Brembo: come frena una Formula 1

Brembo è un’eccellenza italiana che ogni anno mette a disposizione dei team una tecnologia all’avanguardia nella massima serie automobilistica, la Formula 1.

Leader mondiale nella produzione di componenti frenanti per auto, moto e veicoli industriali, l’azienda italiana vede nel motorsport la propria vetrina, con la quale poter mettere in luce le proprie risorse e i propri prodotti.

E’ infatti nel settore racing, e in particolare nella Formula 1, dove sono impiegate le tecnologie più evolute ed estreme, pensate per la massima prestazione in termini di efficienza.

Su un totale di 10 scuderie impegnate nella massima serie, l’azienda bergamasca è fornitrice di ben 7 team, tra cui troviamo le prime tre case del campionato costruttori 2017, Ferrari, Mercedes e Red Bull.

Allo scopo di capire a fondo il funzionamento dei sistemi frenanti delle F1, abbiamo visitato la sede di Curno (BG), una delle tre in Italia, oltre a Mapello e Stazzano, per parlare di tecnica, dati e curiosità che riguardano gli impianti frenanti più evoluti al mondo.

Showroom all’interno dello stabilimento di Curno (BG)

PINZE IN ALLUMINIO-LITIO

I regolamenti della F1 pongono diversi paletti sulla realizzazione dei componenti dell’impianto frenante. Per esempio, la pinza deve essere costruita con una lega di alluminio (con modulo di elasticità minore di 80 GPa), deve avere solo due punti di attacco al portamozzo e non può alloggiare più di 6 pistoncini (tre per lato di ogni disco) di sezione circolare.

Nonostante queste restrizioni, Brembo può offrire diverse personalizzazioni ai team, come tre tipi di lega alluminio-litio, con differenti caratteristiche di peso e resistenza alla temperatura, e varianti sul design di forma.

Inoltre, offre ai team la possibilità di avere solo 4 pistoncini al posteriore, per motivi di alleggerimento, visto che la frenata su quell’asse è coadiuvata dalla frenata rigenerativa del sistema di recupero di energia ERS, che spiegheremo più avanti.

Ricavata dal pieno e ottenuta tramite lavorazione di macchina CNC, la pinza è leggerissima (1,5 ÷ 2 kg) e durante il suo funzionamento può arrivare a raggiungere anche i 200 °C.

La riduzione della massa della pinza è ottenuta dagli ingegneri Brembo lavorando sulle geometrie, per ridurre le masse delle zone non sottoposte a stress, tramite l’utilizzo di un software topologico. Questo applicativo permette di simulare la rigidezza di un componente, individuando il materiale in eccesso, ottimizzando così il rapporto tra peso e rigidezza complessiva.

La vita di una pinza freno F1 è di circa 10,000 km ed è progettata per poter essere utilizzata in tutti i circuiti, ma ogni 2500 km, oppure in caso di incidente o surriscaldamento, Brembo richiama le proprie pinze in sede, per essere revisionate e verificate in ogni dettaglio.

In evidenza la pinza freno della Ferrari F1 2015. Si notano le alette di raffreddamento poste al di sopra degli alloggiamenti dei sei pistoncini. 

MASTER CYLINDER – POMPA FRENO

Realizzata anch’essa in lega di alluminio, la pompa freno consiste in due cilindri dalla corsa e dal diametro variabile (da 15 mm a 22 mm), a seconda della personalizzazione richiesta dai team e dai piloti.

Il cilindro di sinistra è collegato all’asse anteriore, mentre quello di destra all’asse posteriore.

Più è grande il diametro del cilindro, maggiore è la forza richiesta sul pedale del freno per imprimere una determinata pressione al liquido e minore è la sua corsa.

Progettata per resistere a pressioni di esercizio fino a 160 bar, è il cuore dell’impianto frenante, ma allo stesso tempo è anche il componente più semplice e più simile a quello della normale produzione.


BILANCIAMENTO DI FRENATA

La ripartizione di frenata delle nuove Formula 1 è abbastanza complicata, essendo un sistema misto tra una frenata di tipo convenzionale e una frenata rigenerativa, che avviene sull’asse posteriore tramite uno dei due motori-generatori (MGU) facenti parte del sistema ERS (Energy Recovery System).

