Benzina, diesel, idrocarburi, combustibili fossili, energie rinnovabili, batterie, fuel-cell. Tutte parole con le quali sia i politici, spesso con una certa presunzione unita a talvolta endemica ignoranza in materia, sia i tecnici, dei quali non voglio mettere in dubbio la buona fede, danno sfoggio della loro ‘visone’ del futuro sostenibile della mobilità.
C’è poi chi, come l’ingegner Dino Brancale, dal 2013 amministratore delegato di AVL Italia, unisce la sua formazione tecnica alle indiscutibili doti manageriali e prende consapevolmente una posizione precisa, in sintonia ovviamente con le scelte dell’azienda che rappresenta.
Nello specifico, Brancale si fa promotore della scelta di AVL sul tema delle energie alternative e in particolare sul ruolo dell’idrogeno come vettore energetico strategico per il sistema industriale italiano, in particolare nel settore della mobilità.
Lo abbiamo incontrato nella sede AVL Italia di Torino per raccogliere un interessante ritratto dell’azienda e della visione che essa ha del futuro della mobilità.
“Nel settore dei trasporti, e in generale delle attività industriali, l’innovazione e la tecnologia oggi si muovono anche per effetto delle normative che sono pilotate dall’abbattimento delle emissioni e della CO2. Una cosa indubbiamente sana. Ma in questo contesto devo dire che c’è una cosa che, pur dovendo rispettare in quanto legge, è meno sana: la presunzione della politica di prescrivere le tecnologie”.
Da questa prima osservazione di Brancale, emerge una capacità di analisi critica che punta al risultato piuttosto che al modo per ottenerlo.
“In particolare, la forte spinta sull’elettrificazione ha costretto a determinate scelte che, essendo imposte dalla legge, i Costruttori devono rispettare. Tra questi, chi ha scelto di sviluppare tecnologie che producano l’abbattimento totale, ma solo localmente, degli inquinanti e della CO2, ovvero di fabbricare auto totalmente elettriche, si trova di fronte a una serie di interrogativi: pur essendo completamente in sintonia con quanto richiesto dalle normative sulle emissioni, quanto sono appetibili sul mercato le auto elettriche che produco? Quanto mi costa produrle? E poi, l’auto elettrica è davvero la soluzione alla decarbonizzazione? Dal mio punto di vista le tre risposte sono negative. Non è l’auto elettrica che ‘comanda’ l’abbattimento delle emissioni, se non localmente, ma è la fonte energetica utilizzata e la tecnologia ad essa correlata”.
Ottime osservazioni che dal punto di vista ingegneristico non fanno una piega: il famoso buco nell’ozono e l’effetto serra generato anche dalle emissioni di CO2 sono un fenomeno globale e non locale.
Se per far circolare un milione di auto elettriche in Europa si utilizza energia proveniente da centrali a carbone ubicate a migliaia di chilometri di distanza, l’effetto globale, ovvero il surriscaldamento del pianeta, non cambierà e i danni saranno suddivisi in egual misura tra chi abita a ridosso della centrale e chi invece si trova a migliaia di chilometri di distanza.
“Se il mix energetico in Europa, ovvero quello delle varie fonti di generazione dell’energia, non cambierà, l’aumento delle auto elettriche in circolazione potrebbe addirittura peggiorare la situazione. E secondo le previsioni, la vera svolta sulle politiche energetiche non sarà compiuta prima del 2045…”.
E anche sui costi, secondo Brancale, la risposta è negativa: “Le auto elettriche sono costose da produrre e di conseguenza sono care. E questo è dovuto alla velocissima accelerazione che è stata imposta politicamente alla trasformazione e che non ha dato alternative. Non solo. Dal punto di vista dell’impatto economico e dell’imminente impatto sociale sarà un disastro. Famiglie che finora hanno dedicato un budget di 10.000 euro per la sostituzione dell’auto si vedono costrette a triplicare la cifra necessaria, cosa che fa passare in seconda priorità l’acquisto. Meno macchine si vendono più tempo ci vorrà per far scendere il prezzo: un gatto che si morde la coda e può incidere in modo consistente sull’economia di un intero Paese. In ultimo le infrastrutture: ammesso che l’auto elettrica abbia in tempi brevi una larga diffusione, sarà davvero possibile ricaricarla in modo rapido, economico e con la comodità a cui siamo abituati? Avere un garage con una presa adeguata sarebbe una soluzione, ma sappiamo che in Italia la percentuale di chi è in queste condizioni è molto bassa”.
