La storia e l’evoluzione dell’aerodinamica applicata ai veicoli ed i fenomeni fisici che regolano la generazione delle forze.
Lo scopo di questa trattazione, divisa in tre articoli, è quello di fornire al lettore una panoramica più completa possibile sulle nozioni aerodinamiche legate al mondo dei veicoli.
In questo articolo, dopo alcuni cenni storici sulla nascita e sui passaggi chiave dello sviluppo dell’aerodinamica dei veicoli da corsa, si analizzeranno le leggi fisiche di base, come il principio di Bernoulli e il fenomeno dello strato limite.
Nella seconda parte saranno presi in esame i profili alari applicati ai veicoli, vere e proprie ali rovesciate, molto efficienti nella generazione della deportanza.
Infine, nella terza parte, si descriveranno le appendici aerodinamiche, come gli spoiler e gli splitter, lo studio dei flussi sul corpo vettura e nel sottoscocca e i sistemi di aerodinamica attiva.
Si premette che per rendere più chiara la narrazione, durante la descrizione di alcuni fenomeni fisici complessi verranno fatte alcune semplificazioni.
INTRODUZIONE
La forza verticale che grava sullo pneumatico ha un ruolo predominante per la generazione delle forze scambiate con il terreno: l’incremento di tale forza aumenta contemporaneamente l’aderenza trasversale, la trazione e la frenata del veicolo.
Banalmente, al fine di aumentare la forza verticale che agisce sullo pneumatico si potrebbe pensare di incrementare la massa della vettura (da qui la concezione comune errata che un’automobile pesante sia più stabile), invece questa modifica aumenterebbe in percentuale maggiore le forze necessarie per accelerare e frenare e peggiorerebbe inoltre le caratteristiche di aderenza e manovrabilità.
L’utilizzo di una forza aerodinamica invece, senza interessare in maniera sensibile il peso complessivo dell’auto, può generare forti carichi verticali diretti verso il basso, migliorando così la tenuta di strada.
Le forze aerodinamiche, nell’ipotesi di assenza di vento, per un veicolo assumono valori non trascurabili soltanto a velocità superiori a circa 80÷100 km/h.
Le auto da corsa, ed in particolare la Formula 1, sono da sempre il miglior banco prova per testare le soluzioni aerodinamiche, anche se sono notevolmente limitate da regolamenti tecnici stringenti.
Le nozioni apprese dalla ricerca sperimentale in pista sono poi di enorme importanza per le vetture di produzione, per le quali si cercano accorgimenti nella modellazione della sagoma dell’auto e del sottoscocca, al fine di ridurre i consumi di carburante e di limitare l’effetto portante, dannoso per la stabilità dell’auto alle alte velocità.
Nel segmento delle supersportive invece, è facile trovare applicazioni più estreme, come profili alari, spoiler, diffusori e sistemi di aerodinamica attiva, proprio come avviene nelle vetture da gara.
LA SCOPERTA DELLA DEPORTANZA
La prima volta che una forza aerodinamica fu notata su una vettura fu da parte del team di sviluppo di Daimler-Benz, durante i tentativi di superamento del record di velocità in Germania nel periodo dal 1936 al 1939.
Per questi test di velocità Daimler aveva sviluppato un corpo vettura chiuso ed affusolato: a velocità superiori ai 320 km/h i collaudatori osservarono che il muso dell’auto si sollevava, riducendo la sensibilità dello sterzo.
Più avanti, per rimediare a questi inconvenienti, sia all’anteriore e al posteriore, furono sviluppati primitive paratie e spoiler, ma essi erano solamente pensati per ridurre il sollevamento della vettura alle alte velocità.
Toccò all’innovativo genio di Frank Winchell e alla sua Chevrolet/Chaparral capire quanto benefica fosse l’aggiunta di una sostanziale deportanza aerodinamica (cioè la forza verticale diretta verso il basso) sulle ruote.
La prima apparizione di un’ala su un veicolo fu dunque sulla Chaparral Can-Am 2E del 1966, che montava una grande ala sopra le ruote posteriori; un’ala del tutto simile a quelle aeronautiche ma con un profilo rovesciato per generare una forza risultante verso il basso.
