Alfa Romeo: la tecnica del V6 di Giulia e Stelvio Quadrifoglio

Alfa Romeo

Alfa Romeo. Un nome che evoca Milano ma che ha a Modena, in un edificio del tutto anonimo come si conviene a un luogo in cui circolano prototipi e si studiano le soluzioni tecniche del futuro, il centro d’eccellenza dove si sviluppano nuovi prodotti, insieme a quelli Maserati. E’ lì che ci siamo recati per incontrare Gianluca Pivetti, il  tecnico che vanta una lunga esperienza nella progettazione dei motori a benzina di alte prestazioni alla Ferrari e che è stato catapultato, per decisione diretta di Sergio Marchionne, alla ‘rivale’ Maserati per coordinare lo sviluppo di quello che nelle intenzioni del boss italo-canadese doveva essere il fiore all’occhiello delle unità a benzina di FCA.

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Obiettivo centrato in pieno, poiché il V6, accoppiato prima alla Alfa Romeo Giulia e poi alla Alfa Romeo Stelvio, entrambe nell’allestimento Quadrifoglio, è stato accolto con grande entusiasmo dalla stampa specializzata e dai clienti più appassionati che hanno apprezzato questo matrimonio tra uno chassis di elevate prestazioni dinamiche e un motore in grado di portarlo al limite. Un’unione che presentava qualche rischio ma che è perfettamente riuscita e che è stata suggellata dal record sul giro sul tracciato del Nürburgring, un ‘banco prova’ sul quale si misurano in tanti e dove l’eco di un risultato di prestigio fa presto il giro del mondo.

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“Secondo i nostri calcoli”, esordisce Pivetti, con quell’accento emiliano che calza benissimo quando si parla di motori, “il record al Nürburgring sarebbe arrivato con un motore da circa 460 CV. Poi la vettura pian piano è maturata, abbiamo sperimentato una diversa distribuzione dei pesi e migliorando la risposta dinamica abbiamo aumentato la velocità di percorrenza in curva e così che siamo passati a 470, poi a 480 CV e saliti ancora. Devo dire che la struttura reggeva benissimo anche potenze superiori, e così è arrivato il famoso record…”.

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Il V6 di 90° è il layout utilizzato dagli attuali motori di Formula 1. In pratica è come prendere due gruppi tricilindrici (con manovelle sfalsate tra loro di 120°) e unirli in un unico basamento con tre supporti di banco e altrettanti bottoni di manovella su cui sono montate due bielle affiancate.

Entrando nel dettaglio del motore, che ricordiamo è un V6 a 90° biturbo di cilindrata di 2.890 cc che sulla Stelvio Quadrifoglio esprime 510 CV a 6.500 giri/min e una coppia massima di 600 Nm tra i 2.500 e i 5.000 giri, Pivetti inizia a descriverlo puntando direttamente al cuore dei più appassionati: “Siamo partiti dalla stessa configurazione dei V6 di Formula 1. Si tratta di un V di 90° con tre bottoni di manovella sui quali sono montate affiancate tre coppie di bielle. In questo modo, a differenza di un 6 cilindri in linea con accensioni equidistanziate di 120° si ha un ordine di scoppio ‘zoppo’, a 90°-150°-90° e così via, con un’armonica di vibrazione di ordine 1,5. Questa configurazione consente innanzitutto di fare un V6 più corto, e questo è vantaggioso per la sistemazione nel vano motore, poi ogni cilindro su ogni bancata ha gli scoppi regolari intervallati di 240°, e questo genera fasi di scarico all’interno della turbina esattamente equidistanti. Ma questo consente di soddisfare anche un’altra importante esigenza del progetto, ovvero la disattivazione di una bancata di tre cilindri per ottimizzare i consumi e le emissioni in funzione delle esigenze di guida”.

Questa parzializzazione è un punto fondamentale per un motore di altissime prestazioni montato su un mezzo di utilizzo ben più ampio che non una supersportiva. Ma proprio perché in questo segmento di vetture il comfort è una parte importante delle dotazioni, la parzializzazione deve essere fatta in modo assolutamente trasparente verso chi guida. “Questa regolarità di funzionamento di ciascuna bancata ci ha consentito di poter disattivare completamente, in certe condizioni di mappa, quella di destra. E qui torna in ballo il modo di vibrare di ordine 1,5, che è lo stesso di un tre cilindri. Quando passiamo da sei e tre cilindri, poiché l’ordine di vibrazione resta sempre 1,5, la transizione non genera vibrazioni o discontinuità, tant’è che chi guida non se ne accorge”.

