Il 1978 fu uno di quegli anni che segnò la storia di una nazione. L’uccisione di Aldo Moro e di Peppino Impastato, il primo processo alle Brigate Rosse, le leggi speciali, la legge sull’aborto e l’elezione di Sandro Pertini sono solo alcuni degli eventi che lo caratterizzarono, insieme col pontificato di soli 33 giorni di Giovanni Paolo I, al disastro aereo di Punta Raisi e all’inizio della democrazia spagnola, senza dimenticare la nascita della prima bambina ‘in provetta’, l’invio della prima mail di spam e l’uscita dell’album di esordio dei Van Halen.
Lo sport festeggia il primo mondiale dell’Argentina e piange Ronnie Peterson, mentre la CBS manda in onda il primo episodio di Dallas. È in questo contesto storico che nasce la Fiat Ritmo, un modello che doveva sostituire degnamente la 128, la prima vera Fiat moderna – sinonimo, all’epoca, di trazione anteriore – a cui tutti i Costruttori europei si sono ispirati.
Si contrappone al ‘fenomeno’ Golf
C’è da battere la concorrenza della Volkswagen Golf, che nonostante sia da poco in circolazione si sta già imponendo come leader del segmento. A Torino decidono di puntare su un design ben riconoscibile (debuttano i paraurti di plastica) unito a una grande abitabilità. Gli obiettivi sono centrati, anche se il premio ‘Auto dell’anno’ sfugge di un soffio e la prima Ritmo presenta numerose pecche qualitative, tra cui tendenza alla ruggine e assemblaggi grossolani.
Ciononostante le vendite sono buone, soprattutto nei confini nazionali, tanto che si decide di provare l’avventura negli Stati Uniti, non prima di aver cambiato il nome in Strada. I risultati deludenti ne decreteranno la fine dopo soli tre anni, tanto che Oltreoceano non arrivò mai la seconda serie del 1982 che era assai migliorata, soprattutto sotto il profilo strutturale. La nuova Ritmo era più leggera di 70 kg, più rigida e non si perforava più a causa della ruggine. Un’auto matura e ben riuscita che aveva anche una gamma di motorizzazioni finalmente all’altezza. Alle versioni base a benzina, 60, 70 e 85 (corrispondenti ai CV erogati dal motore) che erano spinte rispettivamente da un 1.1, un 1.3 e un 1.5 litri, si affiancava la sportiva 105 (1.6 litri di cilindrata) e la cattivissima Abarth 130 TC che scattava da 0 a 100 km/h in 8 secondi e sfiorava i 200 orari. Una vera belva per l’epoca, che dominò per diversi anni i principali campionati sportivi europei del Gruppo N. Senza dimenticare le versioni diesel, l’1.7 aspirato da 60 CV e l’1.9 turbo da 80 CV.
C’erano poi la cabriolet e anche una versione avveniristica come la Energy Saving che aveva una serie di modifiche estetiche e meccaniche volte a massimizzare l’efficienza riducendo i consumi a scapito di un po’ di brillantezza. Dalla Ritmo derivarono anche la Seat Ronda (dalla cui costola nacque poi la prima Ibiza) e la Regata, che era talmente simile da essere omologata come versione derivata e non come modello a sé. La carriera della Ritmo terminò nel 1988 dopo oltre due milioni di esemplari venduti, lasciando spazio alla Tipo.
