Incredibile Giulietta.
Il 31 genniao 1907 il quotidiano francese Le Matin lanciò ai pionieri dell’automobile una sfida affascinante, con questo messaggio: “quello che dobbiamo dimostrare oggi è che dal momento che l’uomo ha l’automobile, egli può fare qualunque cosa e andare dovunque. C’è qualcuno che accetti di andare, nell’estate prossima, da Pechino a Parigi in automobile?” Messa così, poteva sembrare una semplice bizzarria per milionari, invece quella lanciata dal “Matin” era una grande scommessa tecnologica, perché allora l’automobile era ancora considerata poco più che un mezzo da passeggio o sportivo. Invece quel nuovo mezzo spinto da un motore a scoppio raccoglieva già molti sostenitori che sentivano il bisogno di dimostrare che con l’automobile si poteva andare dovunque, perciò essa poteva divenire un vero e proprio mezzo di spostamento capace di fare concorrenza al treno ed ai transatlantici. Alla proposta aderirono una quarantina di equipaggi, tutti appartenenti alla ricca borghesia o nobiltà europea, che versarono la quota di partecipazione di 2.000 Franchi fissata per scoraggiare sul nascere adesioni poco convinte o serie, tassa che sarebbe stata rimborsata a coloro effettivamente presenti alla partenza.
Il seme del motorsport
In realtà, a Pechino per il via si presentarono solo cinque vetture: un triciclo Contral e due De Dion Buton dalla Francia, l’olandese Spyker e l’italiana Itala. Va specificato che la prima edizione della Pechino-Parigi non era una gara di velocità, infatti non c’erano premi in palio secondo un ordine di arrivo se non la soddisfazione di aver portato a termine
un’impresa epica. Infatti non c’erano regole, nessun tipo di assistenza e pure il percorso non era prefissato. Tuttavia fu chiara fin da subito la superiorità dell’equipaggio italiano composto dal principe Scipione Borghese e da Ettore Guizzardi, che avevano preparato meticolosamente la gara e, soprattutto, effettuato la scelta tecnica più azzeccata: una vettura si pesante ma anche più potente, contro gli altri equipaggi che avevano fatto una scelta opposta restando ben presto piantati nei tratti più duri per la poca potenza a disposizione (10 cv le DeDion Buton e 15 la Spyker). L’Itala fece il suo ingresso trionfale a Parigi il 10 agosto, dopo 2 mesi dalla partenza, staccando le altre due vetture superstiti di 20 giorni. Insomma, possiamo dire che con la prima edizione della Pechino-Parigi sia stato gettato il seme del motorsport. Infatti, tra le curiosità, va detto che questa prima gara segnò anche l’inizio della sfida tra Produttori di componenti, con Pirelli, che equipaggiò la Itala, e Dunlop a contendersi la fornitura di pneumatici ai concorrenti.Missione ufficiale
Sono state effettuate cinque riedizioni del Raid Pechino-Parigi: la prima nel 1997, seguita da quella che festeggiava il
centenario nel 2007, dove l’Itala vincitrice della prima edizione perfettamente restaurata ripercorse l’intero itinerario, quindi nel 2010, 2013 e 2016. La prossima è prevista per il 2019. All’edizione del centenario ha partecipato anche la vettura che presentiamo in questo servizio: una Giulietta Ti 1300 schierata dalla Scuderia del Portello direttamente su incarico dell’Automobilismo Storico Alfa Romeo. La scelta è caduta sulla Giulietta perché questa vettura ha rappresentato la svolta verso l’automobilismo di massa per la Casa milanese. Perciò affrontare una sfida così impegnativa, con 16.000 km da percorrere su tratti ancora oggi molto impegnativi come le “piste” di Cina, Mongolia e alcune repubbliche Baltiche per non parlare del terrificante deserto dei Gobi, avrebbe significato dimostrare quanto era buona di base una vettura concepita mezzo secolo prima come mezzo di grande serie.