Devo dire che Pivetti ha perfettamente ragione: nel test che abbiamo effettuato con la rossa Stelvio Quadrifoglio il passaggio è davvero impercettibile sia nel ‘taglio’ sia nel ‘ripristino’ tanto da non capire quando il dispositivo era azionato o meno, anche perché il software adegua la parzializzazione in funzione della coppia richiesta e quindi gestisca anche un certo ‘pendolamento’ tra le due configurazioni. “Facevamo addirittura le scommesse tra di noi in fase di sviluppo. Io ho in uso una delle prime Stelvio Quadrifoglio, ancora col cambio manuale, sulla quale per capire quando andava a tre o a sei mi sono fatto installare un LED rosso…”. Ovviamente c’è sempre un risvolto della medaglia: “Se da una parte, per completare i pro sotto il cofano batte un cuore che pulsa come un V6 di Formula 1, dall’altra l’ordine 1,5 rispetto a un ordine 3 tipico di un sei cilindri ‘normale’ impone di avere soluzioni tecniche in termini di NVH all’interno della vettura in grado di filtrare queste vibrazioni a bassa frequenza che si iniziano a percepire già a 600-700 giri. Per questo i nostri concorrenti utilizzano tasselli antivibranti attivi che variano lo smorzamento in funzione dell’intensità delle vibrazioni alle varie frequenze. Devo dire che anche poi avevamo previsto l’utilizzo di questo tipo di supporti fin dall’avvio del progetto, ma all’atto pratico non c’è stato bisogno di utilizzarli”.

Pivetti ci fa notare però che le vetture sulle quali è montato questo V6 hanno un’anima sostanzialmente sportiva e che se in futuro si pensasse a un suo utilizzo su una berlina di lusso, un’ammiraglia per intenderci, potrebbe tornare utile l’utilizzo di supporti a smorzamento variabile. Un’altra caratteristica interessante è che i tre cilindri disattivati mantengono le valvole chiuse e, ovviamente, hanno l’iniezione tagliata. Per fare questo sulla bancata destra sono state utilizzate delle punterie idrauliche particolari che tramite un sistema di valvole aumentano la cedevolezza e consentono al bilanciere su cui agisce il profilo della camma di comprimere la punteria lasciando chiusa la relativa valvola.

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Il sottobasamento coi semisupporti di banco e le valvole unidirezionali a lamelle che, come spiegato nel testo, limitano il ‘pompaggio’.

“In pratica, con le valvole chiuse i cilindri comprimono aria, ma questo lavoro di compressione viene restituito, a meno degli attriti, in fase di espansione. Ogni cilindro è in pratica una sorta di molla ad aria…”. Se si continua a mantenere attive le fasi di aspirazione, compressione e scarico, il sistema è meno efficiente, poiché il lavoro speso per aspirare ed espellere i gas non viene recuperato. “Col nostro sistema abbiamo recuperato circa il 7% di fuel economy”, continua Pivetti. “Intendiamoci, è costoso da realizzare, poiché ci sono valvole che controllano la portata dell’olio nelle punterie e una pompa di boost che porta istantaneamente la pressione dell’olio nelle punterie al valore ottimale, senza contare lo sviluppo del software e le implicazioni sulla diagnostica, poiché di fatto andiamo a forzare una condizione di funzionamento che in condizioni normali sarebbe rilevata come anomala. E’ stata una sfida di cui si sa poco, poiché chi prova la vettura va soprattutto a cercare le prestazioni massime, trascurando invece un aspetto che tecnicamente è a mio giudizio altrettanto interessante. Mi fa piacere che Auto Tecnica ne parli”.