Qualità della vita a bordo
Dopo l’epoca in cui l’automobile era considerata oggetto di lusso o simbolo di condizione sociale, emersero altre esigenze. Prima fra tutte, quella di dare all’automobile le caratteristiche necessarie a farne un razionale strumento di lavoro oltre che un comodo mezzo di svago. I tecnici di allora furono costretti a ripensare completamente il modo di usare l’auto, visto che già allora si passavano molte ore della giornata in auto sia per il lavoro sia per il tempo libero. Si arrivò a una conclusione: per viaggiare in auto si doveva disporre dello stesso livello di comfort di cui si gode a casa; la qualità della vita in automobile, quindi, assunse un’importanza quasi primaria, diventando uno degli elementi base della progettazione della Ritmo. Cioè si capì che non ci si doveva più limitare solamente alla realizzazione di una vettura dall’abitacolo spazioso, dotata di una meccanica solida e affidabile, di sospensioni la cui flessibilità fosse eccellente, con sedili ergonomici e comandi collocati in modo razionale. Era quindi necessario andare oltre. Con la Ritmo, per la prima volta nella produzione di un’auto italiana, si fece ricorso a esperti di altri settori, che misero il loro know-how a disposizione degli ingegneri. Si fece ricorso a tecniche completamente nuove per quel tempo, a ricerche tese a fornire il meglio in fatto di materiali, sfruttando tutto ciò che la scienza era in grado di fornire all’industria automobilistica attraverso l’esteso impiego dell’elettronica. Così è nata la Ritmo, la prima Fiat degli anni Ottanta.
La linea
Sulla base delle indicazioni fornite dal progetto di massima, per la Ritmo il Centro Stile Fiat scelse una carrozzeria a due volumi. Il design della nuova berlina fu impostato in modo che lo stile fosse diretto a risolvere aspetti della funzionalità. La fantasia, per il momento, fu imbrigliata, poiché la nuova impostazione del lavoro richiedeva al designer risposte precise a precise esigenze di abitabilità, manutenibilità, sicurezza passiva, contenimento dei consumi.
In particolare, tra i primari obiettivi del progetto figurava la profilatura aerodinamica di prim’ordine. Era necessario ottenere consumi a valori minimi senza rinunciare a prestazioni brillanti e silenziosità elevata attraverso l’eliminazione di fruscii, sibili e vortici d’aria. Il compito non fu facile, ma la progettazione della Casa torinese disponeva di parecchie frecce nel suo arco: primo fra tutti la Galleria del vento, dove sarebbe stato possibile verificare le qualità aerodinamiche della vettura. E proprio nella Galleria del vento si verificò la sfida più importante, ovvero la ricerca del miglior Cx (coefficiente di penetrazione aerodinamica). Furono provate numerose soluzioni del frontale, per arrivare alla forma definitiva che si distinse per il notevole arrotondamento della linea. Sulla parte posteriore del padiglione fu aggiunto uno spoiler e furono studiate diverse inclinazioni del parabrezza. Inoltre, furono operati altri interventi sul paraurti anteriore (dotato di uno spoiler inferiore) e sul frontale, arricchito di prese d’aria.
Il modello di gesso a grandezza naturale aveva dato un coefficiente di 0,371. Solitamente, il modello dotato di retrovisore esterno, tergicristalli, prese d’aria e altre piccole sporgenze esterne, alla fine offre un Cx peggiore del 15-20%. Grazie alle sofisticate attrezzature della Galleria del vento e dopo un lungo lavoro di affinamento, il CX finale della Ritmo sarà di 0,38, un valore che poteva essere definito eccezionale nella sua categoria.
Gli interni
Ai tempi fu calcolato che, mediamente, l’automobilista trascorreva in auto circa tre ore al giorno, quindi significava che la vettura assumeva la funzione di seconda abitazione. I progettisti intesero dare all’abitacolo della Ritmo tutte quelle caratteristiche adatte a soddisfare le esigenze di chi cercava in un ambiente di lavoro ottime qualità a livello di illuminazione, regime acustico, colore e climatizzazione.
Fu possibile un’approfondita indagine sulle fonti di rumorosità grazie al “Fourier Analyser System”: operando sulla scocca della vettura il sistema era in grado di rilevare e di analizzare la propagazione del rumore e delle vibrazioni e di indicare le necessarie modifiche per l’ottimizzazione della rigidezza della scocca. Fu poi la volta della definizione dei punti di ancoraggio delle sospensioni e quindi del gruppo motopropulsore. Un altro contributo importante derivò dall’uso dei materiali fonoassorbenti. L’intervento della ricerca di laboratorio fornì risultati assai interessanti: una lunga serie di prove rese possibile ottimizzare la composizione dei fogli smorzanti da applicare sul fondo e sulle fiancate dell’abitacolo e dei pannelli fonoisolanti. In questo modo la Ritmo si collocava su una posizione di assoluto rilievo in tema di silenziosità di marcia. In particolare, il risultato ottenuto nel campo delle basse frequenze fece sì che sulle percorrenze medio-lunghe il senso di affaticamento fosse decisamente contenuto.