Scocca irrigidita
Per il difficile compito è stata “sacrificata” una Giulietta Ti prima serie del 1957, allestita completamente nell’officina della Scuderia del Portello che ha messo a frutto l’esperienza maturata in precedenti raid come la Londra-Sidney e Londra-Messico. La vettura stradale è stata interamente smontata, separando la parte meccanica, in modo tale da revisionare e adeguare i vari componenti, dalla scocca che è stata sverniciata fino alla lamiera viva per verificare l’effettivo stato dei lamierati e poter procedere al lavoro di rinforzo. Va detto che per l’occasione era stata selezionata una vettura che visivamente mostrava un buono stato a livello di scocca, ma spesso quando poi si scava a fondo le sorprese non mancano. Fortunatamente, nello specifico, è arrivata una bella conferma, perciò non è stato necessario effettuare lavori di ripristino o sostituzione di parti di lamiera. Per irrigidire la scocca si è partiti risaldando l’accoppiamento dei lamierati con cordoncini di saldatura, soprattutto nelle aree più sollecitate come attacchi sospensioni, tunnel centrale, angoli di collegamento tra i longheroni e le traverse, soprattutto nella parte anteriore del vano motore. Qui, i quattro angoli sono stati raccordati saldando fazzoletti di lamiera aggiuntivi, che contribuiscono a “legare” tutta la parte anteriore, così come sono stati rinforzati i duomi di attacco degli ammortizzatori. Infine sono state applicate, e saldate al pianale, le quattro piastre di attacco della gabbia di sicurezza ad arco, imbullonata, che oltre a garantire sicurezza in caso di ribaltamento contribuisce ad irrigidire ulteriormente la parte centrale del pianale, grazie anche al collegamento con i tubi longitudinali di rinforzo inseriti nei fascioni laterali. Quindi la scocca è stata verniciata nel classico colore carta da zucchero e nella parte inferiore è stato poi steso un leggero strato di catramina protettiva.
Giusto compromesso
Ovviamente, data la lunghezza e caratteristiche molto varie del percorso, è stata prestata una particolare attenzione alla taratura dell’assetto, adottando un ideale compromesso tra una regolazione un poco più rigida di quella originale, così da garantire una certa brillantezza nella guida su strade in buone condizioni (prevalentemente quelle europee), ma al tempo stesso in grado di assicurare un buon livello di comfort e l’assorbimento delle asperità del terreno nei tratti più accidentati. A tal proposito, partendo dagli ammortizzatori originali di tipo bitubo, lo specialista Lazzari oltre alla revisione completa ha modificato la taratura dell’idraulica interna. Inoltre, tramite un’apposita ghiera, c’era la possibilità di variare la regolazione dell’estensione a seconda delle necessità. Anche le molle, pur mantenendo lo stesso disegno delle originali, sono state sostituite da altre con un carico leggermente maggiore. Infine sono stati sostituiti tutti i silent-block in gomma e le boccole in bronzo dei due snodi sferici delle sospensioni anteriori.
Comfort di bordo
Anche l’abitacolo è stato ottimizzato per affrontare una gara così massacrante. Per garantire il necessario comfort a pilota e navigatore, pur mantenendo gli standard di sicurezza richiesti da una gara ufficiale, sono stati montati due sedili racing omologati ma dotati di regolazione dello schienale, con cinture di sicurezza a quattro punti. Trattandosi di una Giulietta 1^ Serie, quindi con la leva del cambio al volante, è stato montato un cambio dell’ultima serie (post ’60) con la leva a cloche in modo da agevolare la manovrabilità e assicurare anche maggiore affidabilità. Perciò è stato necessario tagliare la lamiera nella parte superiore del tunnel centrale. La strumentazione è stata completata con l’adozione di termometri acqua e olio, spia della pressione dell’olio, e tripmaster, indispensabile per tenere il conto esatto del chilometraggio per seguire le indicazioni del road-book. L’impianto elettrico è stato realizzato ex novo, mantenendo solo le funzioni necessarie alla competizione, con l’aggiunta dello staccabatteria obbligatorio, il pulsante delle quattro frecce di stazionamento e gli