BMW M3 vs Mercedes-Benz 190 2.3-16, un confronto tra due veri mostri sacri che hanno scritto pagine indelebili dell’automobilismo sportivo e regalato immagini indimenticabili nelle competizioni del DTM, il campionato Turismo Tedesco che ebbe un periodo in cui Mercedes e BMW si contendevano fino all’ultima staccata gare e primati.
Ma non soltanto: se la BMW M3 rappresentava di fatto una vera svolta per il reparto sportivo della casa di Monaco di Baviera, considerata di fatto la capostipite di quella dinastia di automobili che il reparto Motorsport firma da cinquant’anni a questa parte con la M, la Mercedes 190 2.3-16 è stata la rapida consacrazione del successo della Casa in un segmento per lei nuovo, in cui era entrata appena un anno prima.
La 190 2.3-16 fu una delle ultime sportive che Mercedes realizzò in proprio, sebbene con qualche consulenza prestigiosa, prima di affidare il compito di sviluppare le varianti performanti alla AMG di Affalterbach, oggi vero brand rivale di M. Anche qui, con una finalità agonistica.
Quanto alla M3, fu invece la seconda berlina marchiata M, preceduta dalla M5 E34 arrivata soltanto un anno prima (con ‘l’antipasto’ della M535i introdotta già sulla precedente generazione E28) ma che superò presto in popolarità e palmares sportivo.
L’obiettivo era quello di sostituire la vittoriosa Serie 6 nelle competizioni sportive con un’autovettura che, nei nuovi regolamenti del Gruppo A, fosse in grado di proseguirne la vittoriosa tradizione.
Mercedes-Benz 190 2.3-16: tedesca con un tocco ‘british’
Al Salone di Francoforte del 1983, esattamente un anno dopo la presentazione della 190 (W201) disegnata da Bruno Sacco e realizzata con la volontà di occupare un posto di rilievo a fianco delle concorrenti BMW Serie 3 e Audi 80, Mercedes mostrò ufficialmente al pubblico la prima versione sportiva 190 E 2.3-16.
Inaugurò di fatto il filone delle berline prestazionali utilizzate nel quotidiano da appassionati della guida sportiva anche se prodotte essenzialmente per ottenere l’omologazione che avrebbe consentito l’iscrizione nei campionati Turismo.
Il motore era basato sul 2.3 di serie appartenete alla famiglia dei 4 cilindri M102 (come il 2 litri a carburatore o iniezione che costituiva la gamma della “normale” 190) che Mercedes montava su modelli come il 230 G/GE e la 230/E W123 e W124, ma affidato agli esperti inglesi della Cosworth.
Questi, oltre ad aumentare il rapporto di compressione da 9 a 10,5:1, lo dotarono di una nuova testata in alluminio con due alberi a camme e 16 valvole, nuove camere di scoppio e condotti di scarico ridisegnati per ottimizzare il flusso in uscita.
Così l’unità da 2.299 cm3 arrivò a sviluppare una potenza massima di 185 CV a 6.200 giri/min e una coppia di 235 Nm a 4.500 giri/min, poi ridimensionati a 177 dall’85, quando la compressione scese a 9,7:1, e a 170 in quella catalizzata.
Al motore era abbinato un cambio Getrag manuale a 5 rapporti, lo stesso poi applicato alla M3; la velocità massima della versione di serie toccava i 230 km/h e l’accelerazione da 0 a 100 km/h faceva fermare il cronometro sui 7,5 secondi.
La naturale predisposizione per le gare in circuito della 190 E 2.3-16 venne oltremodo sottolineata dall’utilizzo che ne venne fatto in occasione dell’inaugurazione del nuovo circuito del Nürburgring avvenuta nel 1984, dove diversi esemplari, tutti pilotati da piloti di Formula 1, si diedero battaglia fino all’ultima staccata in una corsa che vide vincitore un certo Ayrton Senna, all’epoca da poco approdato nel Circus.
Mercedes produsse tre ulteriori versioni performance della 190: la 190 E 2.5-16 il cui motore beneficiò di un incremento di cilindrata da 2.299 a 2.498 cm3 grazie all’aumento dell’alesaggio da 95,5 a 97 millimetri (la corsa rimase di 80,25 millimetri) e di una potenza massima portata a 194 CV nella versione con catalizzatore e 204 CV in quella senza, sempre a 6.750 giri/min, con velocità di punta di 235 km/h e accelerazione da 0 a 100 km/h in 7,5 secondi.
A questa seguì la 190 E 2.5-16 Evo, introdotta nel 1988, che aveva le stesse identiche prestazioni della 2.5-16 ma un nuovo monoblocco da 2.463 cm3 concepito per supportare ulteriori successive evoluzioni con alesaggio aumentato a 97 millimetri ma corsa ridotta a 82,5 millimetri.
La Evo si distingueva però esteticamente per la presenza di marcate appendici aerodinamiche tra cui un vistoso spoiler posteriore.
