Austin Healey 3000: fascino made in England

A Mantova il nome di Gianni Bondavalli è piuttosto noto. Artista dalle tante declinazioni, talvolta provocante ma anche concreto nelle escursioni nell’interior design, ha un debole per le belle auto: “Si ma che siano inglesi, però. L’eleganza, lo stile e le prestazioni ne fanno, per me, capolavori assoluti!”. E’ così dopo che un amico comune ci ha presentati, entriamo subito in sintonia. “Questa è la terza Austin Healey che ho avuto. A fine anni ’70 ho comperato un MkI Frogeye e a fine anni ’80 una 3000 MkII BT7. Questa MkIII è per me la Austin Healey definitiva e per questo l’ho voluta assolutamente perfetta. Ci ho messo anni per recuperare tutti i particolari, anche quelli meno visibili, per renderla assolutamente originale. E ora me la godo!”. Lo sguardo è quello vispo di un ragazzino e l’aspetto quello di un vero gentleman driver inglese. E’ perfetto, con quel cappello tipicamente british, su questa Big Healey con la capote abbassata che mostra con orgoglio i suoi sedili in pelle nera e il cruscotto di legno e mentre solenne il sei cilindri in linea zoppica per accompagnarlo in uno scatto dinamico su un viale che attraversa il Parco del Mincio… “Ho visto questa vettura anni fa sul sito ‘Le più delle Austin Healey in America’ e il caso ha voluto che la stessa vettura, giunta in Europa ed esposta anche al Museo di Budapest, sia stata acquistata da un italiano che dopo averla importata e immatricolata l’ha venduta al sottoscritto”, continua Bondavalli. In vero l’auto non era bellissima; ben verniciata, nascondeva però stucco e vetroresina sotto tre strati di diverso colore. Conoscendo bene questo tipo di vetture, sapevo che sono molto veloci ma arrugginiscono con la stessa velocità, poiché ristagna l’acqua nei lamierati. E poi se non perdono un po’ d’olio non sono inglesi! Ho quindi deciso di smontarla completamente e restaurarla fino all’ultima vite”.

Austin Healey
La calandra a elementi verticali è uno dei segni distintivi di questa vettura.

Sportiva di razza

Vedendo questa vettura, datata 1967, ultimo anno di produzione, mi viene subito in mente la foto della numero 108 targata ARX91B di Hawkins-Makinen alla Targa Florio del 1965, con la calandra parzializzata alle estremità per dare più accesso all’aria di raffreddamento dei due freni a disco anteriori, all’epoca una primizia su una macchina di serie. E poi il giro del Circuito delle Madonie vissuto al fianco di Timo Makinen, un ‘camera car’ inserito in una videocassetta ‘cult’ della Duke Marketing che racconta proprio quella ‘Targa’ e che tengo tra le cose più preziose che ho…

Big Healey
La parte posteriore è piuttosto bassa e per questo l’assetto appare piuttosto ‘seduto’.

In effetti Donald Healey aveva alle spalle una brillante partecipazione a gare di grido, e parliamo di Le Mans e Mille Miglia, fin dall’inizio degli anni ’50, agli albori del rapporto di collaborazione con la Austin, quando il motore sotto il cofano di quella che era chiamata Healey 100 era ancora lo stesso quattro cilindri di 2,6 litri montato sulla Austin A90 Atlantic. Ma facciamo un passo indietro e ripercorriamo la storia che ha portato alla creazione e all’affermazione della Big Healey, la 3000.

Le origini

Donald Healey, dopo aver svolto importanti incarichi tecnici prima della Invicta e poi della Triumph, nel 1946 decise di creare una società che portasse il suo nome e avviò così a Warwick, nell’area dove maggiore era la concentrazione di industrie automobilistiche, la produzione di un paio di modelli dotati del datato motore Riley di 2,5 litri. Parallelamente, però, Healey ottenne dalla Austin un motore quattro cilindri montato sulla Atlantic attorno al quale realizzare una vettura scoperta che potesse in qualche modo reggere il confronto con la Jaguar XK120, ovvero la vettura che aveva rivoluzionato il mondo delle spider inglesi di alte prestazioni. Il prototipo della 100, un numero che evocava le 100 miglia orarie che Healey si proponeva di superare, confermò le aspettative e, forte dello stile disegnato da Gerry Coker, fece bella mostra di sé al Salone di Londra del 1952. Leonard Lord della Austin, azienda che nel frattempo si era fusa con la Morris per formare la BMC, intravide in quella Healey la vettura che poteva rilanciare il marchio nel settore delle auto sportive e convinse il piccolo costruttore di Warwick a siglare un accordo per produrre in serie la 100 col nome Austin Healey.