Un progetto totalmente nuovo

A tale proposito Pivetti tiene a precisare che questo motore non è, come talvolta è stato scritto, il V8 Ferrari cui sono stati ‘tagliati’ due cilindri, ma che si tratta di un progetto totalmente nuovo che ha ovviamente beneficiato dell’esperienza fatta sui motori Ferrari della serie F154 ma solo per condividerne alcune peculiarità che si sapeva avrebbero funzionato bene: “In realtà le differenze ci sono, a cominciare dall’albero motore, che sul V8 ha le manovelle disposte a 90° mentre qui sono a 120°. Dunque non abbiamo potuto semplicemente ‘segarne’ un pezzo… Chiaro che essendo stato parte attiva del team che ha progettato il V8 Ferrari, quando sono venuto qui non ho dimenticato tutto il mio passato! Le specifiche di partenza sono state condivise con Ferrari per sfruttare le esperienze passate ed abbreviare i costi e i tempi di sviluppo”. Una posizione del tutto comprensibile nell’ottica di una Casa automobilistica come la Alfa Romeo che deve fare profitti. “E poi”, aggiunge Pivetti, “la configurazione a sei cilindri a V di 90° rientra perfettamente nella storia Maserati, che lo aveva utilizzato sulla Merak e poi sulla Biturbo e la Ghibli, che fu anche utilizzata in pista nella Ghibli Cup attorno alla metà degli anni ‘90. E sempre negli anni ’90 l’Alfa Romeo utilizzava un V6 a 90° nel campionato DTM. Detto questo, il basamento è simile a quello del V8 quanto basta per non dover rivalidare le canne e i passaggi dell’acqua, sfruttando geometrie, tecnologie e materiali noti. Anche perché questo motore è stato realizzato in soli 2 anni: io sono stato il primo ad essere ingaggiato in questo progetto, voluto da Sergio Marchionne in persona e attivato nel maggio 2013. Dopo qualche mese mi ha raggiunto Philip Krief, che ora è direttore tecnico in Ferrari, e con lui nel luglio è stato creato il nucleo di una decina di tecnici dedicati a motore e veicolo. Nel 2015 il motore era pronto per essere prodotto”.

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Il basamento adotta canne d’acciaio ‘in umido’, ovvero con la superficie esterna cmpletamente lambita dall’acqua. La tenuta meccanica superiore è effettuata dal colletto e quella idraulica inferiore a tre anelli o-ring.

La parte ‘bassa’

Le misure di alesaggio e corsa sono rimaste le stesse (86,5×82 mm per una cilindrata unitaria di 481,6 cc e complessiva di 2.889,8 cc), cosicché bielle e pistoni sono più o meno simili al V8, anche se è cambiato il fornitore dei pistoni e la segmentatura è diversa. L’albero motore è costituito da un semilavorato in acciaio speciale arricchito di vanadio che presenta una eccellente predisposizione alla successiva nitrurazione. La billetta, che pesa circa 9 chili, viene fucinata e lavorata di macchina utensile, infine i supporti di banco e i perni di manovella vengono nitrurati secondo un processo ben consolidato anche sui motori di Formula 1.

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Un disegno 3D col basamento e il sottobasamento uniti mediante ben 16 prigionieri. Questo garantisce una eccezionale rigidezza dell’insieme, indispensabile per garantire sempre il perfetto allineamento dei supporti sotto i forti carichi indotti dalla coppia sviluppata da questo propulsore.

“Nel nostro caso utilizziamo la nitrurazione gassosa, arrivando ad arricchire e indurire la superficie per una profondità di qualche decimo di millimetro. Anche questa è un’esperienza Ferrari: i competitor normalmente utilizzano la tempra a induzione, che penetra molto meno nel materiale, ma l’esperienza ha dimostrato che per le sollecitazioni dei nostri motori la nitrurazione è la soluzione più valida. Nell’albero motore c’è molto valore aggiunto, specie per le lavorazioni, che includono anche tutti i passaggi per l’olio e soprattutto il trattamento, che richiede tempi lunghi ed elevati controlli di processo. Ogni albero è equilibrato dinamicamente con le false masse, calettando sui perni di manovella il 100% delle masse centrifughe e il 50% di quelle alterne. Normalmente si equilibra la coppia togliendo massa alle mannaie più esterne, quelle che generano maggior coppia. Le bielle sono d’acciaio fucinate con le superfici di accoppiamento del cappello lavorate di macchina e non fratturate. Le viti che tengono i cappelli sono mordenti nel fusto”.

