ITALIA, PIANURA PADANA: crocevia storico fra Oriente e Occidente. Si estende da est a ovest ed è circondata a nord dalle Alpi, che un tempo difendevano questa fertile pianura dai venti gelidi del nord Europa, e a sud per gran parte dagli Appennini. Una definizione canonica per inquadrare uno dei luoghi più suggestivi e produttivi del Bel Paese e che costringe tutto ciò che anima questa operosa zona d’Italia nel cosiddetto catino padano!
Da molti lustri la Pianura Padana è diventata una zona critica (anzi, la più critica in Europa) per la concentrazione di inquinanti presenti nell’aria (Fig.1), fenomeno favorito proprio della presenza delle catene montane che riduce fortemente la ventilazione naturale, penalizzando così il ricambio di aria pulita e ricca di ossigeno indispensabile per una vita salubre.
Non è questa la sede per elencare in chiave assiologica tutto il male del mondo, ma fra gli errori che più o meno inconsapevolmente sono stati commessi dal dopoguerra in poi e che richiedono una correzione, vi sono la sovrapposizione al Global Warming (riscaldamento globale e progressivo della troposfera del pianeta dovuto all’aumento della CO2), e quello dell’Inquinamento dell’aria.
INQUINAMENTO : PERCHÉ LA PIANURA PADANA È UN ESEMPIO NEGATIVO?
Perché nella Pianura Padana i due fenomeni appena citati vengono esaltati al punto da renderla un’area emblematica per l’inquinamento aerobico, sistematicamente nel semestre ottobre-marzo in cui nei grandi centri urbani si superano spesso i valori limite per le concentrazioni di inquinanti.
Le cause della situazione odierna sono complesse e intrise di sinergie negative, ma è ampiamente dimostrato dai rilievi oggettivi e dai relativi modelli matematici elaborati da Enti autorevoli, che nelle città padane il 70-75% dell’inquinamento dell’aria sui titoli più critici, quali PM10, NOx e CO, è attribuibile al traffico dei veicoli (Fig.6). Si tratta quindi di una ‘zona pilota’ ideale nella quale sperimentare delle azioni correttive che, se confortate da esiti positivi, potranno ragionevolmente essere mutuate in altre realtà.
Uno scenario nel quale, per ora, né le soluzioni legislative che prevedono il blocco di alcune categorie di veicoli a cui si attribuisce la causa primaria del problema, né il rinnovamento del parco auto verso i veicoli più ecologici (ibridi, elettrici e ad alimentazione alternativa), peraltro numericamente ancora insignificante, sembrano avere effetti risolutivi.
LA REBURNING THEORY
Richiamati dall’impegno collettivo per uscire da questa situazione, con l’onestà intellettuale di rivendicarne l’originalità, abbiamo teorizzato un’ipotesi, che abbiamo chiamato ‘Reburning-Theory’, la quale presentata in alcune conferenze tematiche sin dal 2018, dunque in tempi non sospetti, risulta incoraggiata dalle osservazioni effettuate nel periodo pre e post lockdown, sia da ‘Arpa Piemonte’ sul territorio, sia dalla ESA (Figg.2-3) con delle immagini scattate dallo spazio.
Pur ripromettendoci di riparlarne in futuro in modo più approfondito, sintetizziamo il concetto ispiratore della ‘Reburning-Theory’ partendo dall’evidenza che la quantità di gas nocivi prodotti in un certo tempo da un’automobile in una zona ampia e ventilata come la cima di una montagna non contribuisce, se non in modo marginale, alla concentrazione locale di inquinanti. Ben diversa è la situazione quando la stessa automobile emette gli inquinanti in un locale a finestre socchiuse e di ridotte dimensioni. In questo caso la concentrazione dei veleni aumenta esponenzialmente poiché il motore aspira aria già inquinata e la restituisce ancora più inquinata, in quanto non c’è una sufficiente ventilazione del locale che garantisca un adeguato ricambio d’aria. In questo caso la misura degli inquinanti, pur rimanendo la fonte sempre la stessa, aumenta.
IL NOSTRO POSTULATO
Immaginiamo che le città della Pianura Padana siano come la famosa ‘Badewanne’, la Vasca da bagno o Catino di ispirazione statistico-affidabilistica, pensata nell’accezione, semplice ma non semplicistica per via della complessità reale, di un contenitore con limitato ricambio di aria.