Austin
Il deflettore che apparirà solo nella MkII.

Il piano industriale prevedeva l’allestimento delle carrozzerie presso la Jensen e quindi il loro trasferimento nello stabilimento Austin di Longbridge per il completamento con la meccanica. Nel 1953 a Longbridge inizia la produzione della Austin Healey 100 che contestualmente trova impiego sportivo, tanto che due vetture vengono iscritte alla Mille Miglia, altre due partecipano alla 24 Ore di Le Mans. Nel 1954 una 100 viene iscritta alla 12 Ore di Sebring per pubblicizzare il modello sul mercato americano, avido di spider europei e inglesi in particolare. Si tratta del prototipo della 100S, una vettura prodotta in serie limitata e destinata alla clientela più sportiva, una versione alleggerita, potenziata (il motore montava una testata Weslake e passava da 90 a 135CV), dotata di un cambio David Brown a quattro rapporti, freni a disco Dunlop su tutte e cerchi a raggi. Le 100S, il cui lancio avvenne al Salone di Earls Court a fine 1954 erano assemblate con grande cura nello stabilimento Healey di Warwick.

Big Healey
Sulla MkIII la plancia fu decisamente più curata che in passato, con la superficie rivestita in legno.

La 100/6

Nel settembre 1956 fu presentata una versione rinnovata della 100, la 100/6 che differiva sostanzialmente per il passo allungato, la creazione di due posti posteriori (invero poco godibili) e soprattutto l’adozione di un nuovo motore BMC C-Series a sei cilindri. Nonostante il maggior frazionamento e la cilindrata di 2,6 litri, il sei cilindri non offriva, almeno nella sua versione iniziale, prestazioni troppo diverse dal vecchio quattro cilindri. Anzi, il motore della 100S gli era addirittura superiore. Per questo Geoffrey Healey insistette affinchè alla Morris si lavorasse per migliorare le prestazioni, che alla fine arrivarono a 102 CV a 4.600 giri/min con un rapporto di compressione di 8,25:1. Nella visione della BMC la 100/6 doveva essere una vettura migliore della 100, ma questo in effetti non fu, tanto che la rivista americana The Autocar rilevò la medesima velocità massima, un’accelerazione inferiore (la vettura pesava oltre 100kg in più) e, come unico vantaggio, un consumo inferiore. Le vendite non furono soddisfacenti e questo spronò la BMC a rivedere la testata del motore (di concezione piuttosto vetusta) per cercare più potenza e coppia. Il risultato fu che dalla fine del 1957, contestualmente al trasferimento della produzione da Longbridge ad Abington, le 100/6 avevano 117 CV a 4.750 giri…

Austin
Anche la parte centrale fu curata esteticamente.

La Big Healey

Tra il 1959 e il 1968 la Austin Healey ebbe il periodo più felice, sia dal punto di vista produttivo (ne furono costruite quasi 43.000) sia sportivo, poiché con l’aumento a tre litri della cilindrata del suo sei cilindri e altre modifiche la ‘Big Healey’ ovvero la Austin Healey 3000, divenne una vera icona tra le vetture sportive inglesi degli anni ’60. Tutto questo grazie innanzitutto all’aumento della cilindrata fino a 2912cc, ottenuto con un nuovo blocco cilindri con alesaggio di 83,36mm anziché 79,4mm (mantenendo la stessa corsa di 88,9mm) e al rapporto di compressione portato a 9,0:1 che hanno consentito di arrivare a 125 CV. A questo fu abbinata una frizione rinforzata e un cambio con rapporti diversi, mentre sulle ruote anteriori comparvero una coppia di dischi freno della Girling. Una novità ma non una primizia, poiché fu la Triumph ad adottare questa soluzione sulla TR3 del 1957 seguita da Jaguar ed MG poco dopo. La nuova vettura mostrava la sua nuova anima semplicemente con l’indicazione della nuova cilindrata. La 3000 fu prodotta nella prima versione fino al 1961, quando fece la comparsa la versione MkII, sostanzialmente uguale tranne alcune modifiche richieste per il mercato nordamericano. Visivamente si potevano apprezzare la nuova calandra a elementi verticali anziché orizzontali, una diversa presa d’aria sul cofano e i marchi identificativi con una nuova grafica. Nel motore c’era qualche cavallo in più (132 CV a 4.750 giri) grazie a una diversa fasatura della distribuzione e all’adozione di tre carburatori SU anziché i due della 100/6, una variante quest’ultima che durerà però per un solo anno, poiché a fronte di un maggior consumo di carburante non corrispondeva un equivalente aumento delle prestazioni.

