due rotori rettilinei, muniti di due lobi ciascuno, che ruotano perfettamente sincronizzati, grazie ad un comando ad ingranaggi, senza toccarne le pareti dell’alloggiamento e senza strisciare l’uno contro l’altro ma sfiorandosi soltanto. La compressione nel Roots non avviene all’interno ma esternamente e il flusso di aria viene pompato ai cilindri con sensibili fluttuazioni in quantità maggiore in relazione alla cilindrata del motore. Questo tipo di compressore volumetrico, utilizzato sulla maggior parte dei veicoli Supercharged, ha purtroppo un’efficienza di esercizio molto bassa che causa un eccessivo riscaldamento della carica in ingresso al motore ma, come tutti i compressori volumetrici, consente una prontissima risposta al pedale del gas. Già utilizzato in passato dalla Lancia con il nome di Volumex e dalla Volkswagen con il nome di G-Lader, il Roots è stato ulteriormente migliorato dalla Eaton che ha prodotto delle nuove versioni caratterizzate da lobi non più rettilinei ma avvolti ad elica, nello specifico una prima versione con tre lobi con avvolgimento di 60° e una seconda versione da quattro lobi di ben 160°, capaci di un elevato rendimento e una maggiore silenziosità .
Compressori centrifughi
I turbocompressori o compressori centrifughi, al contrario, sono delle turbomacchine operatrici, o meglio degli acceleratori di flusso, in grado di generare sovralimentazioni considerevoli se fatti girare ad elevati regimi. Questa macchina dinamica è caratterizzata da una pressione di sovralimentazione e da una portata che aumentano con il quadrato del regime di rotazione secondo una legge esponenziale. Questo tipo di compressore viene azionato grazie ad un collegamento al motore di natura fluidodinamica e non meccanica sfruttando i gas di scarico esausti, caldi e ad elevata entalpia, in uscita dalle valvole e dai collettori di scarico. Questa seconda variante di sovralimentazione è costituita nello specifico dall’abbinamento di una turbina centripeta (ingresso radiale e un’uscita assiale) mossa dai gas di scarico (lato caldo) e di un compressore centrifugo (ingresso assiale e un’uscita radiale) che aspira l’aria, la comprime e con una maggiore pressione la invia all’aspirazione del motore (lato freddo). Il collegamento meccanico tra turbina e compressore, quindi tra lato caldo e lato freddo, è garantito da un alberino che scorre su due bronzine o due cuscinetti internamente lubrificati. L’intero sistema è poi inserito all’interno di un carter centrale (spesso raffreddato internamente a liquido) dove alle due estremità trovano posto due chiocciole all’interno delle quali ruotano le due giranti della turbina e del compressore.
La chiocciola e la girante lato compressore sono realizzati normalmente in alluminio, la chiocciola della turbina è realizzata in ghisa ad alto tenore di nichel e la girante della turbina è realizzata in una super lega, chiamata Inconel, a base di nichel ad alto tenore di cromo e significative percentuali di molibdeno e alluminio. Entrambe adottano questi particolari materiali a causa delle elevatissime temperature raggiunte nel lato caldo del turbocompressore (anche più di 1000°C nei moderni motori a benzina). Queste precisissime macchine dinamiche si affidano inoltre a giranti lato compressore e lato turbina di dimensioni e pesi estremamente ridotti in modo da contenere il più possibile le inerzie e ridurre il turbo-lag. Per poter quindi spostare grandi masse d’aria in poco tempo devono però essere messe in rotazione a velocità elevatissime (anche superiori ai 200.000 giri/min) con importanti ripercussioni su affidabilità , durata e accoppiamenti in gioco. Nonostante non vi sia un collegamento meccanico come nei compressori volumetrici, anche i turbocompressori o compressori centrifughi producono una seppur minima perdita di carico nei collettori di scarico. La presenza della turbina lungo il percorso dei gas crea infatti una certa contropressione che obbliga i pistoni ad un maggior lavoro passivo (negativo) nella fase di espulsione dei gas combusti. Pure in questa situazione la perdita è tanto maggiore quanto il livello di sovralimentazione è elevato. Infine, essendo il turbocompressore una macchina dinamica cioè un dispositivo a flusso continuo mentre il motore endotermico una macchina volumetrica cioè un dispositivo nel quale il fluido viene sostituito ciclicamente, non è così semplice accoppiare fluidodinamicamente queste due diverse macchine all’atto della progettazione.