Passando al monoblocco ci si trova di fronte a una struttura estremamente rigida e complessa, costituita da due parti in alluminio pressofuso in conchiglia unite tra loro e che nel punto d’unione creano le sedi per le bronzine di supporto di banco. “Questa per me è la soluzione ottimale per qualunque tipo di motore”, continua Pivetti. “Non è la più economica ma è senza dubbio la migliore. Le canne in acciaio sono installate ‘in umido’ e nel punto più sottile arrivano a soli 2,5 millimetri, con rivestimento della superficie di scorrimento in carburo di silicio, secondo una soluzione tipicamente Ferrari. In questo modo la canna rimane sempre flottante e cilindrica con limitato effetto blow-by e ridotto consumo d’olio. Le bronzine hanno una base di alluminio con uno strato di argento e infine uno di bismuto, che è andato a sostituire il piombo, il cui uso è proibito, che aveva la bella caratteristica di rimanere stabile fino a temperature dell’ordine di 300°, quando nel meato l’olio raggiunge tipicamente circa 180°. Per questi componenti siamo ricorsi a un fornitore giapponese specializzato in questo tipo di componenti”.

Come detto, il basamento superiore reca i mezzi supporti di banco che, dopo aver montato l’albero, vengono completati quando si unisce il sottobasamento integrale che va a completare la struttura, creando un insieme di eccezionale resistenza strutturale. “Questa soluzione è decisamente migliore rispetto a quella coi cappellotti che nei motori ad alte prestazioni non sono sufficientemente rigidi e tendono a seguire le deformazioni flessionali dell’albero motore, compromettendo la corretta dimensione del meato e pregiudicando la lubrificazione. In pratica è quasi come avere un insieme monolitico”.

Nel sottobasamento sono state inserite tre valvole unidirezionali a lamella che evitano che nella corsa ascendente i pistoni aspirino aria dalla coppa mentre favoriscono lo scarico della pressione generata nella fase discendente. In questo modo la parte sotto il pistone è costantemente in depressione al punto che quando il pistone supera il punto morto viene ‘risucchiato’ verso il basso, generando una spinta positiva per il lavoro utile. Oltre a questo, la coppa viene isolata dalla camera di manovella. “Una soluzione motociclistica che in Ferrari avevo applicato anche sui V12…”, precisa Pivetti. La coppa, anch’essa in alluminio pressofuso, chiude il basamento e ingloba una serie di paratie antisbattimento.

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Alla lubrificazione provvede una pompa a palette a portata variabile. In pratica vengono garantite due portate, variando la posizione eccentrica del rotore rispetto allo statore.

La pompa dell’olio, a palette, è definita a portata variabile, ma di fatto genera due portate a seconda della posizione del rotore rispetto allo statore e di conseguenza la cilindrata della pompa. “La pressione può essere 1,5 o 4,1 bar”, precisa Pivetti. “A bassa pressione abbiamo dei vantaggi in termini di fuel economy. La pompa a palette ha un rendimento eccezionale”. Al centro del V, dove c’è spazio in abbondanza, è stato sistemato uno scambiatore a piastre acqua-olio. Il suo comando, a catena, è derivato con rapporto 1:1 da un pignone calettato sull’albero motore.

La parte ‘alta’

La testata è anch’essa un componente completamente nuovo, anche se ovviamente alcuni legami con l’esperienza Ferrari ci sono, a partire dall’angolo incluso tra le valvole pari a 40° (rispetto alla verticale 19° per l’aspirazione e 21° per lo scarico). Il diametro del fungo è di 32,7 mm per l’aspirazione e 29,6 mm per lo scarico (misurati convenzionalmente sulla metà dello smusso a 45° di tenuta), mentre le alzate sono differenziate per le due bancate: per l’aspirazione della destra 9,48 mm e per la sinistra 9,254 mm; per lo scarico della destra 9,644 mm e per la sinistra 9,425 mm.

Le sedi sono in materiale sinterizzato con base cobalto. La distribuzione è bialbero con quattro valvole per cilindro il cui azionamento avviene tramite un bilanciere che ha una estremità che poggia sul fungo della valvola e l’altro su una punteria idraulica. Il punto di contatto tra il profilo della camma e il bilanciere è provvisto di un cuscinetto a sfere per ridurre gli attriti e l’usura.

Sulla bancata di destra, quella che può venire esclusa, la punteria idraulica è del tipo ‘collassabile’ ovvero c’è un sistema di molle che, quando il circuito idraulico non è in pressione diventa più cedevole della molla valvola e fa quindi si che il bilanciere la vada a comprimere, lasciando la valvola chiusa.