Il comfort
Comfort vuol dire sentirsi a proprio agio subito, quando ci si mette al volante. La Ritmo garantiva questo immediato tipo di affiatamento. Nella vettura torinese il rapporto uomo-macchina fu improntato a una rapida familiarizzazione; infatti, la semplicità di impostazione generale, elevato standard qualitativo dei materiali, la razionale collocazione dei comandi, la semplicità di manovra, erano tradizionali patrimoni di Fiat. Il sentirsi subito a proprio agio fu una componente fondamentale di sicurezza. La Ritmo era perfettamente allineata a questo principio, che teneva nel massimo conto il comportamento del conducente e la necessità di creargli una situazione favorevole, di facile “convivenza”. Questa condizione nasceva anche dall’uso razionale dei materiali, dal costante controllo sulla qualità dei prodotti forniti dall’esterno, dalla continua verifica degli standard di progettazione, via via che l’auto era realizzata. E per accrescere la validità del rapporto uomo-macchina, sulla Ritmo fu possibile montare il cambio automatico (sulla 1,5 litri, ndr) e il condizionatore d’aria. La disponibilità dell’automatico fu una motivazione in più che solitamente non riguardava l’appannaggio delle medie cilindrate. L’automatismo affrancava dalla fatica nella guida in città e non toglieva nulla al piacere della guida extraurbana.
Le prestazioni
Gli obiettivi tecnici che si posero i progettisti erano piuttosto ambiziosi: la Ritmo doveva confrontarsi con successo con la concorrenza per quanto riguarda la velocità e le prestazioni, garantendo livelli di consumo migliori. La sfida tecnica fu quella di ottenere un valido compromesso fra economicità e prestazioni. Gli ingegneri lavorarono sull’aerodinamica della linea, su un’appropriata scelta dei rapporti del cambio, sull’accurato studio delle curve di potenza nelle motorizzazioni previste. I tecnici torinesi lavorarono alacremente anche attorno ai rapporti del cambio, alle caratteristiche del motore, alla definizione dei pneumatici. Successivamente (nel corso della sperimentazione con i prototipi) si arrivò ad affinamenti e ritocchi sul filtro aria di aspirazione, sulla tubazione di scarico e sulla taratura del carburatore. Cosi, oltre al positivo comportamento su strada e alla immediata familiarizzazione, la Ritmo offriva all’automobilista il brio che ci si attendeva da una vettura destinata sia al pesante e stressante traffico metropolitano sia alle lunghe percorrenze in autostrada.
Affidabilità
Ancora oggi l’affidabilità di un’auto si valuta in base alla continuità di funzionamento che essa è in grado di garantire nel tempo; è importantissimo disporre di una vettura affidabile, che non si guasti. Tutti concetti universali validi ora come 40 anni fa. Tra gli elementi base del progetto di massima della Ritmo fu presa in considerazione anche l’affidabilità, che doveva garantire l’utente dall’assenza di inconvenienti gravi per almeno 100mila km. Fu anche per questo motivo che si scelse come punto di partenza la meccanica della 128, ritenuta giustamente fra le più durature e affidabili grazie ai continui interventi di affinamento che il modello subì nel corso degli anni. Così ci si concentrò sui principali organi di usura: frizione, cambio, freni, pneumatici. Anche l’impianto elettrico poté godere di migliorie qualitative grazie all’adozione del sistema a centralina con cavi modulari.
