Alfa Romeo Giulietta 1300 Sprint Veloce. Autostoriche, che passione. Guardandole si resta immediatamente rapiti dal loro fascino. Perché non c’è dubbio che le automobili d’epoca, sia da competizione che stradali, utilitarie o di lusso per non parlare delle sportive, possano vantare una inconfondibile personalità che le distingue in modo netto dalle concorrenti. Un esempio lampante è rappresentato dall’Alfa Romeo, che per rilanciare il proprio marchio ha ripreso, dalla 156 in poi, le linee tondeggianti ed i noti stilemi che dal dopoguerra in poi avevano firmato in modo inequivocabile ogni vettura del Biscione facendone l’oggetto del desiderio di ogni giovanotto dell’epoca. Infatti, se è vero che l’Italia si è motorizzata con le piccole di casa Fiat, potendo dare sfogo anche alla propria passione per le corse con le versioni “abartizzate” della 500 e 600, perché allora bastava cambiare gomme e candele e dipingere i numeri sulle portiere per schierarsi al via di una gara (per lo più su strada o in salita perché i circuiti erano ancora rari), non c’è dubbio che chi disponeva di qualche liretta in più puntasse sulle sportive per eccellenza: le Alfa Romeo. Vetture talmente evolute per l’epoca da rappresentare un punto di riferimento per tutti gli altri Costruttori. E tra i modelli di vetture del biscione che hanno lanciato la Casa milanese nell’automobilismo di massa e fatto crescere un gran numero di piloti spicca un nome: Giulietta, poi replicato in varie versioni, tutte ugualmente affascinanti e interessanti, che andremo a presentare in varie puntate, come una sorta di saga. Cominciando dalla 1300 Sprint Veloce, perché fin dall’inizio la storia di questo modello è stata particolare.
Nata in emergenza
Lo sviluppo economico del dopoguerra e il conseguente fenomeno della motorizzazione di massa impose alle industrie automobilistiche un cambio di marcia, con il passaggio da un’organizzazione artigianale a industriale, per soddisfare le
maggiori richieste del mercato. Per l’Alfa Romeo questo delicato passaggio coincise con la fase di progettazione del modello Giulietta, internamente denominato “Tipo 750”, varato dalla Casa milanese per potersi affacciare al segmento di mercato delle automobili di grande serie. Infatti, fino al modello 1900 le officine del Portello con il sistema artigianale erano in grado di produrre una ventina di vetture al giorno, mentre con la Giulietta si trattava di passare alla cosiddetta “motorizzazione di massa”, con una produzione giornaliera di 200 esemplari. Per assolvere un compito così impegnativo fu ingaggiato l’ingegnere austriaco Rudolf Hruska, che aveva già seguito l’industrializzazione della VW “Maggiolino” a fianco di Ferdinand Porsche. Per sostenere i costi di una tale riconversione industriale l’azienda avviò una sottoscrizione pubblica di capitali, attraverso l’emissione di cartelle fondiarie dell’IRI, allettando i risparmiatori all’investimento con una lotteria che dal gennaio 1955 prevedeva l’estrazione mensile di una vettura. Oltre a quello di Hruska, che si occupava delle linee di produzione, altri due gruppi di lavoro si occuparono rispettivamente della progettazione del motore e della parte meccanica e telaistica, mentre il centro stile tracciava le linee della carrozzeria sia della berlina che della coupè. Il progetto procedette speditamente e nei primi mesi del 1953 furono realizzati i primi prototipi della Giulietta da provare su strada. I risultati in termini di prestazioni e dinamica della vettura furono subito entusiasmanti, ma una grave pecca era rappresentata dalla rumorosità all’interno dell’abitacolo, che non si riuscì a risolvere completamente nonostante numerose modifiche. Questo rappresentava un grosso problema, perché oltre a non poter procedere con l’assemblaggio delle vetture non si potevano neppure definire le specifiche dei contratti con i fornitori esterni. Il che rischiava di far saltare l’appuntamento con il previsto debutto della nuova vettura al Salone di Torino 1954, con grave danno dell’immagine dell’azienda, a quel tempo statale. Allora Hruska propose ai dirigenti dell’azienda di presentare prima il modello coupè, per il quale la rumorosità nell’abitacolo sarebbe stata maggiormente tollerata se non addirittura gradita dalla clientela, facendo realizzare le vetture presso carrozzieri esterni mentre in azienda si sarebbe guadagnato tempo per risolvere il problema sulla berlina. Il piano non piaceva alla dirigenza, ma visto che il tempo stringeva fu l’allora presidente Giuseppe Luraghi ad avvallare questa sceltaEvoluzione della specie
