
L’Italia. Ah l’Italia…! Viviamo in un Paese dove l’attenzione dei media è fortemente sbilanciato su ciò che genera polemiche e discussioni, spesso ad hoc per deviare l’opinione pubblica da problemi ben più importanti. Meno male che c’è anche chi lavora, e che a quel famigerato PIL che continuano a far salire e scendere a seconda di come si svegliano la mattina dà un contributo reale a tenerlo ancora col segno positivo. Per questo ci sono le piccole aziende, in particolare quelle di elevato contenuto tecnologico, le quali, senza clamori e con non pochi sacrifici, non solo producono e fatturano, generando ricchezza, ma esportano il proprio know-how in Paesi come la Germania che sembrerebbero ampiamente autosufficienti nel settore dell’hi-tech. Incontrare chi ha avuto la capacità di creare e far sopravvivere fino ad oggi realtà ‘made in Italy’ di questo genere fa bene al morale e ci fa passare in modalità ottimista, specie se capita qualche ora dopo aver ascoltato l’ultimo telegiornale…
L’esperienza è fondamentale
Progettare stampi, per qualunque utilizzo, è un’arte che ovviamente si fonda su concetti meccanici ben precisi e regole matematiche incontrovertibili, ma che lascia al disegnatore ampia facoltà di scelta, quando abbia nel suo bagaglio professionale gli strumenti necessari per risolvere i tanti problemi che si possono presentare sul tavolo. Negli uffici di Fasi Engineering ci si occupa esclusivamente di stampi per realizzare componenti in lamiera, di ogni dimensione, una specializzazione che si è consolidata ed evoluta nel tempo e ha consentito allo staff tecnico di maturare un’invidiabile esperienza. E’ Roberto Di Lonardo, fondatore, titolare e amministratore delegato di Fasi Engineering srl che ci ha guidato nel mondo degli stampi e lo ha fatto iniziando a tracciare una breve storia della sua azienda: “Fasi Engineering nasce nel 2003 dopo una mia esperienza in due grosse aziende che si occupavano di progettazione e realizzazione di stampi. Professionalmente ho iniziato una trentina di anni fa presso la UPM, un’azienda all’epoca leader a Torino nel settore stampi, nel 1998 sono passato alla SAT, dove ho consolidato l’esperienza da progettista e maturato quella di tecnico costruzione stampi, partecipando anche alle fasi realizzative in officina. Un passo importante che ha completato la mia preparazione professionale. Nel 2002 la crisi generale e in particolare dell’azienda dove lavoravo mi convinse a provare un’esperienza imprenditoriale e, nel 2003, mi portò alla fondazione della Fasi Engineering. Inizialmente la sede era… nella mia mansarda ma dopo qualche mese io e i miei primi tre collaboratori avevamo già uno studio a Santena, alle porte di Torino. Oggi siamo in trenta, tutti in un’unica sede, e ci occupiamo di progettazione e processo di stampaggio, intesi come definizione dell’industrializzazione del prodotto in funzione dei volumi produttivi. Utilizziamo i più moderni strumenti disponibili, inclusi i simulatori di deformazione lamiera, ovvero software che danno una previsione del processo di deformazione evidenziando eventuali punti critici sui quali andare a effettuare delle correzioni”. E’ interessante osservare come spesso sia più difficile definire il processo produttivo di particolari geometricamente semplici ma da realizzare in grande serie piuttosto che oggetti molto complessi ma da produrre in numeri limitati. Un equilibrio che spesso è una sfida per Fasi Engineering. “A fondo linea i pezzi devono essere tutti uguali, a meno ovviamente delle tolleranze, che comunque le specifiche cliente tendono a rendere sempre più strette“, continua Di Lonardo. “In un processo più manualizzato questo è più semplice che in uno fortemente automatizzato e con elevata cadenza”.
