BMW Turbo: l’evoluzione sulle vetture Sport e Turismo

Marco Wittmann, il migliore pilota BMW nel DTM 2019 in azione a Hockenheim.

C’era una volta… O meglio, correva l’anno 1969 e la BMW 2002 Ti guidata da Dieter Quester conquistava il Campionato Europeo Turismo per la classe ‘oltre 1.600 cc’. Quester è stato un pilota di alto livello nelle categorie Turismo e Sport, con un’unica apparizione in Formula 1 nel GP d’Austria del 1974 con la Surtees TS16-Ford.

Cinquant’anni separano il motore M121, a sinistra, dal nuovissimo P48 utilizzato sulla BMW M4 Turbo DTM del 2019.

Fedele alla BMW per gli oltre trent’anni di carriera, fu campione europeo turismo anche nel 1968 con la 2002 Ti alimentata dall’impianto di iniezione meccanica Kugelfischer e replicò nel 1977 e nel 1983 con la 3.0 CSL e la 635 CSi, ma quella del ’69 fu senza dubbio la più ‘storica’ delle vittorie, perché ottenuta al volante della 2002 Ti Turbo, una vettura che avrebbe cambiato il corso della storia sportiva della Casa bavarese.

La BMW Serie 02, prodotta a partire dal 1966 rappresentò un modello innovativo per la Casa tedesca. Da questa fu derivata la versione da corsa che partecipò con successo al Campionato Europeo Turismo.

Il motore montato sotto il cofano di quella vettura era siglato M121 ed era un quattro cilindri in linea con distribuzione monoalbero in testa otto valvole e dimensioni caratteristiche 89×80 mm per una cilindrata di 2.0 litri, la stessa del motore P48 della BMW M4 DTM che quest’anno ha debuttato nel campionato tedesco Turismo, una serie che da decenni ha sempre attratto i Costruttori, e non solo tedeschi.

L’M121 erogava 280 CV a 6.500 giri/min con un pressione di 0,98 bar, col compressore che teoricamente poteva raggiungere 1,76 bar, limite che avrebbe però messo a durissima prova la meccanica di quel motore. Oggi la pressione può arrivare fino a 2,5 bar e un ‘due litri’ può erogare in sicurezza oltre 600 CV, grazie alle nuove tecnologie dei materiali e al processo di fonderia del basamento e della testata, entrambi in lega leggera, realizzati nella fonderia BMW di Landshut.

BMW Turbo: l'evoluzione sulle vetture Sport e Turismo
La vista laterale del motore M121 montato sulla BMW 2002 TiK (Kompressor) vincitrice del Campionato Europeo Turismo del 1969 col pilota Dieter Quester. Si noti il filtro dell’olio a cartuccia, la valvola di boost sopra il plenum di aspirazione, lo spinterogeno applicato all’estremità dell’albero a camme e il motorino d’avviamento. ©Martin Hangen/hangenfoto

Stessa architettura ma componenti diversi

Nel tempo sono sparite la coppa dell’olio, l’accensione a spinterogeno, la valvola di boost  meccanica e il condotto che portava direttamente l’aria compressa dall’uscita del compressore KKK ai condotti di aspirazione. Oggi il motore P48 ha un sofisticato sistema di lubrificazione a carter secco che mantiene il basamento sempre libero da lubrificante che potrebbe assorbire energia se ‘sbattuto’ dagli organi in rotazione.

BMW Turbo: l'evoluzione sulle vetture Sport e Turismo
Nella vista frontale dell’M121 si notano il turbocompressore, Il lungo tubo che porta l’aria compressa direttamente al plenum di aspirazione e la profonda coppa dell’olio. ©Martin Hangen/hangenfoto

Il serbatoio separato dell’olio è fissato direttamente al motore, mentre uno scambiatore per il raffreddamento della carica di aria compressa aumenta le prestazioni e l’efficienza del nuovo motore. I cosiddetti servizi, come l’alternatore e il motorino d’avviamento, non sono più collegati direttamente al motore ma montati sul cambio, dietro il motore.

L’air box che costituisce il volume di alimentazione d’aria al motore con è più realizzato saldando elementi fusi di alluminio ma utilizzando il più leggero composito in fibra di carbonio.