Il sistema ERS è il sistema di recupero dell’energia, composto da due sotto-sistemi di generazione. Il primo (MGU-K) recupera energia tramite la frenata rigenerativa del motore elettrico sull’asse posteriore. Il secondo (MGU-H) recupera l’energia termica dei gas di scarico che by-passano la turbina. L’energia accumulata viene poi convogliata nelle batterie e risulta spendibile nelle altre fasi del giro di pista, per avere una potenza motrice extra.

Introdotto nel 2014, è l’evoluzione del precedente sistema KERS.

La potenza dell’ERS è di 120 kW (160 cv), con la possibilità di archiviare un massimo di 2 MJ di energia per ogni giro.

L’impatto che ha il sistema MGU-K dell’ERS sulla frenata è quindi notevole e scompensa sensibilmente il bilanciamento dell’auto: da questo concetto, è nata la necessità di assegnare a una logica di controllo la frenata al posteriore, in grado di gestire la distribuzione di coppia frenante tra le pinze freno e la frenata rigenerativa.

Pertanto, possiamo affermare che il bilanciamento tra la forza frenante anteriore e quella posteriore avviene sia in modo meccanico, sia tramite software.

Schema di funzionamento del sistema Brake By Wire (BBW).

Il primo tipo di bilanciamento è dato da un semplice leverismo regolabile (balance bar) che determina, per una data corsa del pedale del freno, quanta forza viene impressa nel cilindro di sinistra e in quello di destra (quindi all’asse anteriore e all’asse posteriore).

La seconda ripartizione avviene invece tramite il software del Brake By Wire (BBW), che gestisce totalmente la frenata all’asse posteriore.

Infatti la forza idraulica impressa al cilindro di destra viene indirizzata verso una camera di compensazione (compliance chamber), che restituisce un feedback al pilota sul pedale del freno, ma di fatto non agisce direttamente sulle pinze al retrotreno.

La forza frenante al posteriore viene generata da un altro cilindro, elettro-attuato, e comandato dalla logica di controllo del BBW.

Tale logica, il cui software viene sviluppato internamente dai team, decide istante per istante quanta forza deve essere generata dalle pinze posteriori, in base a quanta coppia frenante rigenerativa viene assorbita dal sistema ERS.

Occorre quindi affidarsi alla bontà del software se si vuole avere una gestione fine della frenata al retrotreno; basta infatti un software più lento di pochi centesimi di secondo ad ogni frenata per accumulare un ritardo sensibile durante il giro di pista.

Come visibile dal grafico “Brake Torque vs Speed”, l’intervento della frenata rigenerativa al posteriore è del 100% fino a 100 km/h, e decresce man mano che la velocità sale, facendo intervenire sempre di più le pinze freno alle alte velocità.

Il grafico mostra l’intervento congiunto della coppia di frenata rigenerativa (in azzurro) e della coppia frenante generata dalle pinze freno (in rosso). La coppia frenante risultante sull’asse posteriore è la linea verde. Al di sotto dei 100 km/h interviene soltanto la frenata rigenerativa.

Solamente in caso di malfunzionamento del sistema ERS, la frenata al posteriore torna ad essere comandata dal pedale, anche se la sua efficienza sarà ai minimi termini, poiché si tratta di una situazione di emergenza, per poter permettere alla monoposto di rientrare ai box in sicurezza.

Indicativamente, il bilanciamento di una F1 prevede che il 55% della forza frenante sia all’anteriore e il 45% al posteriore, con la possibilità di qualche piccola variazione da parte del pilota, anche durante le fasi di gara.


DISCO FRENO – CARATTERISTICHE

Il contatto tra il disco e la pastiglia deve generare un attrito (e quindi una coppia frenante), che abbia caratteristiche ben precise e che sia il miglior compromesso tra l’efficienza, il consumo (omogeneo e facilmente prevedibile) e il contenimento delle temperature.

Il disco freno delle F1 è la parte più soggetta al surriscaldamento ed è prodotto interamente in carbonio.