Per verificare che le promesse fossero poi mantenute in produzione, alcuni prototipi furono sottoposti a una lunga serie di verifiche; furono percorsi oltre un milione e mezzo di chilometri con a bordo esperti collaudatori incaricati esclusivamente di scovare anche la più piccola delle imperfezioni. Sul grande anello dell’alta velocità del circuito di Nardò e sulla pista principale della Mandria, le Ritmo girarono per settimane, in prove di affaticamento severe e mirate, svolte proprio per verificare la validità del progetto. Un test globale realizzato in tutte le condizioni di impiego: ad alta velocità, in curva, in frenata, sul pavé, sullo sterrato, su fondi asciutti e bagnati, nei guadi di acqua salata. I risultati furono sorprendenti: con l’uso di tecniche e di materiali di elevata qualità (per esempio lo Zincometral per combattere l’assalto della ruggine nei punti più esposti) la Ritmo, alla resa dei conti, offriva un elevato grado di affidabilità, che i tecnici valutarono in 0,5 guasti critici per 100mila km). In questo quadro è da sottolineare anche il passaggio della cadenza chilometrica per l’assistenza periodica da 15mila a 20mila km. Nell’arco di vita media di una vettura, dunque, per la Ritmo erano necessari meno interventi di controllo, con una consistente riduzione delle spese di gestione a parità di efficienza del veicolo.
Assistenza
Sin dalle prime fasi della sua progettazione, la Ritmo fu seguita dai tecnici preposti all’assistenza. L’esperienza rilevata nei singoli settori è divenuta così materia di progettazione per la nuova berlina ai fini di contenere al massimo i costi di esercizio. I progettisti hanno perciò posto particolare cura nella razionalizzazione del vano motore, per consentire lo stacco e il riattacco del solo gruppo o del solo elemento interessato all’intervento di riparazione, senza rimuovere altri componenti. Sulla Ritmo risultavano così particolarmente facilitate le operazioni di stacco e di riattacco del motopropulsore, del cambio di velocità, della coppa dell’olio, del complesso frizione, della scatola dello sterzo, del motorino di avviamento, del radiatore. Anche la registrazione delle punterie, la sostituzione delle tubazioni di scarico, gli interventi sul distributore di accensione e sulle candele, la sostituzione della cartuccia filtro olio erano state semplificate. Era più semplice anche la registrazione dell’assetto ruote mentre per la carrozzeria erano numerosi gli elementi sostituibili senza grandi difficoltà. Un discorso a parte meritavano i paraurti, i grandi scudi di plastica, che avevano funzioni multiple interessando sia l’aerodinamica della vettura (con la conseguente riduzione dei consumi) sia la protezione dai piccoli urti. Gli “scudi” furono studiati per assorbire senza danni impatti a 6-8 km/h, velocità che di solito caratterizzano i piccoli urti nella circolazione urbana.
Elettronica al servizio dell’uomo
La Ritmo nacque con il determinante aiuto delle tecniche più moderne e sofisticate di allora. L’elettronica contribuì in modo sostanzioso a rendere la vettura più affidabile, confortevole, più funzionale. Gli strumenti avanzati impiegati nella progettazione e nella costruzione della nuova vettura non solo sono serviti ai tecnici per ridurre i tempi di lavorazione per trovare le migliori soluzioni di progetto o per migliorare la qualità del lavoro in fabbrica. Accanto a questi aspetti che riguardano essenzialmente la produzione, vanno messi tutti quei vantaggi per l’automobilista derivati proprio dalla possibilità di impiegare tecniche di avanguardia. Prendiamo per esempio il comfort.
Per la prima volta nella storia dell’automobile, le cause del rumore e delle vibrazioni sono state individuate grazie al Fourier Analyser System e ai raggi laser(olografia). La scocca e le parti meccaniche furono oggetto di approfondita verifica, alla ricerca di quelle vibrazioni che poi si riflettono negativamente sulla vettura in marcia. Con l’aiuto di queste tecniche e con l’applicazione di nuovi materiali fonoassorbenti, il comfort della Ritmo fu portato a livelli solitamente riscontrabili su vetture di categoria superiore.
