
Nella seconda metà degli anni Sessanta l’Alfa Romeo vantava un catalogo con una completa e apprezzata gamma di modelli che basati sulla meccanica della Giulia, nata nel 1962 dall’evoluzione della mitica Giulietta, coprivano più segmenti di mercato. La berlina medio alta era ben rappresentata dalla Giulia con motorizzazioni e allestimenti che andavano dalla più spartana TI 1300 alla più ricercata e prestazionale Super 1600; la versione coupé, complici i primi di una lunga serie di successi nelle corse con le GTA, spopolava con la GT e anche la nicchia delle spider risultava ben rappresentata da un modello, il celebre Duetto, che non faticò, a prendere il posto della fortunatissima e rimpianta Giulietta Spider nel cuore degli Alfisti.
Nel segmento di alta gamma, che in quel tempo era dominio di Mercedes e Jaguar, la Casa di Arese si affidava ancora alla gamma 2000/2600, oramai obsoleta nelle linee e superata nella meccanica. Nacque così l’esigenza di coprire una quota di mercato che in quegli anni stava diventando piuttosto interessante in termini di domanda. Nell’intento di conciliare le necessità con le risorse a disposizione, la dirigenza Alfa Romeo, guidata da Giuseppe Luraghi, decise quindi di puntare su un modello che utilizzasse i collaudati autotelai Giulia che, opportunamente modificati nell’estetica e adattati ad accogliere motorizzazioni più potenti, fossero compatibili con le nuove linee di produzione allestite nello stabilimento di Arese.

e parafango anteriore. Si noti la curvatura
del parabrezza, come sulla Giulia, per
estendere la visibilità e lo specchietto
retrovisore, ricambio originale Alfa.
Fu così che il 17 gennaio 1968 venne presentata ufficialmente al pubblico la 1750 berlina. La denominazione, che inizialmente si pensava potesse essere Giulia 1800, voleva invece rinverdire gli antichi fasti della gloriosa 6C 1750 che, nella versione Gran Sport Zagato Spider, fu condotta vittoriosa alla Mille Miglia del 1930 pilotata dal mito del volante Tazio Nuvolari. La stretta parentela con la Giulia risultava piuttosto evidente; il pianale era lo stesso, solo col passo aumentato di 6 centimetri, la carrozzeria, disegnata da Bertone, appariva più imponente potendo guadagnare, grazie ai maggiorati sbalzi anteriore e posteriore, quei 25 centimetri in più che le permettevano di aspirare a un segmento superiore, pur mantenendo un’impronta sportiva, come il marchio imponeva, inserita in un contesto di linee sobrie ed eleganti. Elevati erano gli standard di sicurezza, con la scocca autoportante e la struttura differenziata a deformazione progressiva; l’abitacolo era quello di una vera ammiraglia, con sedili ben profilati ed avvolgenti e la strumentazione completa di tutte le indicazioni necessarie. Lo schema meccanico riprendeva in toto quello della Giulia, con il blocco motore-cambio posto longitudinalmente e la trazione posteriore. Alcune migliorie furono apportate al gruppo frizione, ora ad azionamento idraulico, all’impianto elettrico alimentato da un alternatore al posto della dinamo, alla sicurezza attiva con l’aggiunta di una valvola di ripartizione della frenata per impedire bloccaggi sull’asse posteriore e un miglioramento generale dell’assetto con centri di rollio abbassati e ruote da 14’’. Il motore era stato portato da 1570 cc a 1750 cc e a una potenza di 118 CV, che permettevano una velocità massima di oltre 180 km/h. Il prezzo di vendita al momento del lancio era di 1.950.000 lire.
Nel novembre del 1969 venne fatto un leggero aggiornamento del modello con l’introduzione di quella che comunemente viene definita ‘seconda serie’ ma che in realtà racchiude piccoli ammodernamenti estetici, come lo spostamento degli indicatori di direzione anteriori e modifiche funzionali come la nuova pedaliera incernierata in alto. Anche il volante fu modificato e impreziosito con la corona in legno mentre gli interni ebbero un livello di finitura superiore.