Infine l’avvento dell’elettronica ha rivoluzionato i controlli motore, a partire dalle valvole a farfalla, azionate elettricamente e con con un rinvio meccanico come avveniva nel ‘vecchio’ M121. I cavi elettrici, poi, sono protetti da una guaina in fibra di carbonio.

Nel 1973 la BMW sfruttò l’esperienza sportiva per mettere in produzione la sua prima vettura di serie sovralimentata con un turbocompressore, la 2002 Turbo.

Potenza e efficienza

Uno degli aspetti chiave che caratterizzano il nuovo P48 è il consumo di carburante. Poiché il regolamento limita la portata di benzina, ogni possibile riduzione del consumo porta a notevoli vantaggi. Al confronto col motore utilizzato nella stagione 2018, peraltro già molto efficiente, il nuovo motore lo è almeno il 10% in più e se lo paragoniamo all’antenato M121 arriviamo a un consumo inferiore del 50%.

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La vista laterale del nuovo P48 consente di apprezzarne le differenze rispetto al turbo del 1969, a cominciare dal plenum di aspirazione in fibra di carbonio anziché in alluminio e la limitata altezza complessiva, grazie all’assenza della coppa dell’olio. La lubrificazione è infatti a carter secco, col serbatoio separato visibile sulla destra. ©Martin Hangen/hangenfoto

Un risultato ottenuto grazie al sistema di iniezione diretta ad alta pressione, adottata anche sui motori di serie della BMW, e alla accurata ‘mappatura’ di accensione e iniezione che a tutti i regimi assicura il miglior rapporto tra aria e benzina per operare con una miscela il più possibile ‘magra’.

Il rendimento complessivo è influenzato anche dalle perdite per attrito, che sono state oggetto di profondi studi a partire dal menzionato sistema di lubrificazione a carter secco che elimina lo ‘sbattimento’ dell’olio all’interno del motore e poi l’utilizzo di leghe speciali per i componenti sottoposti alle temperature più elevate che consentono di non utilizzare la benzina come vettore di calore per il raffreddamento, a vantaggio di carburazioni più magre.

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Nella vista frontale si vede il posizionamento del turbocompressore e del collettore di scarico osto sul ‘lato caldo’ del motore. ©Martin Hangen/hangenfoto

La potenza viene dal turbo

Nel 1969 i tecnici BMW, non potendo incrementare la cilindrata dovettero cercare di aumentare la potenza in modo consistente applicando un sistema di sovralimentazione. Rispetto a sistemi utilizzati in passato, nei quali il compressore era di tipo volumetrico ed era azionato dal motore, con un non indifferente assorbimento di potenza, un turbo compressore che sfruttava l’energia ancora posseduta dai gas di scarico espulsi dai cilindri non generava alcuna perdita di potenza. I gas caldi e ancora caldi e ad elevata pressione si espandevano in una turbina raffreddandosi e perdendo l’energia utilizzata per ‘pompare’ aria attraverso la girante di un compressore centrifugo. In questo modo la sportiva BMW 2002 Ti si trasformava in una vettura da corsa, capace di toccare i 240 orari. Un’esperienza utile alla produzione di serie, tanto che nel 1973 la BMW mise sul mercato la prima vettura di serie dotata di un turbocompressore, la 2002 Turbo.

Nella vista dall’alto, a destra il corpo farfallato che regola la portata d’aria, che a differenza che nel 1969, è raffreddata in un intercooler. ©Martin Hangen/hangenfoto

La BMW dal Campionato Europeo Turismo al DTM

Dopo i successi nel campionato europeo Turismo l’evoluzione dei regolamenti ha portato in pista le vetture derivate dalla serie nei campionati nazionali Turismo. Uno dei più prestigiosi, sia per l’impegno profuso dalle Case tedesche sia per essere stato il terreno di battaglia dove confrontarsi a livello tecnico e agonistico ai massimi livelli è stato senza dubbio il DTM.

Significativo che a questa serie di gare abbia deciso di partecipare anche l’Alfa Romeo con le 155 V6 Ti pilotate da Alessandro Nannini e Nicola Larini. Ma qui occorre fare un salto indietro all’ inizio degli anni ’90, al 1993, per la precisione. Nel 2019, in occasione del ventesimo anniversario dalla sua istituzione, il regolamento DTM è in parte tornato alle origini, mettendo da parte i grossi V8 di 4.0 litri utilizzati dal 2000 fino al 2018 e passando a un motore più compatto (il peso è sensibilmente sotto il quintale, meno della metà di un V8) e tecnologicamente sofisticato, ovvero un quattro cilindri in linea di 2.0 litri sovralimentato di elevata efficienza.

