
La disattivazione dei cilindri – Evoluzione storica
Oggi è stato rispolverato da molti costruttori che faticano a seguire le imposizioni della normativa, ma il sistema di disattivazione dei cilindri è più vecchio di quanto crediamo. I primi esempi di questa tecnologia risalgono già ai primi del ‘900, con alcune soluzioni, certamente rudimentali, utilizzate per i primi monocilindrici. Senza però addentrarci in una ricostruzione storica troppo spostata indietro nel tempo, vale la pena ripercorrere l’evoluzione di questa tecnologia dal momento in cui fu introdotto il sistema di controllo elettronico della gestione motore.

Torniamo quindi al 1978, quando Ford introdusse la disattivazione dei cilindri per mezzo di un sistema di bilancieri idraulici a rullo ideati dalla Eaton. Si tratta di un progetto che però non può essere considerato all’interno di una produzione di serie. Per questo bisogna aspettare il 1981, quando Cadillac presentò il suo Modulated Displacement, noto nell’ambiente anche come V-8-6-4. Il sistema sfruttava una batteria di solenoidi che disattivava l’apertura e la chiusura delle valvole di scarico attraverso l’inibizione del moto del bilanciere relativo a ciascuna valvola. Il risparmio di combustibile, facendo operare il motore a 6 o a 4 cilindri, era evidente. La lentezza dell’intero sistema nel riportare il motore ad operare a 8 cilindri si dimostrò l’elemento determinante che portò al fallimento commerciale del progetto. Il pubblico non accolse l’idea così come si sarebbero aspettati in General Motors. Purtroppo, i computer di bordo dei primi anni ’80 non erano dotati della necessaria velocità di calcolo. L’anno successivo, ci pensarono i giapponesi di Mitsubishi con il loro 1.4 litri a 4 cilindri, nome in codice Orion-MD. Questo motore fece segnare un miglioramento sensibile sul fronte dei consumi fino ad un 20% sul ciclo giapponese di allora e fino all’11% sul ciclo EPA. Il sistema si basava sulla disattivazione delle valvole di aspirazione e scarico del primo e del quarto cilindro, sempre inibendone l’apertura e la chiusura attraverso l’interruzione della catena cinematica del sistema di distribuzione.

Nel 2004 è la volta di Daimler-Chrysler che propone la disattivazione dei cilindri sul proprio cavallo di battaglia, il motore HEMI V-8 da 5.7 litri. In questo caso, come sarà noto a chi segue il mercato automobilistico americano, il leggendario HEMI era, ed è ancora, un motore ad aste e bilancieri. L’inibizione dell’apertura e della chiusura delle valvole di aspirazione e scarico è gestito da un sistema di comando idraulico delle punterie. Quattro delle otto punterie vengono rese inoperative attraverso uno spinotto comandato idraulicamente. Da un sistema di accensione 1-8-4-3-6-5-7-2 si passa a quello di un V-4 del tipo 8-3-5-2.
Da qui in poi, l’adozione del sistema di disattivazione dei cilindri sulle vetture prodotte in serie è cresciuto e si è diffuso a macchia d’olio, tanto che nel 2005, la stessa General Motors ha introdotto l’Active Fuel Management (AFM) sul suo 5.3 litri V-8 ad aste bilancieri. Il sistema è una rivisitazione di quello realizzato da Chrysler per il suo HEMI. General Motors, però, ha profuso ancora più impegno sulla questione e nel 2007 ha dotato il 3.9 litri V-6 del sistema di disattivazione, inibendo la bancata di destra (cilindri 1-3-5) quando le richieste di prestazioni lo consentivano. Ricorderete la Chevy Impala del 2007 che, sui cicli di omologazione, raggiunse un abbattimento dei consumi notevole, nell’ordine del 5.5% rispetto al modello del 2006.
I giapponesi tornano invece alla ribalta nel 2005 con il loro VCM, acronimo di Variable Cylinder Management, sui motori V-6 e nel 2008 sul 3.5 litri i-VTEC. Su quest’ultimo motore, sempre V-6, il sistema lavora con tre configurazioni possibili: tutti e sei i cilindri, solo 4 cilindri e solo 3 cilindri. Nel funzionamento a 3 cilindri viene bloccata un’intera bancata, la numero uno, mentre con il setup a 4 vengono gestiti due cilindri di cui uno per bancata.

In tempi ancora più moderni, la disattivazione è stata introdotta anche da case europee come Mercedes – ricordiamo il 5.5 litri V-8 AMG – e Lamborghini sul V12 dell’Aventador. L’acronimo utilizzato dalla casa di Sant’Agata Bolognese è CDS (Cylinder Deactivation System) è ad essere inibita è un’intera bancata. Nel 2013 è la volta anche di Volkswagen che introduce il suo sistema ACT (Active Cylinder Management Technology) sull’1.4 litri TSI ad iniezione diretta e sovralimentato mediante turbocompressore (montato sulla Polo, potenza massima 103 kW).
Perché il sistema di disattivazione
La scelta di mettere in campo il sistema di disattivazione dei cilindri non è tanto legata alla banale diminuzione della cilindrata, anche se indirettamente viene coinvolto il concetto di downsizing. Il vantaggio dei sistemi “cylinder on demand” va identificato nella possibilità di tagliare l’alimentazione alla metà dei cilindri totali per far funzionare i restanti in condizioni di massimo carico. Quando infatti viene attivata la parzializzazione della cilindrata, il corpo farfallato viene mantenuto completamente aperto, perché i cilindri attivi devono funzionare in condizioni di massimo carico. Ciò consente di diminuire sensibilmente le perdite dovute all’azione di pompaggio del motore.