La distribuzione è comandata da due catene, una per bancata, del tipo a un solo rango di rullini che non richiedono alcuna manutenzione. “La parzializzazione della bancata di destra ci ha posto il problema se mandare o meno l’olio in pressione ai supporti dell’albero della turbina”, continua Pivetti. “In questo caso, essendo le valvole di scarico chiuse, non c’è flusso di gas e la turbina è ferma, o gira pianissimo. Essendo che le tenute sono dinamiche c’era il pericolo di fuga d’olio verso lo scarico, con problemi di inquinamento. Per questo abbiamo aggiunto un’elettrovalvola che intercetta il flusso d’olio verso la turbina ferma. Come si vede il sistema è piuttosto complesso e, tornando a quanto detto prima, definirlo un V8 Ferrari senza due cilindri mi sembra un po’ limitativo…”.

Il V6 Alfa Romeo ha un suono inconfondibile e ammaliante, per il vero appassionato. La parzializzazione, essendo che lo scarico delle due bancate corre separato fino al silenziatore finale, poteva dar luogo a un suono asimmetrico, uscente solo dai terminali di sinistra: “In realtà abbiamo fatto una compensazione continua all’interno del silenziatore terminale, dove convergono le due linee di scarico aprendo, chiudendo dei setti a seconda che il motore giri a tre o a sei cilindri, in modo da equilibrare le uscite. Parlando invece di intensità del sound di scarico, quando si posiziona la modalità di guida in Race si attivano delle valvole nel terminale che bypassano i gas verso un percorso più libero, evitando il passaggio nel volume silenziato. In pratica in condizioni normali i gas di scarico escono dai due terminali più interni, in Race dagli esterni”.

Il giro acqua all’interno delle testate è in trasversale: la portata primaria di acqua sale dal basamento dopo aver lambito e raffreddato le canne, una parte entra nella testata dal lato dello scarico, la attraversa dirigendosi verso l’aspirazione e quindi si ricongiunge al flusso primario per ritornare allo scambiatore. In questo modo viene garantita la medesima condizione termica di tutti i cilindri. Anche il raffreddamento delle turbine avviene tramite acqua spillata dal circuito primario.

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Uno schema coi passaggi del’acqua di raffreddamento.

La camera di scoppio segue ovviamente l’esperienza Ferrari, col cielo dei pistoni lavorato sia per creare spazio al movimento delle valvole sia per creare una sacca decentrata che consente di favorire, a partire dal punto di iniezione, un innesco della turbolenza utile per la combustione. La pressione di iniezione è attualmente di 200 bar, ma è previsto in futuro di incrementarlo fino a 350 bar.

I condotti sono singoli e si sdoppiano in prossimità delle valvole. “Anche se la doppia accensione è una delle tipicità dei motori Alfa Romeo con questa configurazione di camera di scoppio con iniettore laterale una sola candela centrale è ideale”, conclude Pivetti. “Per quanto riguarda la turbolenza, il moto principale è quello di thumble, come ci ha insegnato la Cosworth, che però deve essere ben calibrato per non incorrere in cali di rendimento dovuti allo spegnimento del nucleo della fiamma e combustione irregolare. E’ un equilibrio che si raggiunge sperimentalmente in funzione di valvole, angoli, portate, dimensioni…”. All’estremità di ciascuno albero a camme, lato catena, sono calettati i variatori di fase idraulici. La ECU è una Bosch Motronic MED 17.3.5. I due gruppi turbocompressori sono forniti da IHI, sono raffreddati ad acqua, lubrificati con olio in pressione e hanno la valvola waste-gate comandata a depressione ma è in corso di validazione l’utilizzo della waste-gate comandata elettricamente. L’aria è compressa a circa 1,4 bar relativi e prima di essere immessa all’aspirazione viene raffreddata da intercooler alimentati da un circuito secondario di acqua dotato di pompa dedicata. Il motore pesa 218 kg.

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Le curve caratteristiche di potenza e coppia. Quest’ultima è pressoché costante (e corposa) dai 2.500 ai 5.000 giri.

Concludiamo così questa breve ma dettagliata descrizione del V6 ringraziando l’ingegner Pivetti per la ‘lezione’ motoristica e ricordando che questo V6 rappresenta il motore più sofisticato uscito dal famoso progetto ‘Giorgio’, nato per rilanciare il brand Alfa Romeo e che ha generato la famiglia delle berline Giulia e dei SUV Stelvio.