Siamo alla fine degli anni ‘60 e le statistiche indicano che la quota di mercato della Harley-Davidson, l’unica Casa motociclistica importante negli USA che include anche la consociata italiana Aermacchi, non va oltre il 15%.
Un dato inquietante che poteva preannunciare chiusura o vendita.
La Harley-Davidson era ancora un’azienda padronale, nonostante nel 1969, in piena crisi, fosse stata acquistata dalla American Machine & Foundry Corporation.
La AMF portò a Milwaukee nuovi manager, nuove competenze tecnologiche e anche nuovi modi di pubblicizzare i prodotti.
Molti considerano il periodo AMF uno di quelli meno gloriosi del Marchio, ma considerando il periodo storico in cui si è trovata a operare e le limitate risorse investite ha comunque rappresentato il traghettamento verso il futuro.
Forse senza la AMF oggi l’Harley-Davidson non ci sarebbe più, o almeno non potrebbe vantarsi di essere l’unica Casa motociclistica attiva ininterrottamente dal 1903.
Un ‘chopper’ di serie
Tra le operazioni di rinnovamento innescate dalla AMF c’era quella di rinnovare l’immagine della moto americana, senza però mutarne le radici.
In questo contesto giocò un ruolo fondamentale William G. Davidson, nipote di uno dei fondatori, dal 1963 in azienda con il diploma della scuola di Design di Pasadena, California e in quel periodo responsabile dello stile.
Fu lui, infatti, che lasciò la scrivania e si mise in viaggio per conoscere i gusti dei motociclisti americani.
Ciò che del motociclismo americano arrivava in Europa dall’America nel 1970 erano le enormi Electra Glide da turismo o della polizia delle grandi metropoli e i cosiddetti ‘chopper’, assurti a una certa notorietà grazie al film Easy Rider, che elevò la moto a simbolo di libertà assoluta.
Mister Davidson prese la cosa molto sul serio convinto che quel movimento così estremo potesse essere in qualche modo addomesticato con profitto dalla Harley-Davidson.
Per fare questa scelta si ispirò a un certo Dick Hirschberg, che già alla fine degli anni ’50 creò una Special su base Panhead divenuta piuttosto nota per essere apparsa nel 1960 sulla rivista Hot Rod.
Ispirati da Hirschberg i creatori di ‘chopper’ si moltiplicarono e modificarono il concetto iniziale montando improbabili forcelle e altrettanto arditi manubri.
Hirschberg, da parte sua alla fine degli anni ’60, in anticipo sulla Super Glide, presentò una sua versione alleggerita della Electra che manteneva l’avviamento elettrico.
Pare che fu questa moto ad ammaliare Willy G. Davidson, portandolo a concepire la Super Glide, una moto di serie che pareva una attraente ‘special’ non tanto nella sostanza, che in quel periodo di crisi non poteva essere cambiata, ma per l’estetica fuori dagli schemi.
Café Racer all’americana
In quegli anni in Europa, e in Inghilterra in particolare, le ‘special’ proliferavano e molte erano il frutto dell’unione armonica di più parti: chi non ricorda la Triton, la regina della ‘cafè racer’ che utilizzava un motore Triumph nella ciclistica della Norton?
Alla Harley-Davidson fecero un’operazione simile.
Presero la grossa Electra Glide, ovvero la moto americana per antonomasia, col suo bicilindrico a V di 1.207 cm3 (o, se volete, 74 cu.in.) e il cambio separato a quattro marce, e la spogliarono di tutto il superfluo, incluso il motorino d’avviamento.
Presero poi una Sportster, compatta, leggera e più piccola di cilindrata, e smontarono l’avantreno.
La snella ruota da 19”, il leggero parafango coi supporti in tondino cromato, il bel freno a tamburo, l’esile forcella a steli scoperti e il piccolo faro sormontato dalla ‘palpebra’ di alluminio lucidato passarono sulla ex-Electra, completando l’opera con due tubi di scarico che confluivano in un unico lungo silenziatore cromato.
Mancavano solo il serbatoio e la sella per completare l’opera.
Sempre nell’ottica di utilizzare parti già pronte si pensò al caratteristico monoblocco in vetroresina che fungeva da supporto della sella e da parafango offerto come parte speciale per la Sportster.
Ricordava alla lontana il posteriore denominato ‘boat-tail’ di talune automobili Packard e Duesemberg degli anni ‘30.
Ma non ebbe successo, tanto da rimanere per la maggior parte invenduto.
Il suo riutilizzo, pur con qualche inevitabile adattamento al telaio fu un atto di fede.
Per le tinte cosa poteva essere meglio del patriottico tricolore bianco, rosso e blu che ricordava le moto delle incredibili imprese dell’acrobatico Evel Knievel?
1971: nasce la Harley-Davidson FX Super Glide
Nacque così la FX Super Glide, una ‘special’ pronta all’uso per chi voleva distinguersi. Il risultato, in termini di vendite, fu però deludente.
Nel 1971, l’anno del debutto, la Super Glide vendette meno della Sportster e delle altre versioni tradizionali.
Fu il segno che il pubblico non era ancora pronto per una moto di questo genere e evidentemente non considerava superfluo l’avviamento elettrico.
Oltre alla bianca la FX era proposta anche in nero.
Già nel 1972 si corse ai ripari, tornando a una coda più ortodossa e nel 1974 ritornò l’avviamento elettrico sulla FXE Super Glide.
Su strada, come riportava all’epoca la rivista Cycle, la Super Glide si comportava onestamente.
Il giudizio della stampa dell’epoca
Lo sterzo piuttosto pesante a bassa velocità era adatto alle lunghe highway americane, “se la si paragona a una moto più piccola, la Super Glide è piuttosto imprecisa nei curvoni veloci e col fondo irregolare”, riportava all’epoca Cycle.
“Ma se la si paragona a una Electra Glide è agile come un gatto. Per molti piloti, in effetti, la Super Glide è in grado di percorrere le curve a una velocità superiore a quella cui molti di loro sono abituati”.
“E c’è una ragione: se vai forte devi anche essere in grado di fermarti in fretta, e la Super Glide non è assolutamente in grado di farlo…
Affermazioni perentorie. Ma c’è di più.
Il redattore di quell’articolo era convinto che la Harley-Davidson fosse in grado di realizzare dei freni efficaci, ma si chiedeva se la scelta di utilizzare quel tamburo fosse stata più una questione estetica che funzionale.
E concludeva dicendo che se così fosse stato… la cosa sarebbe ancora più grave, anche perché a un prezzo di vendita di 700 dollari superiore a quello della Honda 750, i freni dovevano essere adeguati.
Harley-Davidson FX Super Glide: ieri incompresa, oggi capolavoro
Nonostante la tiepida accoglienza la Super Glide fu una moto importante nella storia della Harley-Davidson.
Segnò una svolta, creando una tipologia di moto che sarebbe rimasta per sempre nella gamma di Milwaukee e che ebbe nella successiva FXS Low Ride la miglior espressione e una fisionomia definitiva che oggi è iconizzata dalla serie Dyna.
La Super Glide è oggi un ambito oggetto da collezione e la stessa Harley-Davidson nel 2006 ne ha celebrato il 35° anniversario producendo una Dyna in ‘Limited Edition’, siglata FXDI-35.