L’utilizzo di questo materiale è necessario per garantire un funzionamento costante anche alle alte temperature e per rendere minima l’usura, infatti ogni disco può durare fino a 800 km, cioè l’intera durata di un GP.

A sinistra il nuovo disco freno in carbonio da 32 mm, introdotto nel 2017. A destra, il precedente disco da 28 mm.

L’usura viene monitorata tramite i sensori di prossimità che rilevano la corsa della pastiglia; alcuni team dedicano un sensore per ogni pastiglia, quindi due per ogni disco.

L’attrito tra il disco e la pastiglia, anch’essa in carbonio, non avviene tramite il classico attrito meccanico (come con i dischi convenzionali in ghisa), ma viene prodotto grazie a micro-fusioni che si generano tra i due componenti sulla faccia del disco, peraltro senza generare alcun tipo di polvere, e quindi rendendo di fatto superfluo la lavorazione dei “baffi” che di solito troviamo sui dischi di utilizzo sportivo.

Spesso 32 mm, come imposto dai regolamenti, ha un diametro massimo di 278 mm (all’anteriore solitamente è installato un disco circa il 10% più grande rispetto al posteriore) e presenta ben 1400 fori radiali passanti del diametro di 2,5 mm, che fungono sia da canali di aerazione per lo smaltimento del calore, sia da fori di alleggerimento.

Il singolo disco F1 pesa soltanto 1 ÷ 1.2 kg, un valore impressionante se comparato ai 15 kg medi di un disco in ghisa di normale produzione.


TEMPERATURE SOTTO CONTROLLO

Se fino a qualche anno fa lo sviluppo era molto incentrato sul peso e sulla resistenza alla deformazione del disco, oggi è quasi interamente dedicato alla gestione della temperatura, parametro critico per qualsiasi impianto frenante.

Il range di temperatura di esercizio di un disco Brembo va da 350 °C fino a 1000 °C: è molto importante per i team e per i piloti rispettare queste temperature, infatti se si frena in modo prolungato con temperature del disco al di sotto dei 350°C, sì può creare un’usura di tipo meccanico (“mechanical wear”) che può compromettere la funzionalità del disco, perché l’attrito andrebbe ad alterare le caratteristiche chimiche.

Sistema di convogliamento dell’aria all’interno dei canali di areazione del disco (In immagine, si tratta di un disco di alcuni anni fa)

E’ quindi molto importante ottenere subito un buon surriscaldamento del disco una volta che la monoposto è uscita dai box, e rimanere all’interno del range di temperatura consigliato da Brembo, durante tutte le fasi del week-end di gara.

Il mantenimento della temperature e i gradienti di raffreddamento-riscaldamento sono affidati alla copertura esterna (detta “corner”), realizzata in fibra di carbonio, comprendente i canali di convogliamento dell’aria (le cui dimensioni sono limitate per regolamento, e non possono sporgere oltre la ruota). Altro compito della copertura è quello di trasferire il calore dei freni allo pneumatico, che potrà così beneficiare di un riscaldamento supplementare oltre a quello generato da slittamenti o derive.

Ogni team studia la propria conformazione del corner, a seconda delle proprie esigenze e delle proprie strategie di raffreddamento, nonché in base alla conformazione della pista.

Per monitorare istante per istante le temperature dei freni ci si affida alla telemetria, che può contare sull’acquisizione dei dati provenienti da ben 12 sensori: un sensore di temperatura su ogni faccia del disco e su ogni pinza.


DISCO FRENO – PROCESSO DI PRODUZIONE

Un disco freno F1 è ricavato dalla fibra di carbonio.

La fibra di carbonio è un polimero costituito soltanto da atomi di carbonio e può essere prodotto sia dalla modificazione di fibre organiche (carbonio “PAN”), sia da residui della distillazione del petrolio o del catrame (carbonio “PITCH”, carbonio da pece); il primo è quello più largamente utilizzato, per il 90% dei casi.

Una volta ottenuta la fibra grezza, il primo trattamento è la pre-formatura, che avviene tramite un processo di needling, che consiste nel pressare i diversi strati di fibra con micro aghi, che penetrano ripetutamente legando in modo molto forte le fibre stesse.