In questo catino (Fig.4) specialmente nel periodo invernale (l’inversione termica con l’abbassamento dello zero termico spinge l’aria fredda e pesante in basso e questa fa da ‘coperchio’ al nostro catino), si osserva l’aumento di concentrazione di inquinanti che porta a ripetuti sforamenti della soglia dei parametri di sicurezza.
A fronte di questa osservazione è pertanto ragionevole postulare che il ciclo in cui l’aria viene aspirata da tutti i motori endotermici in funzione (in particolare quelli dei veicoli pesanti e dotati di propulsori più voraci in termini di volume d’aria aspirata) e che sottrae oltremisura l’aria salubre all’ossigenazione biologica per sostituirla con l’emissione in ambiente (ovvero il catino) di inquinanti post-combustione, potrebbe essere una delle principali cause dello squilibrio aerobico locale e del conseguente disagio.
La correzione a livello locale di questi squilibri (vedremo in seguito un’ipotesi causale e alcune soluzioni), porterebbe nel breve periodo dei benefici alla qualità dell’aria e di conseguenza alla salute dei cittadini, obiettivo principe della Ricerca e Sviluppo incentrata sull’abbattimento degli inquinanti. Ma procediamo con ordine!
GLOBAL WARMING E INQUINAMENTO DELL’ARIA: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA?
Quello fra Global Warming (GW) e Inquinamento dell’aria abbiamo capito essere un dualismo cruciale per l’ambiente, un processo di cause ed effetti circolari in acclarata inferenza fra loro e che sfocia in una deriva caotico/entropica del clima.
Il primo punto, ovvero il GW, sin dal protocollo di Kyoto 1997 e dai rapporti delle ultime Convention sul Clima (le COP tenutesi da Parigi 2015 a Madrid 2019), è indicato dalla comunità scientifica come il problema prioritario da risolvere per garantire la sopravvivenza della vita biologica e organica del Pianeta. Fra posizioni eterogenee per contenere questo fenomeno, che non va dimenticato ha le sue radici nei cicli orogenetici del Pianeta, si vuole ridurre drasticamente la produzione di CO2 derivante dalle attività umane. Queste, nonostante a nostro avviso non siano la causa primaria del problema, influiscono per una quota parte sul processo di riscaldamento e dunque vanno sicuramente contenute.
COSA PUÒ FARE L’AUTO?
Il postulato “se la CO2 è la principale causa del riscaldamento globale, allora bisogna ridurne l’immissione in atmosfera per evitare l’effetto serra” ha portato i Paesi che hanno condiviso le conclusioni delle ultime COP all’emanazione di norme sempre più restrittive per le emissioni di CO2 in ogni settore, dal riscaldamento dei luoghi abitativi alla produzione di energia elettrica, dalle attività industriali al commercio, dall’artigianato ai trasporti pubblici e privati e così via.
In questo ampio spettro, che è influente, ma riteniamo non possa da solo fermare il processo naturale orogenetico del Pianeta, rientra anche il settore Automotive al quale sono richieste importanti riduzioni attuali e future dovute sia agli epifenomeni della combustione dei motori endotermici – oggetto principale delle nostre analisi – sia ad altri inquinanti emessi durante i cicli di produzione, quali ad esempio i fumi della verniciature, la sublimazione di componenti organici delle plastiche e in generale tutte le operazioni con utilizzo di energia prodotta da fonti fossili.
Di conseguenza la sfida che devono affrontare nei prossimi decenni i carmakers con i loro OEM, ovvero raggiungere obiettivi di riduzione della CO2 estremamente ambiziosi, è epocale.
Il secondo punto, l’Inquinamento dell’aria, è molto più articolato a causa della varietà degli elementi che lo compongono, che vanno dagli ossidi di azoto agli idrocarburi incombusti, dall’ammoniaca all’ossido di carbonio e all’ozono. In realtà stiamo ancora imparando a conoscere l’inquinamento nella sua complessità in quanto è uno degli aspetti più difficili da conciliare con il progredire delle civiltà contemporanee. I modelli matematici che stiamo applicando sono molto buoni (e lo vedremo nei documenti della modellistica1) ma ancora incompleti (Fig.6). E’ un lavoro complesso e non esiste centro ricerca o Università nel mondo che non si stia impegnando per correggere anche questo aspetto cruciale per l’ambiente e la salute.