Intercooler
Come è ben noto a tutti la compressione di un gas non ne innalza solamente la pressione ma ne incrementa anche la temperatura in modo tanto maggiore quanto più elevata è la pressione alla quale viene portata e quanto più l’efficienza della compressione è bassa. Questo è proprio quello che succede all’interno di un compressore, sia esso volumetrico o centrifugo, dove la massa di aria fresca in ingresso si troverà in uscita più densa, ad una pressione maggiore ma per questo più calda. Purtroppo però questo secondo risultato, il fatto che l’aria si scaldi, non è positivo per vari motivi: primo una maggiore temperatura dell’aria in ingresso ai cilindri incrementa il rischio di fenomeni di detonazione nei motori benzina, secondo una maggiore temperatura dell’aria in ingresso ai cilindri porta a un maggiore carico termico e a conseguenti maggiori sollecitazioni meccaniche e terzo se un gas subisce un aumento di temperatura la sua densità diminuisce di conseguenza riducendo l’effetto benefico della compressione.
Appare quindi ben chiaro che ai fini delle prestazioni l’innalzamento della temperatura della carica in ingresso ai cilindri va limitato il più possibile. Uno dei metodi è quello di adottare un compressore con un rendimento elevato capace cioè di innalzare la pressione dell’aria scaldandola il meno possibile. Un secondo metodo, praticamente sempre utilizzato, è quello di raffreddare la carica prima di inviarla ai cilindri grazie ad appositi scambiatori di calore chiamati Intercoolers. Utilizzando questi particolari “radiatori” aria-aria o aria-acqua si riescono ad abbassare le temperature dell’aria in ingresso motore recuperando la densità persa in precedenza a causa del riscaldamento della carica e incrementando ulteriormente la potenza erogata dal motore. Infatti, a parità di sovralimentazione, più si raffredda la carica inviata ai cilindri e più il motore raggiungerà una potenza maggiore. Non per niente questi dispositivi vengono praticamente sempre installati ogni qualvolta si superano pressioni di sovralimentazione dell’ordine dei 0,5 bar circa. Infine, per ridurre il rischio del fenomeno della detonazione e di conseguenza per limitare il maggiore carico termico e le maggiori sollecitazioni meccaniche, viene sempre ridotto il rapporto di compressione, sia sui motori benzina che sui motori diesel, ogni qualvolta viene applicata la pratica della sovralimentazione così da ridurre ulteriormente le temperature in camera di combustione.
Valvola Wastegate
Un altro aspetto estremamente importante da tenere in considerazione è la pressione massima che può essere raggiunta all’interno della turbina. Un controllo, infatti, del quantitativo dei gas di scarico che andrà ad investire la girante sul lato caldo consente di evitare che vengano raggiunti eccessivi regimi di rotazione deleteri per l’intero turbocompressore. Nello stesso tempo il controllo del flusso di gas in arrivo alla turbina consente un migliore sfruttamento del turbocompressore stesso. Per effettuare questo controllo viene installata una valvola pneumatica di bypass denominata wastegate che entra in funzione non appena la pressione di sovralimentazione raggiunge un determinato valore definito critico. In questo caso inizia ad aprirsi permettendo a una parte via via sempre maggiore di gas combusti di bypassare all’esterno della turbina, senza impattare sulle palette della girante stessa, e di rientrare più a valle della turbina direttamente nel sistema di scarico.
La wastegate determina quindi la massima pressione di sovralimentazione che può essere raggiunta intervenendo in caso di necessità sul lato caldo del turbocompressore. La valvola stessa, che può essere di tipo a flap cioè fulcrata oppure di tipo a fungo, è azionata da una capsula pneumatica collegata al collettore di aspirazione subito a valle del compressore. Se viene raggiunta la pressione stabilita il diaframma interno alla capsula innesca l’apertura della valvola vincendo la resistenza opposta dalla molla. Questo tipo di valvole vengono di norma installate su turbocompressori a geometria fissa cioè su quei turbo che non consentono una regolazione ne della portata ne della direzione del flusso dei gas di scarico in ingresso alla turbina mentre non vengono installate su turbocompressori a geometria variabile dove la pressione di sovralimentazione viene regolata variando la geometria delle palette dello statore installato sulla turbina.
Valvole Pop-Off e By-Pass
Lo stesso tipo di controllo (pressione massima turbocompressore) però sul lato freddo (compressore) viene ottenuto grazie a due valvole molto simili alla valvola wastegate. Ci stiamo riferendo alla valvola pop-off e alla valvola di by-pass. La prima consente, infatti, di tenere sotto controllo il livello di pressione massima raggiunto nel compressore. Una volta raggiunto il valore critico, questa valvola si apre e consente alla sovrapressione di essere evacuata nell’atmosfera. La seconda, invece di scaricarla nell’atmosfera, la rinvia in turbina così da mantenere la girante in movimento. Questa stessa valvola ha quindi il compito di salvaguardare l’integrità della valvola a farfalla montata sull’aspirazione e della girante del compressore stesso.