Nell’ingegneria dei materiali, l’elettronica servì a verificare la qualità di tutte le componenti impiegate. Ben 120 particolari furono innovativi grazie alle indagini rese possibili dalle avanzatissime tecniche impiegate. Nel Centro Ricerche di Orbassano la Ritmo fu sottoposta ad appropriate “torture” per verificarne la robustezza. Anche qui l’elettronica, nelle sue più diverse applicazioni, ha avuto una parte preponderante.
Infine, per quanto riguarda la produzione, le carrozzerie della Ritmo furono assemblate con una tecnologia inedita, il Robogate, che sollevava l’uomo dal lavoro pesante attorno al mascherone, migliorava qualitativamente la precisione di produzione e la rendeva più flessibile alla domanda.
Ingegneria dei materiali
La Ritmo fu il frutto non solo di sofisticati mezzi di progettazione, ma anche di accorte scelte nel campo dei materiali. Gli specialisti intervennero essenzialmente per operare in due aree molto importanti: la protezione della carrozzeria dalla corrosione e l’allestimento degli interni. Nella realizzazione della scocca si fece largo uso delle lamiere “Zincrometal”, destinate a creare una barriera contro la corrosione. Le lamiere di questo tipo erano pretrattate con vernice epossidica zincante: a parità di condizioni, esse offrivano risultati nettamente migliori rispetto alle lamiere zincate a fuoco o con procedimenti elettrolitici. Fu posta particolare cura anche nella qualità della verniciatura sia nell’uso di materiali sia nello sfruttamento di nuove tecnologie applicative. Le Ritmo erano verniciate in un impianto interamente automatizzato che garantiva costanza di qualità nel tempo. Il padiglione, per esempio, era rivestito di materiale fonoassorbente, i pannelli delle porte e l’imbottitura dei sedili erano di poliuretano autoestinguente con ridottissima conducibilità termica; la plancia portastrumenti di termoplastico opaco si snervava ma non si scheggiava in caso di urto. Il volante era imbottito con una speciale schiuma antiallergica e anche i tappeti di moquette contribuivano all’isolamento acustico.
I colori
Le vernici e i tessuti impiegati per la Ritmo furono il frutto di un’accurata indagine preventiva tesa sia a stabilire la qualità dei materiali sia a garantire un buon livello estetico degli abbinamenti finali. La nuova gamma cromatica esterni-interni ebbe come obiettivo di evidenziare, nel modo più armonico ed elegante possibile, le nuove forme e i nuovi volumi scelti per la berlina. Per quanto riguarda le tecniche di controllo di qualità il compito fu affidato all’ingegneria dei materiali. I tecnici sottoposero a verifica le vernici scelte, in funzione dei livelli di protezione della carrozzeria dalla corrosione. Nella scelta dei materiali per i rivestimenti interni, l’uso di sofisticati mezzi di controllo portarono a una approfondita verifica delle loro capacità di durata nel tempo, controllando nel contempo che non vi fossero controindicazioni nel contatto con l’uomo (pericolo di allergie). Il tessuto impiegato per la selleria normalmente doveva possedere caratteristiche superiori a quelle del tessuto di abbigliamento e per raggiungere un alto traguardo di qualità, i tecnici Fiat intervennero sia presso i fabbricanti sia presso i fornitori di coloranti per ottenere i risultati più qualificanti.
Debugging
Letteralmente significa “spulciatura”. Si tratta del controllo finale sul prodotto, alla ricerca degli eventuali piccoli difetti sfuggiti a tutte le precedenti verifiche incrociate. Un gruppo di collaudatori (uomini e donne) guidarono per un mese 100 Ritmo prese in quattro lotti in quelle fasi che precedono la produzione vera e propria. Alla fine di ogni giornata i collaudatori compilavano una scheda indicando le anomalie rilevate. Il test durava una settimana per ogni lotto. Dopo ogni lotto di pre-produzione, prima di iniziare il test con il lotto successivo, venivano corrette le anomalie di processo rilevate dai collaudatori. Questo avveniva per quattro volte sino ad arrivare alla fase di produzione di massa senza difettosità indotte dalle attrezzature e dagli operatori. Separatamente, con test specifici venivano poi indicati da potenziali clienti, i punti deboli e i punti forti della vettura. Il significato di questa operazione era quello di individuare, con un metodo che avesse validità in termini statistici, i guasti infantili della vettura e quelli che si manifestavano nei primi 3000 km di percorrenza.