sportivo con i quattro proiettori allo iodio
di eguali dimensioni rispetto alla 1750.
Un restyling più sostanziale arrivò nel 1971 con la presentazione a Gardone Riviera della nuova gamma 2000. Il motore, portato alla cilindrata di due litri, come la concorrenza nazionale, vedi Lancia, e quella estera, vedi BMW, imponevano, erogava una potenza massima di 132 CV che consentivano una velocità di punta di oltre 190 km/h. La potenza considerevole e l’impostazione sportiva della berlina di Arese imposero di dotare l’autovettura di un differenziale autobloccante al 25% costruito dalla tedesca ZF, un accessorio di cui già sulla pur meno potente 1750 si sentiva la mancanza.

abbinamento al colore grigio medio
metallizzato erano in tessuto blu, come
la selleria, in alternativa alla similpelle
Texalfa.
Nonostante la stretta parentela con il modello precedente, la 2000 ricevette una miriade di piccole modifiche volte ad aumentare il comfort, pur senza mortificarne la sportività , nel tentativo di rendere questo modello adatto a una fascia sempre più vasta di acquirenti; gli interni vennero migliorati nella conformazione dei sedili, ora dotati di appoggiatesta;

veniva posto dalla fabbrica come
promemoria di tutti i lubrificanti da
utilizzare per l’uso e la manutenzione
dell’autovettura.
nuove sellerie e rivestimenti in moquette conferirono un contesto più lussuoso e all’altezza della concorrenza; la strumentazione venne ammodernata con una grafica nuova, ricercata grafica e impreziosita dalla regolazione della luminosità ; gli accessori comprendevano il lunotto termico, la vernice metallizzata, i cerchi in lega ‘millerighe’ e, cosa impensabile per un’Alfa Romeo di quel periodo, anche l’impianto di aria condizionata, fornito dalla Veglia Borletti, e il cambio automatico a 3 rapporti di provenienza ZF.
All’esterno le modifiche furono di lieve entità e mantennero quindi pressoché invariate le linee formali; il frontale aveva una nuova calandra con una sola barra cromata e uno scudo più ampio; i quattro fari, allo iodio, erano tutti dello stesso diametro; le luci posteriori erano più ampie e furono introdotte le luci di cortesia per le portiere aperte.

testata del celebre motore ‘bialbero’ vero
vanto tecnico della Casa del Biscione .
Nella primavera del 1975 venne adottata l’accensione elettronica a scarica induttiva che migliorò sia gli avviamenti sia l’erogazione del brillante quattro cilindri bialbero rendendolo così meno nervoso che nella versione precedente, anche se a scapito di una impercettibile diminuzione della potenza, scesa a 128 CV; gli interni vennero ulteriormente arricchiti con l’aggiunta degli appoggiatesta posteriori.

che in questo caso sono i performanti
Dell’Orto. In alternativa la casa di Arese
poteva montare anche gli analoghi Solex
o Weber.
La vettura così conformata rimase in produzione fino alla fine del 1976 uscendo definitivamente dai listini nei primi mesi del 1977, quando il prezzo era arrivato a superare, complice l’inflazione galoppante di quegli anni, i cinque milioni di lire.

La concorrenza interna della più moderna Alfetta, che aveva visto la luce nel 1972, accelerò il processo di invecchiamento di questo modello che può definirsi, a pieno titolo, l’ultimo avamposto della berlina Alfa Romeo su schema Giulia con motore-cambio in blocco. Le caratteristiche di maneggevolezza e la precisione del cambio regalano sensazioni che i puristi ancora oggi apprezzano con grande nostalgia. Lo schema transaxle, introdotto con l’Alfetta, migliorò notevolmente la già ottima tenuta di strada della Giulia e delle sue derivate ma andò a scapito della manovrabilità del cambio, peculiarità che ha reso famose le vetture di Arese dagli anni Cinquanta e Sessanta a oggi.
(Testo Alessandro Cerruti – Foto Franco Daudo)