Ogni volta, infatti, che viene rilasciato il pedale dell’acceleratore all’interno del condotto di aspirazione si viene a creare un picco di sovrapressione causato dalla improvvisa chiusura della valvola a farfalla e dal non arresto altrettanto improvviso della girante del compressore. Con le pale del compressore che, ruotando velocemente, continuano a pompare aria all’interno del collettore di aspirazione temporaneamente chiuso, si rende necessario l’utilizzo di questa valvola che reindirizza in maniera silenziosa l’aria compressa a valle del filtro dell’aria così da annullare le onde di pressione che causano la rumorosità di funzionamento, ridurre o annullare il “colpo d’ariete” e mantenere comunque elevata la pressione di esercizio per non far fermare del tutto il compressore anche ad acceleratore rilasciato.
Anti-Lag System
Se da un lato però si cerca di non superare una determinata pressione e di non raggiungere un regime troppo elevato all’interno del turbocompressore (wastegate) oppure si cerca di non generare temperature eccessive all’interno dei cilindri (intercooler) sia per evitare possibili danni al motore e al turbocompressore e sia per non peggiorare il rendimento della sovralimentazione, dall’altro si è sempre più impegnati a ridurre al minimo il turbo-lag o ritardo nella risposta al comando del gas. Attualmente sono disponibili diverse soluzioni che seppur finalizzate allo stesso obiettivo non adottano la medesima strada per raggiungerlo. Un primo sistema, che viene però utilizzato solamente durante il cambio marcia, è il dispositivo denominato ALS (Anti Lag System). Questo dispositivo si avvale di alcuni stratagemmi per impedire al turbocompressore di ridurre il proprio regime di rotazione così da avere subito una risposta pronta ed ottimale non appena il passaggio di marcia è stato effettuato. Un primo stratagemma consiste nel far cortocircuitare (scontrare) dell’aria fresca ricca di ossigeno con i gas combusti esausti e caldi così da ottenere una miscela ricca di aria e carburante pronta a bruciare non appena raggiunge lo scarico. Questa seconda combustione, generata appositamente all’interno dello scarico, mantiene il turbocompressore in rotazione per tutta il periodo del cambio marcia. Altri stratagemmi sfruttano un ritardo di accensione (ritardo nello scoccare della scintilla) così da ottenere che una parte della miscela aria carburante continui a bruciare anche dopo l’apertura della valvola di scarico per generare dei picchi di pressione nello scarico e mantenere il turbocompressore in rotazione.
Geometria variabile
Ma una soluzione alternativa al turbo-lag, sicuramente più utilizzata, è rappresentata dai turbocompressori a geometria variabile. Grazie a questi dispositivi è, infatti, possibile attuare un migliore controllo sul flusso di gas di scarico in arrivo alla turbina e di conseguenza limitare il fenomeno del ritardo di riposta. All’interno della parte statorica della turbina (lato caldo) viene installato un dispositivo a palette a geometria variabile. Questo dispositivo consente di variare le sezioni di ingresso alla parte statorica del gruppo turbina e di conseguenza di sfruttare in modo più efficiente la forza d’impatto di questi gas sulle palette della girante. A bassi regimi le palette dello statore sono praticamente quasi chiuse così da limitare la portata di gas in ingresso, accelerare e indirizzare il flusso contro le palette. Al crescere del regime motore cresce anche la portata di gas combusti in arrivo alla turbina. Per sfruttare questo fenomeno le sezioni delle palette dello statore vengono ampliate fino alla completa apertura. Facendo variare quindi opportunamente le sezioni d’ingresso si riesce a gestire in modo ottimale la portata di gas combusti in arrivo alla turbina ottenendo con un solo turbocompressore l’effetto di due unità separate disposte in serie (una di piccole dimensioni e bassa inerzia e una di grandi dimensioni e elevata inerzia).
In fase di progettazione la chiocciola di un’unità a geometria variabile deve essere inizialmente dimensionata in base la massima portata che dovrà garantire a quel dato motore. A questa chiocciola verrà poi applicato uno statore a geometria variabile in grado di variare le proprie sezioni di ingresso tramite opportune palette in base alle necessità . Tale geometria variabile sarà azionata da un attuatore che può essere: pneumatico, elettro-pneumatico o elettronico. Attuatore a regolazione meccanica che dovrà essere regolato in modo certosino (nella maggior parte dei casi funziona a depressione con valori di circa – 0.6 bar). L’unico aspetto difficoltoso nella realizzazione di questo tipo di sovralimentazione è quando il turbocompressore è abbinato ad un motore a benzina ad alte prestazioni. E’ risaputo, infatti, che le temperature dei gas di scarico in uscita da un motore turbo benzina possono raggiungere valori estremamente elevati (circa 1000°C). Per questo motivo la realizzazione e la scelta dei materiali della geometria variabili non è per nulla una questione di facile soluzione.
