Formula 1 a Imola: intervista a Mark Slade, ingegnere di pista di Kevin Magnussen

Mark Slade ha un’incredibile esperienza in Formula 1, vanta infatti una carriera di oltre 30 anni nella massima serie del Motorsport, durante la quale ha assunto diversi ruoli come ingegnere. È entrato in McLaren nel 1991 e per oltre 18 anni è stato in pista al fianco di piloti illustri come Mika Hakkinen, David Coulthard e Kimi Raikkonen. Nel 2010 è passato alla Renault e poi l’anno successivo alla Mercedes, lavorando sulla macchina di un certo Michael Schumacher. Nel 2012 si è ricollegato al team inglese Enstone, il quale ha avuto una parentesi con i colori Lotus – quanto entrò Raikkonen – per poi entrare nuovamente sotto la famiglia Renault-Alpine. Nel 2020 un ritiro che sembrava definitivo, fino a quando, due anni dopo, Slade è stato richiamato dal MoneyGram Haas F1 Team per affiancare Kevin Magnussen. Nel corso della nostra intervista, avuta luogo a Imola il giovedì prima del Gran Premio, abbiamo affrontato con Mark diversi argomenti, a partire dall’evoluzione del ruolo dell’ingegnere di pista nel corso degli anni, fino ad arrivare a alle difficoltà nell’imposta il setup ideale per il tracciato emiliano.

Mark, rispetto ai tuoi primi anni di carriera, come sono cambiate le sfide tecniche in Formula 1?

L’obiettivo tecnico principale è rimasto lo stesso, si tratta di migliorare l’efficienza della monoposto, sfruttando al massimo il pacchetto tecnico in tutte le aree, come l’aerodinamica, il drivetrain, gli pneumatici. La differenza principale rispetto a quando ho iniziato la mia carriera è che ora siamo molto più coinvolti nei piccoli dettagli, dove ci si gioca tutto. Ogni area di sviluppo viene analizzata e gestita da gruppi di lavoro che si occupano esclusivamente di quella specifica area, in modo molto confinato e ristretto. In passato avevamo sistemi anche più complessi rispetto ad oggi, per esempio il controllo elettronico dell’altezza delle sospensioni (poi bannato dalla FIA, ndr), ma si approfondivano meno i dettagli e si guardava di più alla performance della vettura nel suo insieme. Quando sono entrato in McLaren nel 1991 eravamo circa 25-30 ingegneri coinvolti nel team. Oggi i top team possono arrivare ad avere anche a più di 200 ingegneri. Ognuno si interessa di un’area di lavoro molto più ristretta rispetto al passato. Da questa prospettiva, la Formula 1 è completamente diversa rispetto a quando ho iniziato la mia carriera.

Quali sono le responsabilità di un ingegnere di pista e come è cambiato il ruolo nella moderna F1?

Le aree in cui si è coinvolti come ingegneri di pista sono ridotte rispetto al passato. Abbiamo infatti a disposizione molte più risorse, altamente specializzate, che possono assistere il team dedicando più tempo alle micro-aree di sviluppo. Il race engineer ha il compito di collettare tutte le informazioni e metterle insieme, ascoltando e interpretando anche le indicazioni del proprio pilota, che può esprimerti commenti, sensazioni o anche desideri di come vorrebbe che si comportasse la propria monoposto. Il dialogo con il pilota ha la stessa importanza che aveva negli anni ‘90, ma ora abbiamo molti più dati su cui lavorare per cercare di capire il perché di determinate sensazioni che ha avvertito alla guida. Abbiamo anche gli strumenti per indicargli come i suoi comportamenti alla guida abbiano influenzato la prestazione in un particolare punto del tracciato. Il pilota dialoga ovviemente anche con le altre figure tecniche del team, ma è con noi con cui condivide la maggior parte delle informazioni. Siamo in pratica le figure al vertice di un triangolo, dove facciamo convergere tutte le informazioni tecniche, per riassumerle e per tradurle in informazioni utili per il pilota e viceversa.

È diventato, in un certo senso, un ruolo più manageriale?

Diciamo che in passato era per il 50% un lavoro da manager e per il 50% un ruolo da tecnico, che entrava nel dettaglio del setup della vettura. Oggi, essendoci molte più persone coinvolte, passo più tempo a parlare con gli altri ingegneri, specializzati nelle singole aree di sviluppo, che a ricercare da solo le soluzioni tecniche ai problemi.

Photo by Mark Sutton / LAT Images

Quanto influisce lo sviluppo aerodinamico rispetto alle altre aree, come quella meccanica e telaistica? Si può dare una percentuale rispetto a tutto il resto, come il motore, l’assetto, il pilota?

È una domanda molto difficile da rispondere, oggi l’aerodinamica è sicuramente l’aspetto più importante su cui dobbiamo lavorare. Per fare un’estrema sintesi, tutto il lavoro di sviluppo sulla monoposto è finalizzato ad avere quanto più possibile carico verticale sull’area di contatto degli pneumatici con l’asfalto. Oltre a ciò, chiaramente sono importanti anche le prestazioni del motore e dei freni, ma l’aerodinamica ha influenza su tutto. Se ho più carico aerodinamico, riuscirò ad accelerare prima e a frenare dopo. Anche lo stile guida è influenzato dall’aerodinamica. Se il pilota ha una guida aggressiva e intraversa la macchina in una curva veloce, la vettura perderà downforce e di conseguenza andrà più piano. Quindi il driver, che ha il compito di sfruttare al massimo le prestazioni che la vettura teoricamente è in grado di offrire, deve prima fare i conti con ciò che è dettato dal bilanciamento aerodinamico della vettura. Persino il consumo di carburante è influenzato dall’aerodinamica perché, se sono in grado di garantire lo stesso downforce con minor drag, significa che la vettura consumerà di meno in gara e potrà imbarcare meno carburante, risultando così più leggera e più veloce già nei primi giri. Anche il settaggio delle sospensioni è fatto in funzione dall’aerodinamica ed occorre trovare un compromesso per l’altezza e la rigidezza. Le sospensioni sono perciò molto più rigide di quanto sarebbero se non ci fosse il carico aerodinamico. Ma con più downforce è possibile affrontare le sconnessioni e i cordoli in modo più efficiente senza la necessità di ammorbidire le sospensioni. In conclusione, la performance aerodinamica è incredibilmente cruciale, domina in modo massivo qualsiasi altra area della monoposto.