QUALITÀ DELL’ARIA A LIVELLO LOCALE
Ma nel frattempo che succede? La visione globale delle problematiche, abbiamo visto determina le linee guida per raggiungere obiettivi futuri (si parla di decenni), ma non tutte le latitudini del Pianeta vivono la stessa situazione nei confronti del dualismo sopracitato. Considerando la realtà in cui siamo immersi, dove svolgiamo quotidianamente la nostra attività, sia essa a Torino, Milano o Colonia, Pechino, Madrid, Mosca o Londra, tanto per citare alcune delle grandi città che nel mondo soffrono dell’inquinamento locale, il problema prioritario è la concentrazione di inquinanti nell’aria.
La Pianura Padana, poi, per la sua geomorfologia soffre in modo particolare di questo problema, sia nelle campagne, sia nelle città; fra queste Torino, la capitale dell’automobile per la presenza della FCA e del suo indotto, è stata spesso citata dai media come maglia nera per l’inquinamento dell’aria in Italia. Per la sua posizione a nord-ovest, avvolta dalla imponente corona alpina, Torino è ancor più penalizzata per il ricambio dell’aria. L’analisi, le prospettive e le nuove teorie per una mobilità più sostenibile, fanno pertanto di Torino, uno studio interessante e auspicabilmente utile.
IL ‘CASO’ TORINO
Qual’è lo scenario dell’area torinese? L’immagine del treno che a Torino nel 1955 passando in mezzo alle case di via Carmagnola manda i fumi della locomotiva a carbone direttamente nelle abitazioni della periferia, esprime in modo forte gli oltre sessant’anni di sforzi compiuti per migliorare la qualità dell’aria di questa città (Fig. 7). Se avessero fatto in quel periodo i rilievi della qualità dell’aria ne avremmo viste delle belle! Solo con l’avvento delle apparecchiature idonee a misurare con attendibilità la presenza di elementi nocivi si è cominciato a raccogliere i dati per costruire i modelli matematici dell’aria, strumenti indispensabili per le elaborazioni che consentono di capire in anticipo, calcolandoli, gli effetti delle azioni correttive future.
Il lavoro svolto con l’ultima ricerca sulla qualità dell’aria disposta dalla Provincia di Torino ad Arianet2 ci ha fornito una serie di dati incredibilmente ricca e utile per i vari usi di carattere scientifico e divulgativo. La composizione del traffico veicolare urbano (Fig.5) risulta essere: autoveicoli 85,8%, motoveicoli 6%, veicoli commerciali leggeri 5,8%, veicoli commerciali pesanti (incluso il trasporto pubblico) 2.4%, per un totale di veicoli immatricolati sul territorio metropolitano pari a 1.492.051 unità.
I modelli matematici per tipologia di inquinante nell’aria (Fig. 6) hanno evidenziato come PM10, NOx e CO sono imputabili per il 70-75% al traffico veicolare. In particolare per le PM10 il modello tiene conto anche della quantità indotta da componenti di usura quali pneumatici e freni e della loro rimessa in circolo a causa del sollevamento provocato dal passaggio dei veicoli.
I valori di questi inquinanti sono pertanto oggetto di osservazione-acquisizione da parte di Arpa Piemonte. I dati reali raccolti giornalmente avranno due funzioni: la prima di comunicare il livello di inquinamento reale, la seconda di confermare o meno le previsioni fatte sulla base delle azioni messe in atto e di consentire quindi l’affinamento dell’algoritmo.
SITUAZIONE DELL’ULTIMO INVERNO 2019-20
Veniamo alla situazione pre-Covid 19 dell’inverno torinese 2019-20 rilevata da Arpa Piemonte.
Il mese di gennaio 2020, è stato caratterizzato da numerosi blocchi del traffico veicolare imposti dall’Amministrazione Metropolitana a seguito di ripetuti superamenti del valore di guardia per la salubrità imposti dalla legislazione vigente. In particolare, l’indicatore relativo alle polveri sottili PM10 ha evidenziato la criticità dell’aria torinese e ha provocato i blocchi alla viabilità dei i veicoli diesel da Euro0 sino a Euro5 inclusi dal 13 al 20 gennaio.
Nel tentativo di rientrare entro i limiti di sicurezza sanitaria delle PM10, il blocco di quella tipologia di veicoli ha comportato la fermata in quell’arco temporale di oltre 490.000 mezzi, fra automobili e veicoli commerciali: una quantità enorme (il 32,9%) rispetto al totale di 1.492.051 veicoli immatricolati nell’area Metropolitana torinese. Ma quali sono stati i risultati di tale azione?