interruttori della ventola elettrica supplementare applicata al radiatore e delle doppie pompe elettriche della benzina. Per evitare sovraccarichi di tensione e agevolare gli interventi di sostituzione, sono state realizzate due scatole portafusibili, poste in posizione di facile accesso nella parte anteriore dell’abitacolo, separate anche nelle funzioni: per motore e servizi vari. Nella parte posteriore dell’abitacolo, sono state posizionate due casse con i ricambi considerati essenziali, mentre nel bagagliaio, sfruttando il vano normalmente destinato alla ruota di scorta, è stato posizionato il serbatoio omologato maggiorato a 80 lt, sopra il quale trova posto una ruota di scorta, e la batteria di maggiori dimensioni e capacità. Un’altra ruota di scorta è stata alloggiata sul portapacchi, originale d’epoca, fissato sopra la capote. Tra i ricambi caricati a bordo: semiassi, alcune parti motore, dinamo, motorino d’avviamento, spinterogeno, alcune parti elettriche, gruppo frizione, filtri aria, olio e benzina, serie complete di guarnizioni motore, collettore di scarico, due ammortizzatori, un parabrezza in plexiglas, lattine di olio motore e cambio e additivo benzina. Un “magazzino ricambi” del quale l’equipaggio non ha quasi mai avuto bisogno, perché l’incredibile Giulietta ha marciato praticamente come un orologio quasi senza manifestare problemi, tranne la rottura dell’attacco di un ammortizzatore sulle micidiali piste della Mongolia e la rottura dell’alberino dello spinterogeno.
Motore di serie
In una maratona come la Pechino-Parigi, più che la performance conta l’affidabilità. Perciò, il quattro cilindri milanese di 1300 cc accreditato di una potenza di 80 cv è stato completamente revisionato, sostituendo bronzine, pistoni e segmenti, valvole e relative molle, spinterogeno, tutte le guarnizioni, tutti particolari originali, oltre alla revisione completa dell carburatore monocorpo Weber da 40 mm. Durante la gara sono poi state adottate alcune precauzioni per prevenire eventuali problemi legati anche ai luoghi attraversati, come la frequente sostituzione dei filtri aria, in particolare durante le tappe su tratti sterrati, e dei filtri benzina nelle zone in cui non si era completamente certi della purezza del carburante, così come per evitare il sovraccarico di lavoro di una singola pompa della benzina sono state utilizzate entrambe a giorni alterni.
Trasmissione “maggiorata”
Una delle componenti più sollecitate in una gara di questo tipo è senza dubbio la trasmissione. Perciò anche in questo caso è stata mantenuta il più possibile l’originalità della vettura sostituendo solo, a scopo precauzionale, alcuni particolari ritenuti più a rischio. Innanzitutto è stato adottato il cambio della Giulietta ultima serie (post ’60) dotato di leva a cloche, per due motivi: sia per agevolare la manovrabilità sia perché il comando sul piantone del volante ha un leveraggio dotato di una serie di rinvii che avrebbero potuto causare problemi funzionali di innesto, magari per usura di alcuni particolari, oppure l’eventuale rottura di alcuni di questi che avrebbe richiesto un intervento complicato da eseguire in situazioni disagiate. Il cambio è stato completamente revisionato, con la sostituzione di ingranaggi, manicotti, sincronizzatori e cuscinetti, così com’è stato sostituito il gruppo frizione. Tutti particolari originali. Anche l’albero di trasmissione è rimasto originale, con verifica e sostituzione dei giunti, mentre è stato sostituito il differenziale, con scatola e ingranaggeria della Giulia 1300, dotata di coppia conica con rapporto 9/41 e semiassi di diametro maggiore, 27 mm invece dei 24 della Giulietta, mentre i cannocchiali che alloggiano i semiassi sono rimasti originali. Grazie anche a tutte queste attenzioni, e alla perizia del collaudato equipaggio composto dai coniugi Rita e Roberto Chiodi, l’incredibile Giulietta Ti 1300 del 1957 ha coperto senza particolari problemi i 16.000 chilometri di gara, presentandosi all’arrivo sotto la Tour Eiffel in decima posizione assoluta sulle circa 90 macchine che avevano preso il via a Pechino. E’ proprio il caso di dire “missione compiuta!”