Il processo di needling permette di unire in modo molto forte le fibre dei vari strati di carbonio.

E’ un processo veloce e a basso costo, il quale permette un’elevata omogeneità strutturale del materiale, lungo tutto il suo spessore.

Successivamente, si passa al processo di infiltrazione e deposito di atomi di carbonio (carbonizzazione), tramite l’esposizione del materiale a vapori di idrocarburi leggeri (come il metano, CH4).

Il materiale viene poi sottoposto a trattamenti ad alta temperatura, che durano anche diverse settimane; tra queste troviamo l’esposizione del disco a oltre 1000 °C in un gas inerte (quindi in assenza di ossigeno, per evitare che possa bruciare), con lo scopo di eliminare qualsiasi altro atomo che non sia carbonio, a causa della forte vibrazione delle molecole.

Terminati i trattamenti termici, si procede poi con le lavorazioni meccaniche, per dare al materiale la forma finale.

I 1400 fori radiali vengono effettuati da una macchina a controllo numerico CNC, che impiega circa 6 ore per completare il lavoro.

Durante il procedimento di foratura, essendo il carbonio un materiale molto duro, la punta diamantata viene sostituita diverse volte (anche se in modo automatico dalla macchina utensile).

Infine, il disco viene trattato superficialmente con una vernice senza solventi, in grado di resistere alle temperature di esercizio e di proteggere il disco dagli agenti esterni.

Attualmente, i tempi di produzione di un disco freno in carbonio possono arrivare anche a 6 mesi, ma a partire dal 2019, a seguito del completamento del nuovo stabilimento “Carbon Factory”, nella sede di Curno, Brembo gestirà internamente tutto il processo produttivo del disco e stima di poter ridurre a 2-3 mesi questa tempistica.

In figura le fasi del processo produttivo di un disco freno in carbonio. La durata del processo attualmente è di circa 6 mesi.

FASI DI UNA FRENATA

Secondo quanto suggerito da Brembo, le fasi di una frenata si possono dividere in tre parti: “Bite”, “Modulation” e “Control”.

“Bite” è la prima parte della frenata, quando il pilota inizia a frenare e il contatto disco-pastiglia deve essere molto efficiente e garantire un “mordente” elevato (da qui il nome), cioè un gradiente di coefficiente di attrito molto alto; in altre parole, il ritardo tra la pressione sul pedale del freno e la restituzione della coppia frenante deve essere minimo.

“Modulation” rappresenta la parte centrale della frenata, in cui il coefficiente di attrito occorre che rimanga quanto più possibile costante, per permettere al pilota di modulare la frenata in fase di avvicinamento alla curva.

Il valore medio del coefficiente di attrito in questa fase è di circa 0,55.

Infine, “Control” è l’ultima fase della frenata, in cui il pilota rilascia progressivamente il pedale del freno in inserimento di curva; è in genere la fase più critica, perché viene richiesto agli pneumatici sia l’attrito longitudinale, che quello laterale, visto che è già iniziata la sterzata.

Anche in questo caso, l’attrito prodotto dal sistema frenante deve essere prevedibile e lineare nel decremento, dando il miglior feedback possibile, in termini di sensibilità, al pilota.


FORZE ELEVATE SUL PEDALE

La guida di una Formula 1 moderna non richiede più gli sforzi fisici di qualche decennio fa, quando i piloti scendevano stremati dalle proprie monoposto. L’arrivo del cambio sequenziale, l’ottimizzazione dello sterzo e degli pneumatici hanno portato a una guida più rilassata e a una ridotta forza richiesta per tutti i comandi, eccezion fatta per il pedale del freno che, ancora oggi, richiede una forza decisamente elevata.

A seconda dei circuiti, apprendiamo che i piloti arrivano ad applicare sul pedale una forza dell’ordine di 150 ÷ 160 kg, con alcune eccezioni in cui possono superare i 200 kg.

Le frenate più impegnative sul tracciato di Monza prevedono tutte decelerazioni al di sopra dei 5 G e una forza sul pedale decisamente elevata, anche oltre i 200 kg.

