FIAT bicilindrici, dal Giacosa al TwinAir: una storia infinita

Oggi che l’automobile è divenuta per i più un comune elettrodomestico si tende a dimenticare quanto intricato, pionieristico ed affascinante sia stato il suo passato. Vale, ad esempio, per i tanti automobilisti che ai giorni nostri comprano e guidano con soddisfazione un’utilitaria Fiat motorizzata con il propulsore Twinair: tecnicamente raffinato e dalle emissioni ridottissime come tutti i motori moderni, il gioiellino di casa Fiat riesce indubbiamente a far sembrare il suo storico antenato, che dal 1957 in avanti cambiò per sempre il panorama delle strade italiane e le prospettive di mobilità dei suoi abitanti, un pezzo di archeologia industriale.

Fiat 500 del 1957
Fiat 500 del 1957

SEMPLICE ED EFFICACE: Un ripasso di storia sembra dunque doveroso, non foss’altro che per ricordare ai lettori meno informati il significato di quel piccolo motore per la Fiat in primis, e per tutto il paese in seconda battuta. Tutto ebbe inizio nella prima metà degli anni ’50, quando Dante Giacosa iniziò a lavorare sul progetto della nuova “superutilitaria”, su input di Vittorio Valletta ed ispirandosi ai bozzetti del giovane tecnico tedesco Hans Peter Bauhof. Di tale proposta Giacosa apprezzò infatti fin da subito l’impostazione generale, estremamente compatta ed economica da produrre e con motore e trazione posteriori, mentre riguardo al propulsore ritenne le idee di Bauhof – che prevedevano un “due tempi” di stampo motociclistico – non adeguate al risultato che si voleva ottenere, ovvero quello di un’automobile vera e propria, sebbene in miniatura. Iniziò così a Torino un lungo ed articolato ciclo di sperimentazioni, che vide girare al banco vari prototipi. Tutti bicilindrici a quattro tempi e raffreddati ad aria, ma per il resto completamente differenti tra loro: a valvole laterali o in testa, con distribuzione ad aste e bilancieri o a camme in testa, a cilindri contrapposti o in linea, longitudinale o trasversale, ciascuno naturalmente con i suoi pregi ed i suoi limiti.

Bicilindrico 500cc 13 CV
Bicilindrico 500cc 13 CV

Alla fine, dopo aver scartato alcune soluzioni per via del costo eccessivo (la versione a cilindri contrapposti troverà poi una casa alla Steyr-Puch) ed altre per la scarsità delle loro prestazioni, il compromesso ottimale fu identificato nel prototipo longitudinale a cilindri in linea, con albero a camme nel basamento e distribuzione ad aste e bilancieri. Questa unità, battezzata nella sua versione di produzione come “Tipo 110”, era naturalmente di concezione estremamente semplice, con basamento in ghisa a due supporti di banco e testata alettata in lega leggera a valvole parallele, ma implementava al contempo diverse soluzioni inedite finalizzate ad ottimizzarne il funzionamento riducendone al contempo il costo: ad esempio l’efficiente e semplice filtro olio centrifugo, montato all’estremità posteriore dell’albero motore e mosso da un ingranaggio montato direttamente sull’albero a camme, oppure il sistema di sospensione del gruppo motopropulsore tramite una molla agente su un braccetto alla sua estremità posteriore, che consentiva di ridurre nettamente le inevitabili vibrazioni del bicilindrico in linea. Tecnicamente “furbo” era anche il sistema di riscaldamento dell’abitacolo, che sfruttava la ventola centrifuga del propulsore per convogliare l’aria calda tramite un apposito condotto. Nonostante questo corredo di brillanti soluzioni, va comunque ricordato che l’impatto con il mercato della “Nuova 500” non fu dei migliori, e che in parte ciò si dovette proprio al “Tipo 110”, che nella sua versione originaria da 479 cm³ e con RC pari a 6,5:1 erogava soli 13 CV di potenza massima, oltretutto misurati secondo la normativa SAE, ottimistica di un buon 15% rispetto alla effettiva potenza all’albero disponibile con il propulsore montato in vettura.