L’ultima evoluzione fu presentata nel 1989 con il nome di 190E 2.5-16 Evo II. Il motore venne sottoposto ad alcune rivisitazioni che ne incrementarono la potenza massima a 235 CV a 7.200 giri/min per una velocità massima di 250 km/h e un’accelerazione da 0 a 100 km/h in appena 7,1 secondi.
Le 2.5 Evo ed Evo II furono prodotte in soli 502 esemplari ciascuna, sufficienti per ottenere l’omologazione in Gruppo A delle rispettive varianti da competizione.
BMW M3: M come Motorsport
La BMW M3 nacque qualche anno più tardi, nel 1986, sulla base della Serie 3 E30, seconda generazione della berlina che aveva preso il posto della Serie 02, sottoposta dalla divisione Motorsport a una decisa cura rinvigorente non soltanto sul piano motoristico.
La scocca e il telaio furono irrigiditi e rinforzati, assetto e aerodinamica ricevettero carreggiate allargate enfatizzate con vistose bombature sui parafanghi, un vistoso alettone aerodinamico sul bagagliaio e altri dettagli.
Quanto al motore, pur sviluppato partendo da unità già esistenti, diede vita a una nuova famiglia siglata S14.
Il monoblocco fu fatto derivare da quello del 2 litri M10 ma con cilindrata portata a 2.302 mm aumentando alesaggio e corsa di circa 4 millimetri ciascuna, da 89 x 80 mm a 93,4 x 84 mm.
Questo diede al motore le stesse misure del 6 cilindri della M1 (famiglia M88) permettendo così di utilizzare la medesima testata a 2 alberi a camme con 4 valvole e un corpo farfallato per cilindro adattata semplicemente “tagliando” 2 cilindri, mentre per l’alimentazione, vista la necessità di predisporre anche versioni catalizzate, fu scelta l’iniezione elettronica Bosch Motronic.
La potenza raggiunse i 200 CV a 6.750 giri/min e una coppia di 240 Nm a 4.750 giri/min, ridimensionati a 195 CV e 230 Nm sulla variante con catalizzatore, con prestazioni che erano, per l’epoca, a dir poco entusiasmanti: da 0 a 100 km/h in 6,7 secondi e una velocità massima che sfiorava i 235 km/h.
Ma fu la guidabilità, oggi si direbbe l’handling, che fece dell’M3 un’auto amata e desiderata da ogni automobilista amante della guida sportiva sin dal suo debutto.
Un ottimo assetto, un cambio a cinque marce Getrag 265 con prima in basso, rapporti ravvicinati con quinta in presa diretta, abbinato a un efficace differenziale autobloccante, una frenata eccellente con ABS di serie e dischi ventilati sulle quattro ruote, un motore dalla piacevolissima intonazione sportiva che spingeva senza esitazioni sino alla soglia dei 7.000 giri.
Il tutto sotto il vestito di una comoda berlina a due porte, a suo agio negli autodromi come nelle riposanti strade che portano verso amene mete turistiche.
La bontà del progetto e la sempre più accesa competizione nel campionato Velocità Turismo nonché nel DTM con le rivali Mercedes, Audi e non ultima l’Alfa Romeo, spinsero la Casa di Monaco di Baviera a sviluppare il modello in chiave soprattutto prestazionale.
Nel 1988 venne così presentata la versione Evo, con compressione alzata da 10,5 a 11:1 e modifiche ai condotti e all’albero a camme di aspirazione (con angolo di lavoro passato da 248° a 264°) che aumentarono il “respiro” del motore portando la potenza a 215 sulla versione con catalizzatore (nota come Evo I) disponibile dall’89 e a 220 CV su quella non catalizzata chiamata Evo II, in vendita già da fine ’88.
Nel 1990, infine, si toccò l’apice dello sviluppo con la versione M3 Sport Evolution, costruita in soli 600 esemplari e dotata del più potente degli S14 (S14B25), portato a 2,5 litri grazie a un ulteriore aumento di alesaggio e corsa a 95 x 87 millimetri, cilindrata di 2.453 cm3 e potenza massima di 238 CV a 7.000 giri/min. con coppia di 242 Nm a 4.750 giri/min.
BMW M3 vs Mercedes-Benz 190 2.3-16: un verdetto difficile
Decretare oggi, sulla strada, quale sia la migliore tra queste due automobili di intonazione sportiva è molto difficile.
Appartengono entrambi al filone berline sportive inaugurato negli anni’60 con l’Alfa Romeo Giulia 1600 TI, la berlina da famiglia che vinceva le corse, e arrivato all’apice in termine di successi e sapore di guida proprio nel periodo della M3 e della 190 E 2.3-16.
Si tratta di automobili tutto sommato ancora estremamente attuali, hanno un’ottima frenata, un assetto molto piatto e prestazioni che ancora oggi esaltano anche il pilota più smaliziato che può cimentarsi, complice l’assenza di qualsivoglia marchingegno di controllo elettronico, con piena padronanza del mezzo.
TESTO Alessandro Cerruti – FOTO Fabrizio Gremo e Archivi BMW e Mercedes-Benz