Questi controlli consentirono ai tecnici Fiat di intervenire per anticipare la messa a punto del processo produttivo e per apportare le eventuali piccole modifiche al progetto, al fine di rendere il prodotto il più perfetto possibile. Nell’arco di quattro settimane le 100 Ritmo percorsero un totale di circa 350mila km, per il 20% nel traffico urbano, per il 30% in autostrada, per il 35% su un tracciato misto pianeggiante e per il restante 15% su strade di montagne. Unico obbligo per i collaudatori chiamati a indossare i panni del cliente: quello di non infrangere le norme del Codice della Strada. Per il resto, i conducenti si comportarono esattamente come se fossero normali utenti. Il super controllo finale (messo in atto per la prima volta nella storia della Fiat in modo così massiccio) fu l’ultimo coerente gesto critico nel quadro di un programma teso a realizzare una vettura il più possibile rispondente alle esigenze reali di chi guidava.
Un caloroso grazie a Marco Reggio, presidente del Fiat Ritmo Club Italia, per averci fornito l’indispensabile supporto e averci fatto fotografare la Ritmo 65CL di famiglia, prezioso ricordo del suo papà.
Il commento di Giacosa: Così larga?
Pare che sia stato questo il commento espresso dal grande progettista, quando inarcando le sopracciglia, vide per la prima volta il modello di stile e i disegni dimensionali della ‘138’, cioè la nuova Fiat Ritmo. Più lunga di 18 cm e più larga di 10 rispetto alla sua ‘128’ , doveva raccoglierne la difficile eredità. Dopo un trentennio al timone della Direzione Tecnica del colosso industriale torinese, Giacosa si era ritirato da pochi anni e ricopriva il ruolo di consigliere per la Presidenza. Era dunque lui che doveva esprimere pareri (autorevoli) sui nuovi prodotti, ma il padre della Topolino, della 500, della 600 Multipla e di innumerevoli progetti che hanno fatto grande il marchio Fiat nel mondo, insomma uno che non scherzava con le innovazioni, dovette deglutire e annuire dinanzi alle motivazioni che avevano indotto il team di stile e progettazione a proporre quell’automobile così profondamente diversa da tutte quelle che l’avevano preceduta. La Ritmo infatti non era solo un veicolo dalle forme inusuali, con quei paraurti integrati e i cerchi ruota asimmetrici (che vennero chiamati scherzosamente ‘i bottoni’), ma racchiudeva in sé una nuova filosofia costruttiva e soprattutto un nuovo concetto di prodotto, che per la prima volta era pensato scientificamente per soddisfare le richieste del cliente finale.
L’automobile degli anni Ottanta non era più solo un oggetto utile e possibilmente bello, ma doveva racchiudere qualcosa in più ed essere pensato e costruito seguendo le nuove esigenze imposte dal cambiamento di gusti della clientela, da un mercato in forte trasformazione e dall’evoluzione dei concorrenti. Nel caso della Ritmo, la sfida fu quella di realizzare un’automobile di segmento medio, dal costo industriale contenuto, che oltre al compito di procurare il piacere di guida e trasportare i passeggeri, doveva svolgere anche quello di soddisfare buona parte di quelle nuove aspettative cui abbiamo accennato, diventare quasi un’estensione del salotto di casa, confortevole, sicura, ergonomicamente studiata per contenere al suo interno spazioso e tutt’altro che spartano i passeggeri e i bagagli. E adatta per offrire viaggi piacevoli e non così affaticanti come quelli dei guidatori del primo dopoguerra. L’attenzione si spostava quindi dall’acquirente di un veicolo, al cliente, inteso come possessore di un bene di valore, per affiliarlo e fidelizzarlo. Una visione indubbiamente avanzata per l’epoca, considerando che ancora oggi si ritiene che un cliente perso per insoddisfazione, si possa riacquistare solo dopo due o tre generazioni.