Progettazione e sviluppo della Coupè erano stati portati avanti congiuntamente alla berlina e il prototipo della futura Giulietta firmato da Giuseppe Scarnati, poi divenuto celebre come “brutto anatroccolo”, aveva già superato le prove su strada. Ma la mancanza della necessaria capacità produttiva delle carrozzerie Zagato e Touring spinse il responsabile del progetto, Rudolf Hruska, a rivolgersi a Mario Boano, responsabile della Ghia, e a Nuccio Bertone. Per affinare le linee della nuova vettura furono chiamati anche Giovanni Michelotti, Franco Scaglione e Giorgetto Giugiaro, che apportarono numerose modifiche rendendo l’insieme equilibrato pur senza stravolgerne l’impostazione di base. Al Salone di Torino 1954 debuttarono due prototipi leggermente diversi tra loro denominati Giulietta Sprint, con motore a carburatore doppio corpo da 65 cv per una velocità max di 160 km/h. Il successo del nuovo modello fu immediato, tanto che già nel solo primo giorno di esposizione vennero superati i 500 ordini, che equivalevano alla preventivata produzione annuale del modello coupè. Ma i problemi non erano finiti: Boano abbandonò la Ghia che si ritirò dal progetto. Questo fu salvato da Bertone, che per fare fronte alle commesse dovette subappaltare il lavoro di realizzazione delle parti di carrozzeria a piccole aziende del torinese che avevano all’interno abili battilastra. Una sorta di scommessa vinta dal carrozziere torinese, tanto che alla fine del ciclo di vita della Giulietta Sprint, nel 1965, le carrozzerie battute e saldate a mano furono ben 6.000. Infatti non è raro trovare piccole differenze, proprie delle realizzazioni artigiane, nelle vetture che fanno parte della prima serie di Giulietta Sprint. Nel 1956 arrivò la versione “Veloce”, che oltre a diversi alleggerimenti vantava un propulsore con due carburatori Weber doppio corpo, che portava la potenza a 90 cv e la velocità massima a 180 km/h. Caratteristiche che ne facero una sportiva di successo nelle competizioni, presentando come biglietto da visita i primi tre posti di categoria alla Mille Miglia di quell’anno, ai danni delle Porsche 356. Ma questo è solo un inizio che porterà a successive evoluzioni sportive, tra cui la SVZ (Sprint Veloce Zagato), SS (Sprint Speciale), SZ (Sprint Zagato), fino ad arrivare alla SZ Coda Tronca, realizzata in pochi esemplari.
Predestinata
La Sprint Veloce del nostro servizio è stata “recuperata” in Svizzera poco meno di trent’anni fa ed entrando a far parte della Scuderia del Portello il suo futuro fu immediatamente segnato: sarebbe diventata una vettura da corsa. E non per gare qualsiasi, perché il suo primo impegno fu la Carrera Panamericana del 1991. Il particolare regolamento della maratona sudamericana consentiva alcune importanti modifiche: aumento della cilindrata del 30%, freni a disco anteriori, cambio a cinque rapporti e autobloccante. In quella configurazione, la vettura del Portello si fece onore, occupando la piazza d’onore di categoria fino all’ultimo giorno, quando fu fermata da un problema meccanico. Quindi la “Veloce” è stata riportata nella configurazione conforme al regolamento tecnico internazionale per le competizioni di auto storiche, con le cui ha partecipato a numerose gare ottenendo risultati di prestigio.
Rinforzata
La “nostra” Sprint Veloce 1.3 è una seconda serie, del 1961, che si differenzia dalla precedente per le griglie anteriori più ampie, i fanalini posteriori leggermente più alti, i finestrini che sulla versione stradale avevano movimento verticale mentre su quella da corsa sono ancora scorrevoli orizzontali e, soprattutto, per le portiere e cofani in alluminio. Data la destinazione, la vettura è stata completamente smontata, separando la parte meccanica dalla scocca che è stata sabbiata per arrivare alla lamiera viva in modo tale da verificarne lo stato. Per poter contare su una struttura solida, i lamierati dei pianali e dei longherono sono stati sostituiti e rinforzati con l’inserimento di barre longitudinali che vanno a collegarsi sulle piastre, saldate, sulle quali è fissata, imbullonata come da regolamento, la gabbia di sicurezza. Sei i punti di fissaggio, in corrispondenza dei montanti A e B e sui passaruota posteriori.