Fiat 500 del 1957
Fiat 500 del 1957

Con questi presupposti la scarsità di prestazioni era prevedibile: basti pensare che la velocità massima era di soli 85 km/h, pochi anche per il palato non certo raffinatissimo dell’automobilista italiano anni ’50. Fu così che in Fiat si corse ai ripari e che già a pochi mesi dal lancio iniziale giunse sul mercato una versione leggermente potenziata, con un output di 15 CV: sempre pochi, certo, ma si trattava pur sempre di un incremento percentuale del 15%. Lo sdoganamento della “Nuova 500” come automobile completa in tutto e per tutto, comunque, avvenne solo nel 1960 con l’avvento della versione “D”, per la quale- oltre ad una lunga serie di miglioramenti progettuali (nuovo serbatoio, sedile abbattibile, etc.) – particolarmente importante risultò essere ancora una volta l’evoluzione del “110”, che grazie ad una cubatura maggiorata a 499,5 cm³ e ad un rapporto di compressione salito a 7,1:1 raggiungeva i 17,5 CV di potenza massima. Il 1960 fu, tra l’altro, l’anno in cui le vendite della 500 segnarono un +150% abbondante rispetto all’anno precedente, passando la soglia delle 60.000 unità e consegnandola definitivamente alla storia.

L’EVOLUZIONE: Di lì in avanti, per tutti i ’60, il “110” non si risparmiò di certo ed ebbe anzi la sua età dell’oro, in particolar modo con le sue derivazioni sportive firmate Giannini e Abarth che in questi anni raggiunsero il loro apice. La stirpe delle 500 Abarth, senz’altro più nota al grande pubblico anche per il recente ripescaggio del marchio da parte di Fiat, ebbe il suo primo successo con la 595 del ’63, il cui motore derivato dal “499” ricevette, oltre al cospicuo incremento di cilindrata già evidente dal nome (alesaggio 73,5 mm, corsa 70 mm), nuovi pistoni, un nuovo albero a camme, un carburatore Solex C28 PBF decisamente più generoso e soprattutto il famoso scarico a doppio terminale, che consentiva di riconoscerla da lontano.

Fiat 126
La Fiat 126 montava il bicilindrico “594” della Fiat 500R erogante 23 CV

Visibile a tutti era anche la specifica coppa dell’olio alettata, che consentiva di incrementare il flusso termico verso l’ambiente esterno riducendo così la temperatura dell’olio. Con questi accorgimenti il “110” arrivava ad erogare la bellezza di 27 CV, ancora pochi rispetto ai 32 della versione “SS”, forte di un carburatore ulteriormente maggiorato e di un collettore specifico. Seguì a breve la forse ancor più nota 695, che grazie alla cilindrata ulteriormente aumentata (la camera di combustione divenne quadra a 76×76 mm) arrivava ad erogare 30 CV, che arriveranno a quota 38 con la versione SS. Qualche centinaio di km più a sud, in quel di Roma, anche i fratelli Giannini non si risparmiarono, riuscendo a spremere dal “110” risultati altrettanto notevoli: in principio fu la coppia TV (da 498 cc e 25 CV) e GT (586 cc e 30 CV), accomunate dall’albero a gomiti rinforzato tramite trattamento al cromo e dal carburatore Weber 26 IMB 4, ma con la GT caratterizzata dalla lavorazione a mano dei condotti della testa e da un rapporto di compressione più elevato (8,2:1 contro 8:1).

Bicilindrico Fiat in versione “piatta” montato sulla fiat 126 Bis con raffreddamento ad acqua

Negli anni successivi arrivarono la TVS e le 590 GT e GTS, fino ad arrivare alla 650 NP Modena del 1971, che dichiarava una potenza di 38 CV a 6.000 giri/min. Va tra l’altro sottolineato che sia nel caso di Abarth che della rivale Giannini, i valori di potenza e coppia riportati erano in effetti solo dei punti di partenza: in mano ai migliori preparatori dell’epoca l’output finale poteva essere anche significativamente più alto, con potenze specifiche nell’ordine dei 100 CV/litro e velocità massime di oltre 180 km/h: probabilmente nemmeno lo stesso Giacosa, se glielo avessero detto una decina di anni prima, ai tempi dell’impostazione del progetto, ci avrebbe creduto.