Sembra invece che le potenze dei motori incidano molto meno sulla performance rispetto a qualche anno fa, è vero?

Sì, in questo momento le potenze dei motori sono tutte molto simili. Quello che cambia tra i vari propulsori sono prevalentemente i consumi di carburante, lo smaltimento del calore e il modo più o meno dolce con cui il motore risponde agli input dell’acceleratore, caratteristica chiamata engine drivability e molto importante soprattutto per i piloti.

Come si definisce l’assetto iniziale quando si arriva al circuito il giovedì?

Analizziamo diversi dati, partiamo per esempio dall’assetto dell’ultima volta in cui abbiamo corso su quel circuito e poi mettiamo in pratica quello che abbiamo imparato nelle gare precedenti, considerando anche come la monoposto è cambiata rispetto all’anno precedente. Inoltre, c’è il lavoro al simulatore che viene fatto in fabbrica nei giorni precedenti alla gara da un team dedicato. Al computer vengono provati diversi setup e noi possiamo avere molte indicazioni da questi risultati. Alla fine scegliamo quello che secondo noi è il miglior punto di partenza per iniziare il weekend di gara, tenendo sempre in considerazione quale sarà il grip atteso, le condizioni atmosferiche e il livello di carburante che verrà impiegato nella prima sessione di prove libere. Anche il pilota è ovviamente coinvolto in questo processo di valutazione.

Photo by Mark Sutton / LAT Images

Quali sono le caratteristiche peculiari del tracciato di Imola?

Imola non è di certo un circuito semplice, né per gli ingegneri né per i piloti. Ma al contrario di quanto si possa pensare, le pendenze del circuito di Imola non sono poi così influenti sull’assetto. Ciò che la caratterizza di più è l’elevata velocità media di limite del grip. Si tratta di un parametro che determina la velocità media alla quale si ha la perdita di aderenza, ovvero quando il pilota è costretto a parzializzare il gas in curva. Su questo circuito è di circa 190 km/h, uno dei valori più alti di tutto il calendario. Un altro fattore importante da tenere in considerazione è l’irregolarità dell’asfalto, che è molto sconnesso. Bisogna quindi scegliere un’altezza da terra che tenga in considerazione questi bump. Ci sono inoltre molti cordoli, tutti molto alti e che possono minacciare la stabilità della monoposto.

Quali sono le curve più critiche da tenere in considerazione per il bilanciamento della monoposto?

Le curve che influenzano maggiormente l’assetto sono la variante del Tamburello (T2, T3, T4), dove ci sono tre curve in successione e quindi occorre avere una vettura perfettamente bilanciata, e le Acque Minerali (T11, T12, T13), dove la monoposto è pesantemente caricata sulle ruote esterne proprio quando il pilota preme il pedale del freno. In questo modo si va a sollecitare tantissimo gli pneumatici nell’aderenza combinata, chiedendo un’elevata forza longitudinale quando sono già impegnati in senso laterale.

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Porterete qualche aggiornamento sulla vostra vettura nel weekend di Imola?

Sì, a Imola introduciamo l’ultimo step di un importante upgrade aerodinamico, iniziato con il primo pacchetto di aggiornamenti nella tappa di Shanghai. Riguarda il nuovo design del fondo, la nuova ala frontale, e il rivisitato condotto di raffreddamento dei freni posteriori. Già nella giornata di venerdì analizzeremo, su entrambe le vetture, quale sarà il miglioramento che avremo ottenuto con queste nuove parti, in termini di performance.

Che risultato vi aspettate dalla gara di Imola?

Non sono la persona giusta a cui chiederlo, per me è sempre difficile fare delle previsioni! Per il momento siamo abbastanza soddisfatti della prima parte di stagione, credo che stiamo facendo meglio di quanto avevamo preventivato. La monoposto è facile da guidare per i piloti e non richiede troppo alle gomme, ciò va a vantaggio soprattutto delle prestazioni in gara. Su questo circuito è complicato far girare il posteriore rispetto all’anteriore, specialmente rispetto alle tappe precedenti, credo che per questo motivo andremo a utilizzare maggiormente le gomme soft e pertanto sarà molto importante il tyre managment. Sono fiducioso che qui saremo abbastanza competitivi, almeno quanto come lo siamo stati nelle gare precedenti o forse qualcosa meglio, grazie ai nuovi aggiornamenti, ma sappiamo che anche altri team hanno portato sviluppi sulle vetture. Il primo obiettivo sarà quello di portare entrambe le vetture in Q3 e poi cercare di ottenere punti in gara, anche se realisticamente sappiamo che sarà molto difficile. Faremo del nostro meglio!

Immagine scattata ai box durante le prove libere del venerdì a Imola