Twin Scroll
Un altro metodo per ridurre il tanto odiato fenomeno del turbo-lag consiste nell’adottare un turbocompressore di tipo twin scroll. Questa unità non solo garantisce un minore ritardo di risposta al comando del gas ma permette anche un più efficiente sfruttamento di ogni singola pulsazione in arrivo dal motore. I motori, essendo macchine volumetriche pluricilindriche, producono pulsazioni diverse ad ogni ciclo. Queste pulsazioni se da un lato possono risultare utili per migliorare il lavaggio del cilindro e aiutare l’ingresso della carica fresca o l’uscita della carica esausta, dall’altro posso risultare negative sulle prestazioni generali del motore quando iniziano ad ostacolarsi a vicenda inibendo lo scavenging e generando una contropressione che contamina il lavaggio del cilindro.
Per questo motivo nelle turbine twin scroll sia i collettori di scarico che la stessa chiocciola della turbina sono divisi in due parti ben distinte. In questo modo i flussi provenienti da ogni singolo cilindro saranno ben distinti l’uno dall’altro evitando che le loro pulsazioni possano ostacolarsi a vicenda. Per farvi un esempio, in un motore 4 cilindri con ordine di scoppio 1-3-4-2 si raggruppano i collettori 1 con 4 e 2 con 3 cercando di utilizzare collettori di egual lunghezza così da non generare diverse perdite di carico a causa della lunghezza non uguale degli stessi collettori. In sostanza quindi i twin scroll lavorano con più flussi sfruttando la teoria degli impulsi già molto utile nella gestione della carica nel cilindro. Al contrario un turbocompressore single scroll lavora con un unico flusso a pressione costante. Il risultato è un turbo estremamente pronto ed in grado di eliminare i problemi di efficienza che affliggono i turbo single scroll ai bassi regimi e ai carichi elevati.
Doppia sovralimentazione
La continua ricerca di un minore turbo-lag fa però a pugni con la sempre maggiore esigenza di potenza massima. Come tutti voi, infatti, ben saprete la girante della turbina è un corpo dotato di massa e purtroppo anche di inerzia. Questo fatto assume un’importanza fondamentale quando si andrà a scegliere le dimensioni del gruppo di sovralimentazione. Optando per un’unità grossa si avrà sicuramente maggiore inerzia ma, allo stesso tempo, saprà gestire portate elevate alle quali corrisponderanno potenze e coppie elevate. Per rispondere a questo annoso problema nacquero allora i sistemi biturbo dove due unità di sovralimentazione vengono usate in serie o in parallelo per raggiungere lo scopo prefissato.
Biturbo parallelo
La soluzione biturbo parallelo, che viene di solito utilizzata nei motori pluricilindrici con configurazione a V, consiste nell’adozione di due turbocompressori di uguali dimensioni adibiti a gestire ognuno una sola delle due bancate del motore. In questo caso i due turbocompressori sono di minori dimensioni rispetto al singolo turbocompressore che andrebbe altrimenti utilizzato. Grazie a questa soluzione si riesce ad ottenere lo stesso livello di sovralimentazione sfruttando il lavoro di due unità più piccole, quindi soggette a minori inerzie, che funzionano contemporaneamente. Infine, nella maggior parte delle applicazioni, l’aria compressa da entrambi i turbocompressori è combinata in un unico collettore di aspirazione comune e trasmessa ai singoli cilindri. Molto spesso, per ridurre ulteriormente il fenomeno del turbo-lag, si è soliti adottare entrambi i turbocompressori con tecnologia a geometria variabile in modo da incrementare ulteriormente la capacità di risposta al pedale dell’acceleratore.
Biturbo sequenziale o in serie
La soluzione biturbo sequenziale, adottata di solito su motori pluricilindrici con disposizione in linea, consiste nell’adozione di due turbocompressori di diverse dimensioni. Quello di minori dimensioni ed inerzia viene fatto lavorare ai bassi regimi e carichi entrando subito a regime grazie al suo esiguo turbo-lag. Quello di maggiori dimensioni e portata viene inserito solo ad alti regimi ed alti carichi in modo da produrre il massimo della sovralimentazione desiderata. Ai medi regimi e medi carichi i due turbocompressori posso lavorare simultaneamente e la quota parte di aria che deve essere inviata ad una o all’altra unità viene decisa dalla centralina tramite l’attuazione di una valvola separatrice. In questo modo si ottiene un’ottima soluzione al tanto odiato fenomeno del turbo-lag senza dover rinunciare alla massima potenza erogata.