Come si evince dal grafico in Fig.8, sostanzialmente l’ordine dei valori delle PM10 non ha subito l’atteso rientro dei limiti di accettabilità finché, a ridosso del 18 gennaio, non sono sopraggiunti tre giorni di pioggia che ha abbattuto il tasso di PM10 entro i limiti. Dal grafico che illustra l’andamento giornaliero delle PM10 prodotte dal parco circolante più le altre fonti inquinanti (riscaldamenti abitativi, usura di componenti, NH3, etc), possiamo fare altre considerazioni estremamente interessanti:
1) si evince che i valori di PM10 non rientrano entro i limiti di sicurezza se non intervengono pioggia persistente o vento oltre i 15-18 km/h;
2) il blocco dei diesel da Euro0 a Euro5 non determina una significativa riduzione della concentrazione di inquinante;
3) dobbiamo considerare che se al posto dei veicoli con motore diesel fermati (in totale oltre 490.000), avessimo avuto in circolazione lo stesso numero di automobili 100% elettriche non sarebbe cambiato nulla fino all’intervento di agenti atmosferici significativi;
4) i valori rilevati durante il blocco Euro0-Euro5 denotano che quello è il tasso di inquinamento reale presente sul territorio, prodotto dalla circolazione veicolare autorizzata (i veicoli superiori a Euro6) più i sistemi di servizio già citati (riscaldamento abitativo etc.).
Insomma sembrerebbe che non vi sia una via d’uscita per la mobilità privata e pubblica nel periodo invernale: nemmeno se per ipotesi avessimo avuto in circolazione quasi mezzo milione di auto elettriche a zero emissioni al posto delle vetuste e inquinanti Euro0-Euro5 (a dire il vero le Euro5 non poi così vetuste) saremmo stati in grado di migliorare la qualità dell’aria in modo significativo.
E qui facciamo una brevissima chiosa a beneficio dei lettori: nel 2019, nell’area torinese, a fronte di un totale 159.994 nuovi veicoli immatricolati, i veicoli ECV (BEV 100% elettrici + PHEV ibridi plug-in) sono stati 395, vale a dire lo 0,2%3. Da qui si evince ancora una volta che per avere una qualità dell’aria accettabile nel capoluogo piemontese si deve cambiare pesantemente la quota di incentivo statale4 o si deve abbattere drasticamente il prezzo di acquisto, altrimenti ci vorranno 25-30 anni per arrivare a un rinnovamento significativo del parco circolante!
BADEWANNE E LA REBURNING THEORY
Abbiamo anticipato che una possibile causa della situazione di criticità dell’aria inquinata è il suo stazionamento sul territorio padano per la sua conformazione geomorfologica. Richiamiamo per un istante alla mente l’immagine del catino padano, e in particolare quella del catino di Torino, e immaginiamo i motori endotermici che aspirino l’aria disponibile dal catino in cui sono immersi e, dopo il ciclo termico, immettano nello stesso catino le emissioni prodotte dalla combustione (Fig. 4). Esattamente lo scenario che abbiamo anticipato poco sopra e che apre scenari abbastanza critici che approfondiremo in successivi articoli nei quali parleremo di ri-combustione ciclica del fluido aspirato in concentrazioni di ossigeno tendenzialmente ridotte, calo del rendimento termico in mancanza del rapporto stechiometrico ottimale, rapporti aria consumata uomo/macchina, etc. Si tratta di un problema serio e poco considerato, che nel periodo ottobre-marzo, a causa dell’inversione termica, favorisce la formazione quella ‘cappa’ che staziona sulla Pianura Padana, visibile in inverno nelle immagini scattate da astronauti e satelliti aerospaziali.
COSA SI È IMPARATO DAL LOCK-DOWN NAZIONALE
La conferma che il tasso di inquinamento delle città padane è dovuto in prevalenza al traffico veicolare (cui la modellistica attribuisce il 70-75% delle PM10 e NOx) si è avuta dai rilievi giornalieri eseguiti da Arpa durante il lockdown nazionale. Col blocco totale5 del traffico veicolare, indipendentemente dalla classificazione Euro, i valori di PM10 sono stati per molto tempo ampiamente sotto i limiti di guardia.
Nella realtà operativa il blocco non è mai stato totale, in quanto una parte dei veicoli privati e i trasporti hanno potuto muoversi per motivi contingenti e servizi pubblici, taxi e autobus hanno comunque operato a ranghi ridotti. Il Comune di Torino ha stimato che dall’8 marzo al 30 aprile ha circolato circa il 20% del parco totale.