Il motore alloggiato nel vano. Si noti l’attenzione ai dettagli in fase di restauro.

L’ultima 3000

La Austin Healey si avvicinava ai 10 anni di vita e questa vettura, nonostante le numerose modifiche succedutesi negli anni, segnava un po’ il passo rispetto alla migliore concorrenza, anche perché alcuni difetti di base, come la ridotta altezza da terra e il forte trasferimento di calore dal vano motore all’abitacolo,  non erano stati corretti. Alla BMC sembrò comunque prematuro pensionare la 3000 e infatti, poco più di due anni dopo l’apparizione della MkII, all’inizio del 1964 debuttò l’ultima Big Healey, ovvero la 3000 MkIII. Identica esteriormente, la MkIII aveva una plancia rivestita di legno e la zona centrale sopra il tunnel della trasmissione completamente nuove.

I due carburatori SU HD8 da 2” ciascuno con un filtro per l’aria.

Nel motore le camme ebbero una nuova fasatura (la quarta da quando nacque la 3000) e i due carburatori SU HD8 da 2” furono montati su un nuovo collettore di aspirazione. Nuovo anche il sistema di scarico che risolveva il problema della luce da terra e migliorava le emissioni acustiche, adeguandole alle nuove normative, senza strozzare il motore. C’erano ora due coppie di silenziatori, una sotto la porta sinistra e l’altra sotto il baule, nascosta alla vista dal paraurti. Il motore raggiunse così i 148 CV a 5.250 giri con una sostanziosa coppia fin da poco più di 1.000 giri. Anche la velocità di oltre 120 miglia orarie non si era mai vista su una Austin Healey e il tutto a fronte di un consumo più basso. Raggiunto così l’apice dello sviluppo, la 3000 iniziò una lenta prabola discendente in termini di vendite: 4.900 nel 1964, circa 4.000 nel 1965, poco più di 5.000 nel 1966 e solo 3.000 nel 1967. Nell’autunno di quell’anno la produzione rallentò drasticamente per fermarsi poco prima di Natale. Nel 1968 uscirono da Abington alcuni esemplari assemblati con le parti rimaste e risulta che l’ultima Austin Healey 3000 MkIII sia stata consegnata a fine marzo 1968.

 

Regina dei Rally

Dei successi sportivi delle prime generazioni delle Austin Healey abbiamo già accennato. Vogliamo qui ricordare invece i grandi successi ottenuti del rally dalle vetture ufficiali allestite dalla Casa tra il 1960 e il 1965 nella inconfondibile livrea rossa e bianca, quando queste spider dotate di hard top ottennero numerose vittorie internazionali ottenute da piloti del calibro di Paddy Hopkirk (che avrebbe poi vinto il Rally di Montecarlo nel 1964 con la Mini Cooper), Rauno Aaltonen, Pat Moss (sorella cel celebre Stirling), Timo Makinen e i fratelli Donald ed Erle Morley che forse più degli altri legarono il proprio nome alle Big Healey, nonostante ottennero anche numerosi successi con MGA, MGB e Mini Cooper.

Austin Healey Targa Florio
La famosa Austin Healey 3000 MkIII che partecipò alla Targa Florio del 1965. Tipica la livrea rossa e bianca, adottata anche dalle Mini Cooper ufficiali schierate dalla BMC.