La specialità di FASI Engineering: pezzi medio grandi
I particolari in lamiera o in alluminio che costituiscono una vettura sono tantissimi e questo determina un’ulteriore suddivisione della specializzazione. Pensate ad esempio a quante staffe, rinforzi e fazzoletti vediamo applicati nel sottocofano e nel sottoscocca. Fasi, pur avendone la capacità, preferisce non occuparsi di questi elementi, salvo che non siano direttamente connessi ad altri di sua competenza, per dedicarsi ai particolari di dimensioni medio-grandi oppure grandissimi come le pannellature esterne o le porte, che essendo ormai frequentemente stampate in abbinamento, richiedono stampi di 4 o 5 metri: “Questo anche nell’ottica dell’ottimizzazione delle linee che si tende a dotare di presse di grandi dimensioni per creare più pezzi con un solo colpo”. La pressa, e questo e un altro dettaglio interessante, viene definita dal cliente, in base al particolare da realizzare, alla disponibilità, ai costi di ammortamento o all’investimento che si intende fare. Questo per poter definire a priori un costo industriale del pezzo. “In generale il nostro ambito operativo è lo chassis, ovvero la cellula di resistenza del veicolo, le porte e le pannellature esterne, ma talvolta abbiamo anche realizzato particolari diversi, come ad esempio le strutture interne in lamiera dei sedili”.
Il processo progettativo: si parte da un modello CAD
Dal punto di vista operativo la Fasi Engineering riceve il modello CAD 3D del particolare, le specifiche del cliente e la pressa da utilizzare. “Devo dire che è molto raro che in fase di sviluppo si scopra poi che la pressa non è adeguata. Le aziende hanno grande esperienza e conoscono molto bene le loro linee di stampaggio e centrano dimensioni e tonnellaggio. I grandi stampi sono realizzati in scocche fuse con la tecnologia ‘a perdere’, utilizzando un modello di polistirolo di una determinata densità fresata CNC. Una tecnologia particolare, che richiede anch’essa esperienza e know-how. Per avere la migliore qualità la Fasi, nel 2007, ha fondato la TMP, un’azienda che si occupa di costruzione modelli per fonderia. Il polistirolo fresato viene poi consegnato alla fonderia che lo sabbia, ovvero va a riempire tutti i vuoti con della terra refrattaria, operazione che in gergo si dice ‘staffatura’, e lo prepara alla fusione predisponendo i canali di colata e gli scarichi per l’aria. Successivamente viene colata la ghisa o l’acciaio, a seconda del particolare da stampare, che fonde prende il posto del polistirolo”.
Oggi, con l’avvento delle vetture ibride, la presenza delle batterie obbliga a risparmiare il più possibile sul peso della struttura. Per questo si sta sempre più generalizzando l’impiego di lamiere di acciaio alto resistenziale, che a parità di resistenza consente l’utilizzo di spessori inferiori rispetto a quelle in acciaio ‘dolce’, peraltro più facilmente deformabile e di conseguenza più facile da stampare. Le maggiori sollecitazioni sugli stampi imposte da queste lamiere richiede strutture più rigide e con superfici più resistenti, che devono quindi essere realizzate in fusione d’acciaio anziché di ghisa.