In questo contesto l’osservazione dell’effettiva riduzione del tasso di inquinamento presente nel bacino Padano (Figg. 2-3-9) durante il lockdown di marzo-aprile 2020 indica che:
1) per tutto marzo e sino al 15 aprile i riscaldamenti abitativi e le attività industriali legate alle esigenze alimentari/sanitarie erano operative.
2) con il blocco reale del circa 80% dei veicoli, inclusi gli Euro6, indipendentemente dalla presenza di pioggia o vento forte, il tasso di PM10 è rientrato abbondantemente nei valori a norma.
Premesso quanto sopra possiamo ipotizzare due condizioni necessarie per avere le PM10 e gli NOx sotto controllo:
A) avere almeno l’80% di veicoli di tipo BEV (100% elettrici) in attività sul territorio, un obiettivo che col tasso di crescita attuale si raggiungerebbe in oltre 20 anni.
B) il sistema globale del catino torinese, può tollerare una presenza di motori endotermici (in particolare quelli più voraci nel consumare aria) solo se in misura inferiore o uguale al 20% del parco attuale.
QUALE SOLUZIONE?
Preso atto che le attuali norme di limitazione del traffico veicolare in caso di superamento delle soglie di sicurezza non sono efficaci, nel brevissimo periodo si prospettano tre scenari:
Il primo, di facile attuazione e a ‘costo zero’, consiste nella riduzione della velocità massima per tutti i veicoli circolanti sul territorio della città Metropolitana Torinese da 50 a 30 km/h. Un’azione che sostituisce il blocco dei veicoli Euro4, richiesto dall’attuale normativa. Ridurre il regime operativo dei motori è di gran lunga più vantaggioso, in termini di riduzione dell’aria aspirata, che non la libera circolazione dei veicoli Euro5 ed Euro6, oltre a richiamare l’attenzione dell’utenza su una guida più responsabile ed etica.
Il secondo, riconducibile al punto B del paragrafo precedente, equivale a dire che, a fronte di un progressivo innalzamento della concentrazione di PM10, sarebbe utile fermare progressivamente il processo di aspirazione-combustione-emissione in atmosfera non per classi omologative (Euro2-Euro5), ma in base alla ‘aerovoracità’ dei veicoli. La fermata progressiva potrebbe essere attuata a partire dalle cilindrate più elevate (non ECV) ed estesa alle piccole cilindrate in base ai rilievi degli scostamenti dei valori di PM10 e NOx rispetto ai parametri di sicurezza.
Infine il terzo scenario lancia lo sguardo alle nuove teorie della mobilità sostenibile e ci proietta verso una concreta progettualità compatibile con il territorio e l’ambiente; citando la proposta lanciata da Auto Tecnica nell’editoriale del Direttore sul n.453, marzo 2020, “ho immaginato una moderna ‘vettura (elettrica) del popolo’ come un progetto globale, un kit a cui tutte le grandi Case europee, siano esse Costruttrici o fornitrici di sistemi, possano contribuire in base al proprio know-how. Chi si occupa del powertrain, chi del pianale, chi dell’elettronica e così via. Il tutto assemblato su una linea europea, fortemente automatizzata e finanziata dai partecipanti all’impresa, dalla quale escano delle city car elettriche con un piccolo motore Wankel… diverse solo nel marchio. Prezzo? 99€ al mese. Il progetto, volendo, c’è già…”.
Questa configurazione oltre a ipotizzare un costo accessibile e quindi un ricambio del parco circolante molto più rapido, eviterebbe l’assorbimento sistematico di energia elettrica dalla rete per ricaricare le batterie6. Per quanto riguarda le emissioni post-combustive, sarebbero limitate a valori molto bassi data la modesta cilindrata e l’alto rendimento di un piccolo motore ausiliario Wankel di ultima generazione che dedicato solo alla funzione di ‘range-extension’ farebbe rientrare il veicolo nel rapporto energetico 20% endotermico-80% elettrico che il blocco del traffico in lockdown ha indicato essere compatibile con la capacità circolatoria dell’aria del territorio torinese, il più critico del bacino padano.
Insomma una bella sfida, ma anche una reale speranza di ristabilire un nuovo equilibrio fra qualità della vita e mobilità sostenibile.
(ARTICOLO FIRMATO DA FRANCESCO FORLEO TRATTO DA AUTO TECNICA #457)