La ‘rivoluzione copernicana’ introdotta nell’azienda torinese con la nuova Ritmo si incentrava quindi sul concetto di Qualità Totale (Il Total Quality System statunitense di Ford e GM), un obiettivo difficile e teso a soddisfare il cliente in tutti le sue aspettative. Introdotto dai giapponesi e perfezionato dagli americani, fu mutuato nella galassia Fiat da Nicola Tufarelli prima del 1978, e quindi applicato da Vittorio Ghidella dopo il 1979. I due manager, avendo vissuto parecchio negli Stati Uniti, avevano capito che la sfida del prodotto si sarebbe giocata proprio sul fronte della Qualità Totale: oltre alle caratteristiche di base presenti sino ad allora come lo stile e le prestazioni, non si poteva più prescindere da altri contenuti già presenti sui prodotti d’oltreoceano quali la sicurezza passiva, la qualità percepita nei suoi vari aspetti, l’assistenza post-vendita e soprattutto il mantenimento della funzionalità nel tempo, ovvero l’affidabilità, quell’elemento che è imprescindibile per generare la fiducia nel prodotto acquistato e che convince il cliente a non cambiare brand. Oggi sembrano cose scontate; quando si acquista un prodotto, chiunque di noi ‘pretende’ queste prestazioni, ma all’epoca si trattò di superare molti pregiudizi. Ci si trovava dinanzi a qualcosa di epocale per l’azienda torinese: il concetto di cliente finale introdusse quello di cliente interno all’azienda: con la nuova filosofia non si parlava più di competizione fra motoristi, telaisti, stilisti, metodologi eccetera, bensì di team e di fornire sistemi (ad esempio il powertrain) o servizi (come gli acquisti) ai colleghi con cui si stava collaborando per raggiungere un obiettivo comune. Stilisti, progettisti, tecnologi, sperimentatori, tutti insieme si dovevano poi coordinare per studiare le soluzioni migliori verso l’ultimo cliente interno, ovvero la fabbrica, che a sua volta, attraverso un ciclo produttivo ottimizzato, aveva il compito di realizzare il prodotto per il cliente finale. Certo non tutte le idee di Tufarelli e Ghidella trovarono la loro completa realizzazione: alcuni personalismi ne limitarono la completa applicazione, ma alla Fiat dell’avvocato Agnelli, il modo di progettare, sperimentare e produrre automobili introdotto con la Ritmo non fu più abbandonato, e molti successi del costruttore torinese negli anni ottanta e novanta (il gruppo Fiat sotto l’impulso di Ghidella diventò il quinto nel mondo) rimarranno eredità tangibile dei coraggiosi cambiamenti di cui la Fiat Ritmo è testimone… E a posteriori, con gli oltre due milioni di esemplari prodotti, si può dire che le intuizioni furono vincenti! (F.F.)
Si, però… aveva anche qualche difetto!