Secondo Brancale, se per ipotesi ci fosse un ribaltamento del mix tra auto elettriche e auto alimentate dal fossile, per avere una disponibilità di punti di ricarica pari a quella attualmente offerta dai distributori di carburante occorrerebbe installare due milioni di colonnine.
Nel 2022 è prevista l’installazione di circa 60.000 punti di ricarica sul suolo nazionale… “Per sintetizzare quanto abbiamo detto, due dei tre attori di questo cambiamento, ovvero la politica di riconversione delle centrali di generazione dell’energia elettrica e le infrastrutture di ricarica hanno tempi di sviluppo e adeguamento sostanzialmente lunghi e complessi al punto da mettere in crisi chi, come l’industria automotive, ha invece reagito in tempi estremamente brevi alle scelte politiche”.
Euro7: tanta spesa poca resa
AVL, che nella sua posizione di azienda indipendente colloquia con molti dei più importanti Costruttori, è consapevole che il passaggio dalla Euro6 alla Euro7 sarà l’ultimo gradino che essi saranno in grado di superare prima di sospendere ulteriori sviluppi del motore endotermico (Fig.1).
E qualcuno sta già pensando se veramente l’entità dell’investimento in tecnologia imposto dalla Euro7 sarà sostenibile e se non convenga gettare la spugna prima.
“Questo è evidente dalle dichiarazioni di abbandono della tecnologia diesel da parte di alcuni tra i più importanti produttori. Un controsenso, poiché è dimostrato che i diesel odierni sono davvero pochissimo inquinanti e addirittura, in particolari condizioni, restituiscono aria più pulita di quella che aspirano! Per molti la Euro7 è sostanzialmente un incentivo ad abbandonare quella tecnologia”.
Un approccio completamente diverso da quello verso i motori cosiddetti ‘heavy duty’ ovvero quelli utilizzati sui truck: “In questo caso la battaglia non è tanto contro i motori diesel ma riguarda il combustibile che viene bruciato. Etanolo, metanolo, bio combustibili sintetici e l’idrogeno possono essere la soluzione. Sulle ‘passenger cars’ invece il vero problema è il motore, inutile girarci intorno. Per questo credo che bisognerebbe meditare su quanto fatto finora e poi riaprire il capitolo riscrivendolo insieme a interlocutori davvero competenti, senza ovviamente rinnegare il sacrosanto obiettivo di ridurre le emissioni”.
La risposta è multitasking
Questo continuo rincorrere un obiettivo oggettivamente complesso da raggiungere genera grande confusione, sia tra l’utenza finale sia tra i Costruttori, che per tenersi pronti a qualunque evenienza stanno introducendo nelle loro gamme modelli identici per caratteristiche generali e sostanzialmente diversi nella tecnologia propulsiva.
Una situazione transitoria, poiché non è ipotizzabile che in futuro le Case possano evolvere tutte le tecnologie: si tratterebbe di uno sforzo tecnico ed economico insostenibile, specie a fronte della lenta ripresa dalla contrazione delle vendite successiva alla pandemia nell’area europea, laddove le normative sono più restrittive.
“Si dovranno fare delle scelte”, prosegue Brancale. “Il BEV è una scelta obbligata, l’ibrido a 48 volt e ancor più il plug-in rappresentano un’altrettanto obbligata scelta transitoria. Il diesel, come detto, è destinato all’oblio, il benzina avrà un futuro come unità termica sugli ibridi e ovviamente sui motori ad alte prestazioni. Per questi ultimi l’idrogeno può essere un’alternativa ‘pulita’ come combustibile oppure come reagente in una fuel-cell installata su un veicolo 100% elettrico. Ognuna di queste soluzioni ha dei pro e dei contro che vanno attentamente valutati per non rischiare danni economici che possono essere incalcolabili. Volkswagen, col suo dichiarato viraggio verso l’elettrico ha fatto una scelta a mio parere estremamente coraggiosa”.