Dal modello 3D allo stampo
Come accennato, tutto inizia dal modello 3D del componente che l’azienda intende ottenere per stampaggio sulla quale viene fatta una prima analisi di fattibilità: “Questa fase è fondamentale perché consente di evidenziare eventuali punti critici che potrebbero mettere in crisi il processo, di analizzarli e di trovare la migliore soluzione. Devo dire che in questa fase, nonostante ci siano strumenti software di simulazione piuttosto avanzati, è l’esperienza che dà immediata indicazione delle criticità. Queste vengono poi evidenziate al cliente dandone la giusta motivazione, in modo che possa intervenire per le dovute correzioni. Il passo seguente è lo studio di imbutitura, noto anche come CAD di imbutitura, che consiste nel completare il componente con dei volumi per poterlo rendere stampabile. Si tratta di un completamento esterno all’elemento che possa contenerlo e consentire uno stampaggio esente da rotture, ondulazioni e grinze. Fatto questo si passa alla simulazione con software AutoForm, lo stesso utilizzato da tutte le Case automobilistiche, che consente, attraverso un’animazione, di visualizzare sul monitor la deformazione progressiva della lamiera”. Le simulazioni sono indubbiamente di grande aiuto, ma ancora una volta entra in gioco l’esperienza nella valutazione dei risultati: “Si analizzano i parametri fondamentali come ad esempio la formabilità che viene discriminata in una scala a colori che parte dal verde, che indica che il pezzo è a posto, passa al giallo per indicare rischio rottura, al rosso per evidenziare una rottura, al grigio se l’elemento non è stato tensionato e quindi non ha subito deformazioni plastiche, e infine al blu/viola quando il pezzo tende ad avere delle ondulazioni. Fatto questo, la revisione del disegno deve tendere a portare il verde in tutte le zone, in particolare quelle di accoppiamento, con magari una successiva operazione di saldatura automatica. Ma il vero problema dello stampaggio è riuscire a controllare l’effetto ‘spring-back’. Un fenomeno che può comparire in particolare quando si va a rifilare l’elemento per eliminare il cosiddetto sfrido. La tranciatura può infatti liberare delle tensioni difficilmente controllabili che provocano delle deformazioni inaspettate. Lo ‘spring-back’ è un fenomeno difficilmente prevedibile con le simulazioni”.
E qui si torna al fattore esperienza, che per ora nessun software è in grado di rimpiazzare. La cosiddetta ‘fase di messa a punto dello stampo’ è quella più lunga e per certi versi noiosa, sia perché si deve agire per approssimazioni successive, facendo tante prove e verificando ogni volta il risultato, sia perché dal punto di vista economico va a influire sui profitti dell’azienda e può in qualche caso ritardare la consegna, sui cui termini i contratti sono assai rigorosi e impongono penali in grado in breve tempo di portare in perdita mesi di lavoro. Occorre poi mettere in conto che il materiale ha delle caratteristiche chimico-fisiche che stanno dentro un certo range di tolleranza, normalmente garantito dal fornitore ma che sta in una forbice piuttosto ampia e in grado di andare a modificare il risultato della deformazione: “La lamiera viene caratterizzata in funzione della Rm, ovvero la resistenza meccanica, tipica di ogni materiale. Se prendiamo ad esempio un acciaio S500MC, la sua Rm varia da 550 a 700 N/mm2 ed è facile capire che due coil con Rm posta ai due limiti possa comportarsi in modo diverso allo stampaggio. Un altro fattore fondamentale è la qualità superficiale del punto di contatto della lamiera. Il simulatore ovviamente considera che la superficie dello stampo sia perfetta, appena lavorata. In effetti col tempo le cose cambiano e per questo il software AutoForm mette a disposizione il ‘pacchetto’ Sigma che in pratica esegue un calcolo statistico. Si impostano le variabili che ho citato e il calcolo evidenzia quale tra queste è predominante in quel determinato processo e sulla quale occorre quindi porre maggiore attenzione”.