OLTRE QUOTA SEICENTO: Al di fuori delle officine di elaborazione, nel frattempo, la superutilitaria Fiat continuò a svolgere il ruolo di “spina dorsale” della mobilità italiana fino agli anni ’70, quando alfine a Torino si resero conto di come il progetto 500 fosse ormai destinato alla pensione. Ciò però non valse per il suo cuore bicilindrico, che già sugli ultimi cinquini (la cosiddetta 500R) aveva raggiunto i 594 cm3 di cubatura, la stessa variante che sarebbe poi arrivata, con sigla 126A000, nel 1972 sulla 126. Rispetto alla storica genitrice, la nuova utilitaria si presentò al mercato con uno stile più adatto ai tempi ma soprattutto con significativi miglioramenti in alcuni aspetti chiave: il cambio, sempre a quattro marce, era ora finalmente dotato di sincronizzatori sulle tre marce superiori, il circuito dei freni era ora del tipo sdoppiato, il piantone dello sterzo era segmentato e soprattutto il serbatoio era finalmente stato spostato al posteriore a vantaggio della sicurezza. In questo insieme di novità, in effetti, il buon vecchio bicilindrico ormai quasi ventenne finiva per sembrare l’elemento più conservatore, peraltro a torto dato che in termini di potenza questa nuova e rivisitata unità, grazie al rapporto di compressione di 7,5:1 ed alla nuova fasatura, riusciva ad erogare ben 23 CV contro i 18 di picco raggiunti dalla 500 (sportive escluse, si capisce).

Fiat Twinair 0,9 litri
Bicilindrico Fiat Twinair 0,9 litri con distribuzione a catena e contralbero di equilibratura nel basamento

L’avanzare dei tempi rese comunque necessario in tempi rapidi un ulteriore incremento prestazionale, che venne conseguito con la versione “650” da 652 cc, con potenza quasi identica (24 CV) ma una migliore distribuzione di coppia. Il suo maggiore successo e significato la 126 lo conseguì comunque non tanto sul mercato italiano, per il quale rimase sempre la “sorella brutta” della 500, quanto sull’emergente mercato polacco, sul quale la squadrata vetturetta rivestì lo stesso ruolo avuto dalla 500 a casa nostra sia sul piano della mobilità che su quello strettamente industriale: basti ricordare che la FSM di Bielsko Biala ne sfornò 3.300.000 esemplari, che vennero in parte importanti anche sul mercato italiano da quando, nel 1979, la produzione nazionale di questo modello venne arrestata. In Polonia doveva invece continuare a lungo, addirittura fino al 2000, un arco di tempo lungo il quale il bicilindrico ad aria fece in tempo a dotarsi addirittura di iniezione elettronica e di catalizzatore. Per il mercato italiano, però, l’ultimo bagliore fu la “Bis” del 1987, che nella quasi indifferenza generale portò a battesimo la più grande innovazione tecnica nella storia di questo propulsore.

Fiat Twinair
Fiat Twinair

IL “SOGLIOLA”: Parliamo naturalmente della variante “126A2000”, con cilindrata portata a 704 cm³ e nota ai più come “Sogliola” per la sua configurazione a cilindri in linea orizzontali, con il basamento ruotato di 90° verso destra. Una soluzione peraltro di per sé non inedita: già nel 1960, infatti, la 500 Giardiniera aveva sfruttato la stessa strategia, e già allora i vantaggi in termini di volumetria dell’abitacolo si erano rivelati notevoli, con la possibilità di ottenere un piano di carico perfettamente piatto ribaltando lo schienale posteriore. La “Bis”, la cui carrozzeria prevedeva – per la prima volta nella storia delle superutilitarie Fiat – un ampio portellone posteriore, perseguiva gli stessi obiettivi e grazie all’occultamento dell’intero propulsore al di sotto del piano del bagagliaio riusciva a garantire una capacità di carico posteriore di 110 litri, che potevano diventare 500 a schienale posteriore abbattuto e che si sommavano comunque ai 70 litri del piccolo bagagliaio frontale. La grande innovazione di questo nuovo motore rispetto a tutti i bicilindrici precedenti, incluso quello equipaggiante la Giardiniera, era però la conversione al raffreddamento ad acqua, che consentiva di ottenere una maggiore silenziosità ed una migliore funzionalità dell’impianto di riscaldamento, mentre l’incremento di potenza, ora a quota 26 CV, fu solo marginale e perlopiù dovuto all’incremento di cilindrata.