Questa lunga e interessante premessa ha portato Brancale ad entrare nel merito dell’attività di AVL in questo settore.
“Il mio auspicio è che, così come nell’heavy duty, il motore a combustione interna non sia una discriminante ma che ci si limiti a valutarne le emissioni, senza considerare la tecnologia applicata. Per far sì che i motori siano davvero puliti bisogna cambiare i combustibili e l’idrogeno in questo può avere un ruolo importante. È in questo contesto che ha preso forma il consorzio H2-ICE, che per capacità e competenze è in grado di conservare i 100 anni di sviluppo meccanico e meccatronico del motore a combustione interna, proteggendo i posti di lavoro acquisiti, abbattendone le emissioni, che in caso di utilizzo di idrogeno verde si riducono all’NOx, capaci di arrivare anche a meno di 100 mg/kWh”.
Dati riferiti a motori di cilindrata >6,5L capaci di funzionare in specifiche condizioni operative. L’idrogeno verde è per definizione quello derivato da un processo elettrochimico alimentato con energia ottenuta da fonti rinnovabili.
AVL Italia per l’automotive
Il contributo che AVL può dare ai Costruttori di automobili abbraccia ovviamente un grande numero di settori nei quali c’è bisogno di innovazione.
Sviluppo componenti, metodologie, sistemi di combustione, riduzione degli attriti, studio dei pacchi batterie e dei sistemi di gestione dell’energia a bordo veicolo: in pratica ogni parte costituente il powertrain è una area di competenza di AVL.
L’azienda austriaca investe ogni anno il 10% del fatturato, ovvero circa 200 milioni di euro, in ricerca e si occupa anche di motori elettrici sia a flusso assiale sia radiale con alte velocità di rotazione e sistemi di assistenza alla guida (ADAS).
Per aggiungere un ulteriore elemento al portafoglio di competenze multi tecnologico, AVL è entrata nel consorzio H2-ICE: “AVL ha da anni impiegato risorse per lo sviluppo delle celle a combustibile alimentate a idrogeno che ancora oggi hanno un limite nella durata, stimata in circa 20.000 ore di funzionamento. Fatta questa premessa, alla AVL abbiamo anche preso coscienza che tutto il mondo sta lavorando alla migrazione delle sorgenti energetiche primarie da fossili a rinnovabili. Ci sarà quindi un forte bisogno di stoccare l’energia generata, che nel caso delle rinnovabili non è costante nel tempo e alterna periodi di alta e bassa produzione. Questo significa che ogni centrale necessiterà di un ‘serbatoio’ di energia che può essere costituito da una riserva di idrogeno verde. Per questo crediamo che con l’avanzare della transizione ecologica l’idrogeno sarà sempre più richiesto. La disponibilità di idrogeno aprirà nuovi orizzonti sul fronte dell’alimentazione dei motori ICE: oggi abbiamo brillantemente superato il limite del rendimento della combustione, che è ormai pari a quello di un combustibile fossile; abbiamo superato i problemi di sicurezza, con nuovi materiali sia per le parti con cui viene a contatto – l’idrogeno è corrosivo – sia per serbatoi, e nuovi componenti sempre più evoluti. Abbiamo anche concrete prospettive di risolvere il terzo problema, ovvero quello della distribuzione: in Italia e in Europa ci sono già dei programmi per creare le cosiddette Gigafactory in grado di produrre grandi quantità di idrogeno. Si sta pianificando di passare da 0 a 6 GWh entro il 2023 e di arrivare a 40 GWh nel 2025. Nel solo 2021 sono nati 228 programmi dedicati all’idrogeno che prevedono finanziamenti per 70 miliardi di dollari. In Italia l’Emilia Romagna rappresenta un hub di riferimento per questo tipo di attività. Ed è in questo territorio che nasce H2-ICE”.
H2-ICE
E’ un’alleanza di imprese volte a creare una supply chain tutta italiana dedicata a promuovere l’utilizzo dell’idrogeno per la trazione di veicoli nel trasporto pubblico.
