La Giulia Cinese. Si disputa ogni due anni su un percorso di 14.000 chilometri attraverso Cina, Mongolia, Siberia, Russia, Bielorussia, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Italia, Svizzera e Francia. 36 giorni infernali attraverso piste e tratturi di ghiaia e terra battuta, asfalti che fanno rimpiangere lo sterrato, circuiti improvvisati, guadi e piogge torrenziali: è la mitica Pechino-Parigi. Lo scorso anno, in Giugno, 7 equipaggi italiani hanno affrontato la gara più lunga del mondo arrivando tutti al traguardo. Noi abbiamo provato la vettura che ha dimostrato il più elevato potenziale, trovandosi anche in testa nelle battute iniziali.
Giorgio Schon e Pierre Tonetti, quasi un secolo di corse sulle spalle messi assieme, hanno affrontato per la prima volta insieme la massacrante Pechino-Parigi del 2016, una vera maratona scassamacchine con velocità medie improponibili per le vetture storiche. “Io vado per vincere”, ci aveva detto con un po’ di spavalderia Giorgio Schon l’anno scorso quando ci aveva presentato la sua Giulia rossa prima di imbarcarla per la Cina. E il suo sprint nelle tappe iniziali confermava la promessa, piazzando la Giulia numero 60 saldamente al primo posto davanti a tutti i 109 equipaggi convenuti da tutto il mondo nella durissima prima tappa in Mongolia, prima che uno stupido guaio prima e la necessità di sostituire il differenziale poi lo ha togliesse praticamente dalla lotta per il vertice, per poi rivederlo protagonista nella finale tappa europea.
Ma come vanno queste “vecchiette” reduci da cotanti strapazzi e, soprattutto, che cosa è necessario modificare nella macchina per affrontare una gara così impegnativa e logorante per la meccanica?
Per capirlo meglio ci siamo recati sul circuito Tazio Nuvolari di Cervesina, sull’argine pavese del Po, dove abbiamo avuto occasione di fare qualche giro di pista e un breve passaggio su sterrato. La Giulia numero 60 di Schon monta un motore di 2000 cc preparato e dispone del differenziale autobloccante, oltre ad una serie di altri accorgimenti meccanici e strutturali. In pista la rossa denota subito un comportamento scorbutico nel momento in cui l’autobloccante “prende”, scaricando violentemente la maggiore cavalleria al suolo con un sensibile sovrasterzo di potenza: bisogna guidarla cattiva, “remando” parecchio, con un notevole impegno di braccia data anche l’assenza già d’origine del servosterzo.
Certo, le gomme all-terrain, utili sugli sterrati della Mongolia, non aiutano affatto a far sembrare stabile la vettura, che scoda e deriva da tutte le parti ad ogni cambio di traiettoria: forse con dei pneumatici stradali, se non addirittura con i semi-racing, l’impressione di stabilità in pista ne guadagnerebbe, ma noi abbiamo voluto provare l’auto proprio nelle condizioni di assetto da sterrato con cui ha effettuato gran parte della massacrante maratona. Conseguenza del setup “da terra brutta” è il notevole coricamento laterale in curva e il beccheggio in frenata, originato dell’assetto notevolmente rialzato studiato per prevenire dannosi contatti della meccanica e della trasmissione sui tratturi sterrati: 5 centimetri in più davanti e dietro, proprio per togliersi ogni pensiero su mulattiere e piste desertiche. Il 2000 preparato della Giulia è brutale nell’erogazione e raggiunge in brevissimo i 6000 giri, regime di rotazione massima. Nonostante la rapportatura di serie del cambio, la vettura è sempre pronta in accelerazione grazie, oltre alla maggiore potenza, anche al rapporto finale corto. Molto brusco è lo strappo in partenza per via della una frizione monodisco in rame priva di parastrappi, e bisogna abituarsi a “giocare” un po’ coi pedali per evitare di far spegnere la macchina. Precisa la frenata, ma impressiona un po’ la forza che si deve imprimere al pedale centrale per compensare la mancanza del servofreno, asportato in fase di preparazione della vettura.
Anche nel breve test su sterrato la Giulia richiede una notevole impegno, senza forzare troppo di sterzo e dosando sempre l’acceleratore in uscita di curva: solo così si potrà ottenere una guida redditizia, grazie anche all’ausilio dell’autobloccante ben tarato che trasmette al suolo in tempo reale tutta la potenza disponibile, …e che “traversi” nei cambi di direzione! Quello che meraviglia è invece il confort di marcia, impensabile per una auto da corsa, ma fondamentale per veicoli che devono affrontare un raid massacrante di 36 giornate con mediamente 400 chilometri di sterrato al giorno a una velocità media intorno ai 90 km/h su strade più da jeep che da autovettura. I sedili di serie modificati assolvono a meraviglia al loro compito di contenere, ma anche di non impegnare più di tanto la colonna vertebrale, e gli ammortizzatori speciali a corsa lunga assorbono egregiamente il compito di smorzamento a loro deputato, senza dimenticare la funzione di assetto racing da terra.