In curva fa la dura
Il regolamento tecnico per le vetture Turismo Periodo E (riferito all’anno 1961) impone l’utilizzo della meccanica originale, tranne per le modifiche concesse per il motore e per l’assetto, consentendo anche, in caso di impossibilità a reperire i pezzi di ricambio, l’utilizzo di particolari realizzati ex novo purché mantengano le stesse caratteristiche di quelli originali. Per quanto riguarda le sospensioni, la Giulietta Sprint Veloce può contare su una buona precisione di assetto di base garantita dai punti di ancoraggio dei triangoli inferiori della sospensione anteriore con boccole metalliche, mentre gli altri elementi elastici di fissaggio, compresi i supporti motore, sono in gomma un poco più dura dell’originale. E’ invece consentita, come del resto avveniva all’epoca, la sostituzione degli ammortizzatori, purché simili come tipologia a quelli dell’epoca, di molle più rigide e della barra antirollio anteriore. Nello specifico, sono stati montati ammortizzatori Koni racing, con regolazione in estensione.
Tasselli metallici
Uno dei punti deboli sulle autostoriche, soprattutto in funzione di prestazioni incrementate e nell’utilizzo in pista, è certamente rappresentato dai freni a tamburo, che messi sotto stress tendono a surriscaldarsi, perdendo efficacia ma anche causando fenomeni di ovalizzazione dei tamburi che causano fastidiose vibrazioni e una frenata sbilanciata con la vettura che tende a deviare da un lato. Per ovviare a questi inconvenienti, i tecnici della Scuderia del Portello hanno fatto realizzare, come del resto si faceva all’epoca, degli speciali pattini dei freni con due inserti in lega metallica inseriti lungo la fascia del materiale d’attrito, peraltro di mescola che offre maggiore “mordente”, che hanno il duplice compito di evitare l’usura anomala del materiale e di mantenere la “centratura” di tutto l’insieme lavorando a contatto con la pista del tamburo come una sorta di rettifica. Questo sistema, centrato su un apposito tornio prima di essere montato sulla vettura, limita anche al minimo l’intervento sui classici registri. Per il resto l’impianto frenante deve mantenere i componenti di serie, dalla pompa ai pistoncini fino ai tamburi, che tra anteriore e posteriore presentano differenze sia nelle dimensioni sia nelle alettature, longitudinali al posteriore e oblique all’anteriore per favorire la ventilazione.
“Veloce” di fatto
Innanzitutto, va specificato che il quattro cilindri 1.3 della Sprint Veloce della Scuderia del Portello è stato preparato dal compianto Angelo Chiapparini, uno dei maggiori specialisti di motori da corsa Alfa Romeo, come evidenzia il suo “marchio di fabbrica”: il coperchio delle punterie di colore azzurro. Una preparazione non estrema, perché oltre all’utilizzo in pista la vettura è stata concepita fin dall’inizio anche per le competizioni su strada, quindi doveva mantenere una buona guidabilità anche in condizioni di traffico. Il tecnico milanese ha alleggerito e bilanciato albero motore e volano, sostituito i pistoni con altri in grado di assicurare maggiore compressione, mentre le bielle sono rimaste originali alleggerite e bilanciate, e allo stesso tempo lavorato camere di scoppio e valvole, che però per regolamento devono mantenere le dimensioni originali, fatto realizzare alberi a camme dal profilo più spinto, lucidati e raccordati i condotti. I collettori devono rimanere originali, e in questo la “Veloce” è agevolata dal fatto di avere già di serie collettori di scarico singoli, che poi convergono in un doppio tubo fino ad un unico terminale, libero, con silenziatore finale. I carburatori doppio corpo Weber da 40 mm, originali, sono stati ovviamente revisionati e adeguati all’impiego in competizione con l’adozione di getti e spilli di dimensioni maggiori, così com’è stato adeguato il livello del galleggiante e asportati cassa e filtro aria sostituiti da cornetti di aspirazione. Il regolamento impone il mantenimento del radiatore liquido originale, mentre per mantenere le temperature di esercizio entro livelli idonei è stato aggiunto un radiatore olio motore, con i tubi di andata e ritorno che partono dalla base del filtro olio, passando per lo stesso anch’esso maggiorato e spostato più in alto. Dato che per l’utilizzo in pista il raffreddamento del radiatore è assicurato dal flusso d’aria, le pale della ventola di raffreddamento, trascinata dalla cinghia, sono state accorciate in modo tale da offrire minore resistenza. Dopo le cure di Chiapparini, il bialbero milanese eroga una potenza massima di 120 cv a 6.800 giri/min, tirando una rotazione massima “utile” di 7.200 giri/min, che unita a un rapporto al ponte 9/41 si traduce in una velocità che supera i 200 km/h. Insomma, una Giulietta “veloce” anche di fatto. Gli organi della trasmissione devono, invece, restare originali: perciò cambio originale a quattro rapporti, così come il differenziale senza autobloccante, mentre è possibile cambiare il rapporto al ponte, con tre scelte possibili. Originale anche il gruppo frizione, tranne il disco in rame, l’albero di trasmissione ed i semiassi.