Fiat Twinair

Questa prima conversione non fu purtroppo esente da problemi, soprattutto per via dell’infelice posizionamento del radiatore, infilato in un volume angusto e scarsamente ventilato a lato del propulsore. Questo, insieme al disegno non proprio ottimale delle camicie di raffreddamento, diede alla “Bis” una poco edificante fama di divoratrice di guarnizioni testa, problema che i meccanici più scafati risolvevano adottando guarnizioni più spesse o addirittura modificando il basamento. Non fu dunque probabilmente un caso se persino i polacchi, che la 126 la adoravano e la adorano tuttora come noi amiamo la 500, decisero da un certo anno in avanti di abbandonare la “Bis” per tornare a produrre – come già accennato fino al 2000 – il modello originale con cilindri verticali raffreddamento ad aria. Il “sogliola” ebbe comunque una piccola rivincita dal 1992 in avanti, quando fu adottato per motorizzare la versione base 700ED della nuova Cinquecento a trazione anteriore: un po’ per via del posizionamento più felice del radiatore, un po’ grazie alle modifiche apportate dagli ingegneri di Torino, questo ultimo bicilindrico ad acqua riuscì infine a rivelarsi relativamente affidabile e pure ecologico, data l’omologazione Euro 1 consentita dall’alimentazione con carburatore a gestione elettronica. Con i suoi 30 CV, inoltre, rimane il più potente dei bicilindrici Fiat prodotti in grande serie, sebbene ovviamente su un piano assoluto i suoi livelli di potenza, prestazioni e vibrazioni fossero ormai ampiamente superati dalla storia.

Fiat Twinair
Fiat Twinair

AI GIORNI NOSTRI: Tuttavia, come si suole dire, il processo storico è ciclico e destinato a ripetersi, ed il Twinair è un bell’esempio di come questa massima possa valere, a suo modo, anche in campo automobilistico. Certo, le condizioni al contorno che hanno portato alla nascita del bicilindrico contemporaneo sono ben diverse da quelle che guidarono Valletta e Giacosa sessanta anni fa: all’epoca c’era un’idea coraggiosa e per certi versi idealistica da sviluppare, quella di rendere accessibile a tutti un’automobile, mentre oggi le sfide si chiamano CO2, consumi, economie di scala, mercati internazionali. Sul piano tecnico, di conseguenza, allora la priorità era produrre un motore “minimo” che costasse il meno possibile, che fosse robusto e che chiunque potesse riparare, mentre il Twinair è al contrario un concentrato delle soluzioni tecniche più raffinate disponibili attualmente, dalla sovralimentazione con turbocompressore all’alzata valvole variabile a controllo idraulico Multiair, passando per la presenza di un contralbero di equilibratura e per l’attento studio NVH svolto su motore e supporti al fine di garantire agli automobilisti odierni – dai palati molto più schizzinosi di quelli dei loro nonni – un livello di comfort all’altezza delle loro aspettative.

Fiat 500

Questo anche perché, ricordiamolo, mentre il bicilindrico del passato rimase sempre “confinato” al segmento A, quello moderno può, grazie al turbocompressore ed alla coppia che ne deriva, puntare ben più in alto: non solo Panda e 500, ma anche Punto e 500L, e persino un’Alfa Romeo, per quanto “mignon” come la MiTo, rientrano nella sua sfera d’influenza. Sulla bontà del risultato, peraltro, i numeri parlano chiarissimo: una 500L 0.9 Twinair da 105 CV riesce a dichiarare solo 4,8 l/100 km nel ciclo NEDC e ad ottenere concretamente su strada risultati nell’ordine degli 8-9 l/100 km, consumi questi non troppo dissimili da quelli della storica antenata, pesante la metà e quasi dieci volte meno potente. Del vecchio “110”, in definitiva, rimane più che altro la memoria storica, che però, si sa, quando si parla di automobili ha sempre il suo peso.