La tecnica
Immatricolata nel 1971, la rossa Giulia 1300 Ti numero 60 di Schon-Tonetti è preparata da AlfaDelta di Roberto Restelli. La scocca è stata completamente tirata a lamiera, ripassate tutte le saldature, rinforzata con fazzoletti nei punti di attacco della meccanica e degli ammortizzatori, irrobustita con un roll-bar a gabbia saldato a 10 punti di attacco con diagonale e traverse portiera, barra trasversale posteriore e doppia controventatura posteriore per parte, una delle quali prolungata fino ai longheroni all’interno del vano baule per irrigidire ulteriormente la zona posteriore a sbalzo.
L’abitacolo, completamente svuotato, monta i sedili originali debitamente resi più avvolgenti e ritappezzati che assicurano un confort quasi originale, dato che devono sopportare 14.000 chilometri quasi tutti di strade bianche e tratturi. La zona posteriore è occupata da un set incredibile di borse in pelle di Loro Piana fissate al pianale con ganci, che hanno il compito di immagazzinare ordinatamente, ciascuna secondo un criterio logico, ogni sorta di ricambi e ferri che possano servire in gara. Il cruscotto mantiene le forme d’origine, ma tutti gli strumenti dell’epoca sono stati sostituiti: dal contagiri, ora elettronico, al contachilometri, al manometro della pressione dell’olio, ai termometri della temperatura dell’acqua e dell’olio, all’indicatore del livello del carburante, addirittura doppio per avere sotto controllo i due serbatoi della vettura. Completamente rifatto anche l’impianto elettrico, con rastrelliera di fusibili e relais a vista davanti al sedile del navigatore, dove prende posto anche il Blunik ed il Geo satellitare Garmin.
Il volante è in pelle a tre razze della Oreca con diametro ridotto, le cinture sono a 4 punti di attacco, l’estintore brandeggiabile è da 2,5 kg di polvere, come da regolamento, così come l’interruttore staccabatteria. L’interno delle portiere è stato completamente svuotato, lasciando posto ad ampi spazi per riporre le carte e i documenti. I vetri, con la sola esclusione del parabrezza, sono tutti in leggerissimo lexan, con comando sali-scendi “a strappo”. Parabrezza e lunotto sono fissati alla scocca con robusti ganci in alluminio. Eliminati i paraurti per guadagnare in peso, anteriormente è montato un reggicolpi in tubo a cui si aggancia una robusta slitta salvamotore-cambio in duralluminio.
Una ulteriore protezione per il differenziale è montata sul sottoscocca posteriore. Per aumentare l’altezza dal suolo si sono adottati particolari ammortizzatori Billstein a doppio effetto con molle regolabili Eibach, oltre ad utilizzare ruote da 15” anzicchè 14”, calettate con pneumatici Yokohama Geolander A/TS di misura 175/80R15 per gli sterrati della Mongolia e della Russia, e Michelin Latitude Cross 185/65R15 per le tappe europee. I cofani, anteriore e posteriore, sono completamente amovibili, e sono fissati alla carrozzeria ciascuno con 4 ganci in acciaio a spillo a sgancio rapido, per consentire immediato accesso in caso di interventi di assistenza tecnica.
Il serbatoio di serie da 45 litri è sostituito nella posizione originale da uno artigianale da 55 litri, mentre sul lato destro è montato un serbatoio supplementare comunicante da 35 litri, entrambi comandati ciascuno da una pompa elettrica a immersione che porta il carburante a una norisse montata nel baule e poi, da lì, da due pompe elettriche esterne. Nel baule trovano posto, oltre alle due ruote di scorta, anche il crick e le due batterie, insieme ad altre borse di Loro Piana zeppe di mezzi di prima necessità
La meccanica
Meccanicamente è stato fatto un lavoro radicale, sostituendo tutto quello che era possibile migliorare stando nei termini del regolamento. Solo il cambio ha conservato la sua rapportatura a 5 marce di serie. Il differenziale monta una coppia conica più corta (8/41) ed un autobloccante a lamelle con taratura al 70%, che rende la guida decisamente impegnativa, ma redditizia.
Il motore è quello della Alfa 2000 GT Veloce debitamente preparato, che eroga una potenza di 145 cavalli grazie ad un meticoloso lavoro di equilibratura, assi a camme con diagramma più spinto, bielle speciali, carburatori Weber da 40, lavorazione della testa e dei condotti, collettori di scarico in acciaio 4 in 2 in 1 rivestiti di bende termoisolanti, volano alleggerito. Nel vano motore trova posto la vaschetta di espansione in alluminio, la vaschetta di recupero dell’olio pure in alluminio, il radiatore supplementare dell’olio e si nota l’eliminazione del servofreno, sostituito da 2 pompe dei freni indipendenti. Le pinze dei freni sono quelle dell’Alfa Montreal, mentre i dischi freno anteriori sono autoventilati. La frizione è sinterizzata in rame, priva di parastrappi, ed è estremamente brusca nello stacco. La mascherina originale a 4 fari è modificata a 2 fari per offrire una maggiore superficie per il passaggio dell’aria attraverso la mascherina, considerando l’assenza di tappe notturne in gara.
Il costo totale della preparazione è da capogiro, a cinque zeri, al netto del prezzo di acquisto -in proporzione molto abbordabile- dell’auto.