Anche se coadiuvato dall’inerzia del proprio corpo in decelerazione, rimane comunque uno sforzo notevole, ma che è necessario per poter garantire ai piloti un’adeguata sensibilità, ad esempio per evitare il bloccaggio o per modulare correttamente il freno in fase di inserimento in curva.

Se si agisse diminuendo il diametro della pompa per ridurre la forza sul pedale, aumenterebbe la corsa dello stesso e quindi si avrebbe una riduzione della sensibilità.


RAPPORTO CON I TEAM

Per quanto riguarda l’impianto frenante, in Formula 1 non esistono contratti fissi regolati dalla federazione (come avviene ad esempio per gli pneumatici), ogni team è libero di avere rapporti con i costruttori dei singoli componenti.

Questo garantisce uno sviluppo tecnologico ancora più veloce e una competizione serrata tra le aziende coinvolte, tra cui Brembo, che fornisce ben 7 team su 10.

Non solo, ogni scuderia è libera di chiedere cambiamenti sul prodotto, anche durante la stagione, con vere e proprie personalizzazioni, come ad esempio variazioni sulla conformazione della pinza, sul diametro della pompa principale oppure sul numero di pistoncini al posteriore (4 o 6).

Questa libertà provoca il moltiplicarsi degli sforzi da parte di Brembo, che dovrà convogliare le proprie risorse su più fronti, per soddisfare ogni cliente nel raggiungimento dei propri obiettivi stagionali.

E’ per questo motivo che esiste un team dedicato di quattro persone (di cui fa parte l’Ing. Andrea Algeri, nostro interlocutore durante la visita in Brembo), che si occupano di mantenere i contatti con i responsabili delle scuderie, per raccogliere richieste, feedback e commenti e poi trasferirli al team di sviluppo interno all’azienda.


PISTE E CURIOSITA’

L’impianto frenante viene sollecitato in modo diverso a seconda della conformazione di ogni singolo tracciato.

Le piste più stressanti non sono soltanto quelle che comportano picchi di decelerazione più elevati, ma anche quelle dove le frenate sono tante e ravvicinate e dove i brevi rettilinei non permettono un adeguato raffreddamento del disco.

Come suggerito da Brembo, si possono distinguere i circuiti presenti nel calendario in tre categorie: “Light”, “Medium” ed “Heavy”.

Nelle piste di quest’ultima categoria troviamo i tracciati del Bahrain, del Canada, di Abu Dhabi, del Messico e la nostra Monza.

Sul circuito brianzolo, solo il 12% del tempo viene dedicato alle frenate, ma, complice l’elevata velocità media e quindi l’enorme deportanza generata dall’aerodinamica, si raggiungono elevati livelli di decelerazione: alla staccata della parabolica, si frena per solo 1,22 secondi, ma si superano i 6 G di decelerazione. Le altre frenate più impegnative, la prima variante e la variante della roggia, sono più lunghe (2,6 e 2,3 secondi), ma prevedono comunque una decelerazione al di sopra dei 5 G.

Anche il Canada mette a dura prova l’impianto frenante, con sei punti in cui si superano i 4,5 G, e per la presenza di un tratto iniziale dove si susseguono tante frenate, senza possibilità di raffreddamento.

I circuiti cittadini di Monaco e Singapore, nonché l’Hungaroring, sono i circuiti in cui invece si frena più a lungo, per oltre il 22% del tempo, facendo sì che la temperatura media sia molto elevata durante il giro.

Tra i meno impegnativi, troviamo Silverstone, SPA e Suzuka, complici le decelerazioni di media intensità e i lunghi rettilinei che permettono di raffreddare in modo efficace i componenti più sollecitati, come il disco e la pinza freno.

La frenata più difficile di tutto il campionato? E’ quella necessaria per affrontare la curva n.8 del circuito di Yas Marina di Abu Dhabi, in fondo al rettilineo lungo circa un chilometro opposto ai box, dove si passa da 329 km/h a 72 km/h in soli 73 metri: uno sforzo notevole e prolungato, non solo per i freni, ma anche per i piloti, sottoposti a una decelerazione media di 5,2 G per 2,79 secondi.

L’infografica riassume le caratteristiche principali dell’impianto frenante F1 rispetto a quello di normale produzione.