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Il motore durante le lunghe prove al banco per testarne l’affidabilità. ©Martin Hangen/hangenfoto

Questo è il motivo per cui regge questo parallelo tra due motori molto simili ma separati da cinquant’anni di progresso tecnologico e anni luce in termini di potenza specifica. Il regolamento prescrive che il motore duri 6.000 km, un limite non banale da raggiungere, vista la potenza specifica di oltre 300 CV/litro.

BMW Turbo: l'evoluzione sulle vetture Sport e Turismo
Uno degli stampi utilizzati per realizzare i monoblocchi e i basamenti presso la fonderia BMW di Landshut.

E’ previsto di poter incrementare la portata di benzina da 95 kg/h (in condizioni normali di gara), fino a 100 kg/h per 5 sec e 12 volte nel corso della gara, per poter sorpassare un avversario: un’extra portata che consente circa 30 CV in più. Il compressore fornisce una portata d’aria di 400 litri/sec; la pompa del liquido di raffreddamento mette in circolazione 18.000 litri/ora; e per chiudere coi numeri il motore è costituito da 2.000 pezzi.

Bruno Spengler, pilota canadese vincitore della gara sul Norisring con la BMW Bank M4 DTM del Team RMG.

La rivincita BMW nel 2020: poi è venuto il Coronavirus…

La stagione del debutto della nuova formula per il DTM ha visto il dominio della storica grande avversaria della BMW, ovvero la Audi, che con la sua RS5 Turbo DTM ha dominato la stagione, nonostante nella Gara1 della prima prova, disputata a Hockenheim il 17 maggio, sia stato Marco Wittmann con la BMW M4 Turbo DTM a vincere, facendo capire le potenzialità della nuova vettura.

Ma già dalla Gara2 René Rast e la sua Audi hanno cominciato a macinare vittorie e risultati utili a ripetizione, tanto da portare il pilota tedesco a vincere il primo campionato DTM dell’era turbo con largo margine sul compagno di marca Nico Muller.

Jens Marquardt.

Wittmann ha comunque chiuso al terzo posto una stagione che lo stesso Jens Marquardt, direttore di BMW Group Motorsport ha definito non del tutto soddisfacente la stagione prima dell’ultima prova, l’ottava sul totale di nove, disputata come la prima Hockenheim: “Naturalmente non siamo soddisfatti della nostra posizione dopo 16 gare (ognuna delle prove si disputa su 2 gare – n.d.r.)”.

“Abbiamo iniziato bene ma, per varie ragioni, abbiamo perso un po’ di smalto a partire da metà stagione. Volevamo essere in lotta per il titolo fino all’ultimo e il fatto che non siamo riusciti in questo obiettivo è un motivo di delusione per tutti.

“Allo stesso tempo questo ci serve come motivazione per la prossima stagione. Dobbiamo, e lo faremo, migliorare per poter dire la nostra sul risultato finale… Dopo una stagione come questa dobbiamo migliorare in molte aree in seguito all’analisi dei nostri risultati”.

“Ad esempio, stiamo valutando quale potrà essere la migliore configurazione e struttura della vettura per il futuro. Dobbiamo ovviamente fare i conti coi problemi avuti, soprattutto per quanto riguarda l’affidabilità. I nostri due team ufficiali continueranno a giocare uno ruolo fondamentale. Nonostante ci sia spazio per migliorare, le squadre di Bart Mampaey e Stefan Reinhold lavorano ad altissimo livello in pista e per questo abbiamo confermato di continuare con loro”.

“Da parte nostra, a Monaco stiamo facendo un’analisi critica per puntare a risolvere i nostri problemi e ritornare ad avere quella costanza di prestazioni indispensabile per puntare in alto”.

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Alex Zanardi ha disputato la ‘Dream Race’ sulla pista di Fuji in Giappone con una M4 DTM sponsorizzata dalla ZF. Si è trattato di una gara extra campionato che ha opposto le vetture del DTM a quelle della serie Super GT giapponese, a cui partecipano Honda, Lexus e Nissan. Zanardi ha chiuso la gara al 13° posto.