IATO: un progetto ambizioso

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Difficilmente vi capiterà, ma se doveste incrociarla, molto probabilmente la scambiereste per una vecchia Pajero: stiamo parlando della IATO, la 4×4 da fuoristrada italiana assemblata sul finire degli anni ‘80 che è divenuta oggi un raro oggetto da collezione.

Sfruttando i finanziamenti statali erogati per incentivare l’occupazione nelle zone colpite dal terremoto del 23 novembre 1980, numerose aziende si insediarono a Nusco, località in provincia di Avellino, per creare dal nulla un polo artigianale-industriale.

Fra queste ci fu anche la IATO, acronimo di Industria Automobilistica Toscana. Scopo dell’impresa, che riuniva una cordata di imprenditori toscani e liguri, era l’utilizzo del denaro pubblico per assemblare e commercializzare un veicolo fuoristrada a trazione integrale.

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La produzione fu interrotta dopo soli 250 esemplari e questo rende la IATO un’auto decisamente rara. La carrozzeria in vetroresina era realizzata da un fornitore esterno. I fari anteriori provenivano dalla Volkswagen Golf prima serie, le frecce dalla Fiat Uno e gli specchietti retrovisori dal Fiat Daily.

In quegli anni la diffusione di tali mezzi era in crescita, e se si considera che nel 1987 la Fiat sospese la produzione della Campagnola, c’erano anche concrete possibilità di accedere alle commesse militari, specie considerando che gli eventuali concorrenti italiani, che peraltro utilizzavano motori stranieri, erano solo tre: Rayton Fissore, che produceva il lussuoso Magnum, Bertone, con il Freeclimber, e l’Ali Ciemme di Atessa con l’Off 4WD e il 10.4 Enduro x4.

Fuoristrada vero

La commercializzazione della IATO, che venne affidata alla Organizzazione Graziella di Torino, era stata programmata per il settembre 1989, anche se ovviamente i prototipi e gli esemplari da presentare alla stampa uscirono dallo stabilimento, che occupava una sessantina di addetti, in anticipo rispetto alla data del lancio sul mercato.

Gli ambiziosi obiettivi erano quelli di vendere 2.000 unità l’anno nel nostro Paese e di esportarne un migliaio sugli altri mercati europei.

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L’altezza minima dal suolo è di 23 cm, l’angolo di attacco in entrata 41°, quello di uscita 34°.

Inizialmente il modello era uno solo, ma in seguito fu previsto di realizzarne anche una versione telonata e anche una a passo lungo.

La struttura del telaio era costituita da longheroni in acciaio irrigiditi da traverse, le sospensioni erano a balestre abbinate a ponti rigidi e ammortizzatori teleidraulici mentre i freni erano a disco davanti e a tamburo dietro.

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Il propulsore era Fiat, come del resto la maggior parte della meccanica: in questo esemplare è installato il 2.0 litri CHT benzina da 90 CV.

Tre le motorizzazioni previste, tutte di origine Fiat, come d’altronde la maggior parte dei componenti meccanici: si partiva da un 1.6 litri da 100 CV, si proseguiva col 2.0 litri CHT da 90 CV e si arrivava al 2.0 litri turbodiesel da 86 CV. Il cambio era a cinque marce più le ridotte, mentre l’inserimento della trazione sul ponte anteriore avveniva manualmente agendo sui mozzi.

Sembrava una Pajero

La carrozzeria, a due porte più il portellone posteriore, aveva linee piuttosto squadrate ed era completamente realizzata in vetroresina.

Ricordava le forme delle prime versioni della Mitsubishi Pajero, un classico nel panorama 4×4 di quegli anni. Due i colori disponibili: il blu dell’esemplare fotografato e il classico grigio metallizzato.

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Anche la strumentazione Veglia Borletti è di provenienza Fiat.

Completa e intonata allo spirito avventuroso del mezzo la strumentazione di bordo, che comprendeva anche contagiri, inclinometro e un pannello di controllo dove erano visualizzate varie funzioni, come l’inserimento delle ridotte della trazione integrale.

Considerata l’epoca, la dotazione di serie era piuttosto ricca, con servosterzo, tergilunotto, alzacristalli elettrici, climatizzatore automatico e cerchi in lega.

Per contenere i costi furono scelti molti componenti commerciali, come gli specchietti retrovisori e le maniglie delle portiere del Fiat Daily, i fari anteriori della Volkswagen Golf prima serie, le frecce dalla Fiat Uno e i fanali posteriori dal furgoncino Citroën C15.

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Sulla consolle centrale ci sono anche gli indicatori di assetto sui due assi principali.

Buone le prestazioni fuoristrada, che abbiamo avuto la possibilità di apprezzare in occasione di una breve prova alla ricerca di una location adatta agli scatti fotografici che corredano queste note: l’altezza minima dal suolo è di 230 millimetri, l’angolo di attacco in entrata e in uscita sono rispettivamente di 41° e 34°, mentre è curioso che la Casa dichiari due valori della pendenza massima superabile, a seconda che il motore sia benzina o diesel, con quest’ultimo miglior ‘arrampicatore’.

Prezzi concorrenziali

La IATO fu posta in vendita, a seconda delle versioni, a prezzi variabili da 31.654.000 lire a 34.500.000 lire della turbodiesel.

Rispetto alla concorrenza, il modello di accesso risultava un po’ caro, mentre la motorizzazione turbodiesel reggeva il confronto con Mitsubishi Pajero e Nissan Patrol, che oltre a essere proposti con allestimenti meno completi costavano di più.

Ebbe vita breve

Tutto faceva supporre un’operazione degna di un buon successo commerciale, ma i maggiori costi di produzione dovuti a molte carrozzerie difettose che fu impossibile utilizzare, e la mancanza di ordini probabilmente imputabile al marchio completamente nuovo, portarono la IATO a chiudere i battenti dopo aver assemblato pochissime unità.

Anche le altre attività del polo industriale di Nusco non ebbero maggior fortuna.

Qualcuna fallì, altre addirittura non riuscirono nemmeno partire, facendo addirittura ipotizzare delle truffe ai danni dello Stato.

Per quanto riguarda la IATO è difficile esprimere un giudizio: sulla carta l’iniziativa poteva essere valida e probabilmente se l’azienda fosse riuscita ad aggiudicarsi degli ordini consistenti da parte dell’Esercito, della Protezione Civile e dei Vigili del Fuoco, come auspicato quando il progetto fu presentato, le cose sarebbero probabilmente andate diversamente.

Anche perché questo avrebbe generato quella pubblicità che sarebbe stata utile per attirare l’attenzione dei possibili acquirenti privati, frenati da un marchio ancora sconosciuto.

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L’esemplare fotografato, un pre-serie del 1989, appartenne a un operaio dell’azienda costruttrice e dopo diversi passaggi di proprietà è approdata nel garage del nostro lettore che la utilizza tutti i giorni.

Produzione imprecisata

Alcune fonti segnalano che furono allestiti solo 50 esemplari, altre circa 250.

La IATO protagonista del servizio fotografico apparteneva in origine a un operaio dell’azienda.

Dopo alcuni passaggi di proprietà fu acquistata da un nostro lettore appassionato di auto e moto d’epoca il quale, dopo una facile messa a punto del motore e una più impegnativa ricostruzione di un semiasse risultato introvabile, la utilizza ancora oggi per gli spostamenti quotidiani e soprattutto nelle sue escursioni fra i boschi alla ricerca di funghi.

(ARTICOLO TRATTO DA AUTO TECNICA N.474 – Testo e foto Massimo Chierici)