All’interno di essa c’è Punch Torino, che è in grado di trasformare a idrogeno motori di cilindrata elevata (ora si sta lavorando su un diesel di 6.6 litri); AVL Italia che costituisce una sorta di transfert tecnologico per indicare quali sono i componenti per trasformare i motori e come gestirli;
LandiRenzo, specialista nella componentistica per impianti a gas, che ha sviluppato regolatore di pressione, iniettori e fuel rail specifici; c’è poi l’Industria Italiana Autobus (IIA) che si occuperà dell’installazione di questa soluzione, avendo già esperienza nello sviluppo di autobus elettrici e alimentati a fuel cell; infine TPER (Trasporto Passeggeri Emilia Romagna) che è un tipico gestore della mobilità che opera in Emilia Romagna ma che sarà presto affiancato da altre aziende locali appartenenti ad altre parti d’Italia.
“Il consorzio sarà poi allargato”, aggiunge Brancale, “da altri attori che si occuperanno, tra l’altro, della distribuzione dell’idrogeno, altro tassello fondamentale per completare l’opera”. Oltre a questo, aggiungiamo noi, riteniamo non possa mancare un’azienda produttrice di idrogeno.
Idrogeno anche per i combustibili sintetici
I combustibili sintetici possono essere ottenuti attraverso un processo chimico, il più noto è il Fischer-Tropsch che utilizza idrogeno e monossido di carbonio.
Il processo più sostenibile consiste nella ‘cattura’ della CO2 dall’aria, nella sua reazione con l’idrogeno e nella generazione di un combustibile ecologico che allo scarico emetterà una quantità di CO2 che deve essere però sottratta della quota di CO2 prelevata dall’aria e utilizzata per la reazione. Un bilancio pressoché neutro.
“Nella nostra visione, l’idrogeno potrà essere il combustibile dei grandi motori dei truck e in generale per impieghi heavy duty dove minori sono i vincoli di stoccaggio, mentre i combustibili sintetici, ottenuti comunque con l’idrogeno, saranno quelli più idonei per alimentare le automobili, in cui lo spazio per i serbatoi è limitato. In questo modo si ribadisce la centralità dell’idrogeno nel processo di transizione verso la mobilità a bassissimo impatto ambientale”.
Ma quanto costa?
Anche a quest’ultimo quesito, l’ingegner Brancale ha una opinione precisa: “Oggi il prezzo medio dell’idrogeno è di 13,4 $/kg distribuito. Abbiamo calcolato che affinché le fuel-cell raggiungano la parità di TCO (Total Cost of Ownership) di un motore a combustione interna il prezzo dell’idrogeno deve scendere a 4 €/kg. E’ evidente ci sia molto da fare. AVL sta lavorando a degli elettrolizzatori che possano incrementare del 20% l’efficienza della trasformazione rispetto agli attuali. In numeri significa passare dal 77% all’85% già nel 2023 con una riduzione del costo dell’idrogeno di 0,5-0,6 €/kg. Si devono poi migliorare affidabilità e la durata degli impianti e il loro costo, il cui ammortamento incide ovviamente sul prodotto. Poi ci sono i costi di distribuzione sui quali potranno operare i nuovi partner che aspettiamo in H2-ICE.”
Secondo AVL Italia la risposta deve essere globale
A conclusione di questa interessante chiacchierata emerge ancora una volta come il problema dell’inquinamento e soprattutto della CO2 vada ben oltre le emissioni dagli scarichi delle automobili.
Tutti devono fare la loro parte e oltre alla presa di coscienza politica, che ci si augura superi ogni ideologia che talvolta prende il sopravvento su decisioni ‘storiche’, si affianchi un cambio di mentalità del singolo, dal grande imprenditore al semplice cittadino.
“L’aria inquinata che in questo momento respirano a Pechino, fra qualche giorno, seppur diluita, arriverà da noi”, conclude Dino Brancale. “Per questo non possiamo semplicemente allontanare il problema dalla nostra area vitale ma ci dobbiamo impegnare tutti, in Europa come in Cina, in Africa come negli Stati Uniti ad affrontare con coerenza la transizione energetica che ci aspetta nei prossimi anni”.