Il metodo
Lo studio del processo di stampaggio, che si chiama metodo, viene fatto anch’esso con un software di simulazione. Esso è diviso in operazioni, che sono in pratica gli stampi. Il primo passo è la preparazione dello spezzone da stampare: se è rettangolare si definisce un taglia-spezzone, se invece ha una forma sagomata si tratta di una trancia-sviluppo che, come si dice in gergo, deve essere ‘infasata’. Questo significa compenetrare le varie parti da stampare in modo da rendere minimo lo spreco di materiale, ovvero lo sfrido. “I francesi sono molto bravi in questa ottimizzazione, al punto che per tradizione stampano particolari anche notevolmente diversi dallo stesso spezzone, recuperando lamiera e colpi pressa. Se parliamo di qualità, però, i migliori sono i tedeschi: attenti al dettaglio, non lasciano nulla al caso. Non per nulla se si analizzano i lamierati delle vetture ‘made in Germany’ si vede come giochi e profili e in generale tutte le parti accoppiate abbiano una qualità superiore”. Un esempio tipico è la scolpitura delle superfici laterali delle Volkswagen Polo, dove quella che è definita ‘tornado line’ rappresenta una sorta di marchio di qualità dello stampaggio. “Per realizzare quella forma, sullo stampo il cambio di inclinazione è fatto a spigolo vivo e c’è uno specialista che controlla il processo nei reparti stampaggio dei vari stabilimenti, interni al gruppo o esterni, per verificare che questi spigoli siano sempre in tolleranza e la qualità delle superfici dello stampo sia sempre al massimo”. I pezzi più complessi in assoluto da stampare sono il parafango e la fiancata che per raggiungere elevati livelli di qualità richiedono innanzitutto presse efficienti e ben manutenute. Presse usurate e con milioni di colpi sulle spalle non potranno mai dare i risultati aspettati, a prescindere dalla perfezione dello stampo. “E a proposito di esperienza e know-how, in Italia c’è un’azienda specializzata nella costruzione di stampi per parafanghi. E li fa per tutta Europa”.
I due mondi dello stampaggio
Le Case commissionano le attrezzature ai propri fornitori e poi le utilizzano sui propri impianti, oppure si rivolgono ad aziende specializzate che producono componentistica. Fasi lavora per entrambe le realtà, sia direttamente, o indirettamente tramite i suoi clienti per le Case, oppure per il produttore di componentistica che produce sia i singoli particolari alle Case sia dei sottogruppi pronti per la successiva lavorazione, tipo le porte assemblate pronte per la verniciatura. In effetti la terziarizzazione che andava di moda un po’ di tempo fa si è un po’ ridimensionata, sia perché questo significava una perdita di know-how sia per la qualità. Definito il processo di stampaggio, per ogni singola operazione viene realizzato il progetto. Le norme del cliente sono un elemento fondamentale che deve essere ben chiaro prima di iniziare la progettazione, in quanto in quelle norme sono definiti tutti i componenti standard da utilizzare negli stampi, ad esempio per ottimizzare la ricambistica, e poi gli aspetti prettamente tecnici come dimensioni generali, finiture, rugosità e altri parametri di accettazione. Il progetto si divide in tre parti principali: studi, copia per modellatore, copia per definitivi. Lo studio è la prima bozza da sottoporre al cliente per un esame generale. La copia per modellatore è il disegno preliminare che viene consegnato alla modelleria per realizzare i modelli di polistirolo. Successivamente il progetto genera un modello 3D, ovvero un data base dal quale attingere tutte le informazioni necessarie. “Il tradizionale disegno bidimensionale quotato non esiste più, se non nell’industria meccanica. La finitura superficiale, ad esempio, è identificata da diversi colori. Anche i fori per una spina di centraggio ha un colore diverso da quello che identifica fori maschiati e così via”.
Una cinematica complessa
Senza addentrarci troppo nella meccanica degli stampi, materia estremamente vasta e variegata, tramite alcuni esempi riusciamo comunque a capire come la forma finale del pezzo influenzi tutti i movimenti delle varie parti dello stampo. Geometrie complesse, talvolta con delle parti in sottosquadro, richiedono tasselli mobili sincronizzati con la battuta della pressa che consentano di effettuare delle piegature, delle flangiature o delle forature, di centraggio, in sequenza. Questi movimenti sono derivati da quello principale della parte mobile della pressa, che è verticale, e tramite delle camme assumono l’asse di scorrimento voluto. Lo studio del processo include anche il caricamento della lamiera sullo stampo, normalmente tramite pinze automatiche o in alcuni casi con delle ventose, il riferimento tramite punti fissi e infine il serraggio con i cosiddetti premi lamiera che impediscono al foglio di muoversi durante la deformazione. Il processo viene eseguito a freddo, poiché la lamiera stessa a caratteristiche tali da scorrere facilmente sulla superficie dello stampo. Quando il pezzo è imbutito, ovvero ha subito la maggior parte della deformazione, e superato le successive fasi di ripresa, assestamento, conformatura e foratura, si passa alla tranciatura e alla rifilatura: anche in questo caso c’è un premi lamiera che fa si che nell’operazione di taglio il pezzo non si muova. La rifilatura non è un’operazione banale: “La forza con la quale il premi lamiera va a premere sul pezzo deriva da un calcolo funzione del tipo di lamiera e della sua Rm. La lamiera non deve avere una reazione opposta tale da sollevare il premi lamiera, poiché questo rovinerebbe il filo di trancia, pregiudicando la qualità, poiché non ci possono essere bave e il taglio deve essere quasi ortogonale, con le dovute tolleranze”.