Quante volte abbiamo sentito qualche amico che, parlando della loro Fiat, ne decantavano le qualità meccaniche ma esprimevano qualche dubbio sulla qualità costruttiva? Sicuramente più di uno. E se, come si dice, vox populi vox Dei, qualche fondamento ci deve pur essere. Ricordo che alla fine degli anni Ottanta, nell’officina di un amico situato nei dintorni di Heathrow comparve un tizio al volante di una Fiat Regata, in pratica la versione a tre volumi della Ritmo, prodotta fino al 1990. All’epoca vedere una Fiat in Inghilterra era cosa rara e il proprietario, quando seppe che ero italiano, iniziò a decantarmi le doti del motore della sua vettura: “Engine is perfect. No problems”, mi disse entusiasta, ma poi iniziò a criticare talune finiture perfettibili e fu ancor più severo con la protezione della lamiera della carrozzeria, indicandomi i brancali con un esteso strato di ruggine che spingeva da sotto la vernice. E, guarda caso, proprio la ruggine nel sotto scocca è stata, in quel periodo, causa di un richiamo delle vetture sul mercato USA e Canada. Dunque con la Ritmo la svolta c’è stata, e indubbiamente ha indicato la strada verso un perfezionamento generale del prodotto, ma qualche difetto rimaneva, spesso dettato dall’endemica ricerca del contenimento dei costi, allora (e talvolta ancora oggi) indice di efficienza dell’ufficio acquisti, ma spada di Damocle sulla qualità del prodotto. La Ritmo non era esente da difetti, e di questi esiste sicuramente la documentazione di ciò che i concessionari e le officine autorizzate hanno rilevato sul campo durante il periodo di garanzia. Le sospensioni, ad esempio, erano piuttosto rumorose, specie su fondo sconnesso e sul pavè. L’impianto elettrico aveva l’anello debole nei connettori, che non essendo ancora del tipo ‘dual lock’ affidava alla capacità e alla perizia dell’operaio in linea l’innesto sicuro dei segmenti del cablaggio, con possibili sfilamenti a seguito di vibrazioni. Oppure l’ingiallimento delle parabole dei fari anteriori, segno di un non perfetto processo di deposito dell’alluminio sulla plastica. All’esterno era sotto gli occhi di tutti il prematuro sbiancamento dei paraurti quando la vettura sostava all’aperto e le giunzioni delle guarnizioni dei finestrini che col tempo si deformavano. Nell’abitacolo non mancavano gli scricchiolii delle molle interne dei sedili e, specie sulla prima serie, qualche sportello del vano portaoggetti si apriva involontariamente. Col tempo la non eccelsa qualità della plastica creava qualche sprofilatura tra i vari elementi della plancia. Pochi i difetti sui motori, anche se su lunghi chilometraggi c’è stata qualche rottura della cinghia della distribuzione; nella trasmissione si rilevarono una certa rumorosità del cambio e del differenziale e qualche difficoltà di innesto della seconda e terza marcia. Difetti che per gli standard odierni sembrano preistoria ma che quarant’anni fa, su vetture di questa categoria, non erano così rari. Le giapponesi, per fortuna, non erano importate in Italia, e le coreane, oggi al top della qualità, non esistevano ancora. Ma il pubblico cominciava a guardarsi attorno e a fare confronti con la migliore concorrenza francese e tedesca che attraverso il rafforzamento della loro rete di vendita e assistenza nel nostro Paese faceva vacillare uno dei capisaldi dei venditori Fiat, e mito spesso disconosciuto, ovvero la facilità di reperimento e il basso costo dei ricambi. Anche per questo la ‘rivoluzione Ritmo’ ha fatto sicuramente del bene, contribuendo in modo determinate al riposizionamento della Fiat nel mercato globale dell’auto di quegli anni. (F.D.)
Il Club
Il Fiat Ritmo Club Italia è stato creato il 1° Febbraio 2011. La nascita venne sancita ufficialmente alla presenza del Presidente, Marco Reggio, e dei sottoelencati soci fondatori che formarono l’allora Consiglio Direttivo del Club.
Presidente: Marco Reggio
Vicepresidente: Fabio Valsega
Segretario: Stefano Calzetti
Tesoriere: Marco Brancale
Consigliere: Graziano Orlandi
Tuttavia era già dai primi mesi del 2007 che, grazie a internet e alla nascita del primo forum italiano dedicato alla Fiat Ritmo (http://fiatritmo.forumup.it/) un iniziale ristretto gruppo di appassionati di questo modello iniziò a imbastire e a tessere i legami che porteranno poi all’ufficializzazione dell’iniziativa in un vero e proprio club nel 2011. Da allora a oggi, il Fiat Ritmo Club ha avuto una rapida crescita di affiliati e di popolarità, anche sul web. Quest’anno, il 15-16-17 giugno in occasione del quarantesimo compleanno della Ritmo, è stato organizzato un raduno che ha visto convergere a Torino le Ritmo di ogni tipo, modello e anno, sancendo così quanto questa vettura è stata importante per la Fiat e quanti appassionati riesce ancora a unire attorno al suo nome.
Per info: www.fiatritmo.it