Investire sul personale
Uno studio tecnico con un tale bagaglio di esperienza deve puntare sulla continuità del personale, vero patrimonio aziendale. “Premesso che dopo tanti anni di lavoro e centinaia di stampi progettati è pressoché impossibile si debba partire da un foglio bianco”, prosegue Di Lonardo. “Quando arriva il modello 3D del pezzo che si vuole realizzare normalmente troviamo subito un’analogia con un altro pezzo e quindi sappiamo da quale tipologia di stampo partire. Dunque, come già ribadito più volte, l’esperienza è fondamentale e qui vorrei aprire una parentesi sul complesso discorso del personale. Occorre innanzitutto considerare che un progettista finito, inteso come un tecnico che visto il pezzo da realizzare è in grado, in quattro cinque settimane di lavoro, di dare una prima soluzione, richiede un periodo di formazione che può variare dai dieci ai quindici anni. Nel panorama attuale, con sempre meno aziende attive in questo settore, il turnover del personale è drasticamente diminuito e questo rende più complicato sostituire un’uscita. Mentre una volta c’erano grandi aziende che formavano il personale che poi trovava sistemazioni di maggior soddisfazione professionale e magari più remunerative in realtà più piccole, oggi sono proprio queste che si devono prendere in carico la formazione. Già facciamo fatica a reclutare diplomati che vogliano dedicarsi a questo lavoro, poi la formazione è lunga e impegnativa. Dunque dobbiamo essere ben sicuri di investire sulla persona giusta. Un giovane appena diplomato che voglia affacciarsi a questo tipo di lavoro inizia con uno stage di sei mesi, il minimo periodo necessario per capire la sua predisposizione. Alla conferma partono altri trenta mesi di apprendistato al termine dei quali scatta l’assunzione a tempo indeterminato. Da lì inizia il suo vero percorso professionale che si può riassumere in tre anni come junior, altri tre per diventare disegnatore, ulteriori tre anni per passare progettista junior e infine altri tre anni per passare progettista senior, arrivando a circa dodici anni. Tempi decisamente lunghi che richiedono forte determinazione da una parte e motivazione dall’altra, proprio per fidelizzare il dipendente facendolo sentire parte attiva dell’azienda.
E la preparazione scolastica non aiuta certo: conoscenze tecniche specifiche a parte, non c’è una vera educazione all’ingresso nel mondo del lavoro, nel senso che i giovani non conoscono esattamente la differenza tra scuola e lavoro, due ambienti che invece sono profondamente diversi. La meritocrazia, ad esempio, è un concetto che la scuola non incentiva e con cui i ragazzi devono invece imparare a convivere in realtà come la nostra, dove l’efficienza e la dedizione sono fondamentali per raggiungere risultati e tenere in piedi l’azienda. Perdere un collaboratore dopo sei anni in cui si è investito sulla sua formazione, peraltro giunta solo a metà, è un danno enorme. Devo dire che per contro i giovani imparano in fretta a utilizzare gli strumenti in dotazione e che quelli che superano il primo periodo e si appassionano vedono progressivamente riconosciute la loro capacità e dedizione…”.
Per informazioni: Fasi Engineering
www.fasi-engineering.com
info@fasi-engineering.com
Telefono (+39) 011 95 88 523