La configurazione prevedeva le seguenti caratteristiche peculiari: un posizionamento molto in alto dell’ala, in modo da farla scorrere in un flusso d’aria non disturbato, il controllo dell’angolo di attacco da parte del pilota e l’applicazione diretta del carico sui supporti delle ruote posteriori (tutte soluzioni vietate dalla FIA a partire dal 1969).
Nel 1970 la Chaparral 2J, con motore Chevrolet da 760 cavalli di potenza, era caratterizzata da un modo curioso di ottenere deportanza. Consisteva nel ridurre la pressione dell’aria al di sotto della vettura, tramite l’applicazione di ventole al posteriore e di minigonne attorno al perimetro della vettura; nonostante questa vettura fu in breve tempo bandita dal regolamento FIA, essa ottenne subito alcuni record di pista e raggiunse oltre 1.7g di accelerazione laterale su uno skid pad a bassa velocità, dimostrando come un piccolo decremento di pressione su una grande area, come il fondo della scocca, poteva portare ad enormi benefici in termini di tenuta di strada.
CENNI SULL’EVOLUZIONE DELL’AERODINAMICA IN F1
A partire dal 1968 le ali apparsero in Formula 1 e da quel momento essa è stata la competizione dove si è concentrata maggiormente la ricerca e lo sviluppo sull’aerodinamica applicata ai veicoli.
Durante gli anni ‘70 i migliori progettisti delle monoposto, ben consci del potenziale che poteva avere lo sfruttamento dell’aerodinamica, introdussero una serie di innovazioni, cercando di aggirare le limitazioni di volta in volta introdotte dai regolamenti tecnici, che erano in perenne contrasto con la loro genialità e fantasia.
Un grande traguardo fu raggiunto nel 1977 quando la Lotus introdusse una vettura ad effetto suolo, la Lotus 78, detta Wing Car. Grazie alle pance laterali sagomate nella parte inferiore per creare due tubi Venturi (con un restringimento del passaggio dell’aria fino a metà dell’auto e poi un graduale allargamento vicino alle ruote posteriori), l’utilizzo di minigonne in materiale ceramico con molle di precarico, talmente basse che toccavano il suolo per creare una sorta di chiusura ermetica dell’aria nel sottoscocca, fu raggiunto un elevatissimo valore di lift negativo. La sua evoluzione, la Lotus 79, ulteriormente affinata e con baricentro più basso, vinse il titolo costruttori nel 1978.
La rincorsa al massimo schiacciamento verticale aerodinamico divenne prioritaria per lo sviluppo delle vetture negli anni a seguire e nel 1982 le massime accelerazioni laterali raggiunsero valori oltre 3,5 g, grazie a forze deportanti pari al doppio del peso della vettura. Questo tipo di performance non furono però ottenute senza problemi: le sospensioni dovettero essere irrigidite per supportare i fortissimi carichi verticali e per mantenere le minigonne nella corretta posizione. Le frequenze proprie della vettura nei modi di rollio, beccheggio e nel moto verticale arrivarono fino a 15 Hz, rendendo così le macchine molto ruvide e difficili da guidare.
Inoltre, i piloti lamentavano il fatto che le macchine sembravano correre su binari, essendo troppa elevata la forza deportante; proprio questo problema probabilmente causò la morte di Gilles Villeneuve, che non fu in grado di scartare la March di Jochen Mass, il quale proseguiva a velocità ridotta, nell’intento di lasciargli strada, durante la sessione di qualifica a Zolder nel 1982.
In seguito a questa funesta stagione, in cui si verificarono anche altri incidenti, nel 1983 le minigonne furono vietate e lo sfruttamento del sottoscocca fu limitato al solo diffusore posteriore.
Già nel 1983, per ovviare alle nuove restrizioni, il progettista della McLaren Alan Jenkins introdusse una forma rastremata (detta a “bottiglia di Coca-Cola”) delle pance laterali: il concetto era quello di allontanare il flusso d’aria dalle ruote posteriori (riducendo il drag generato), indirizzandolo verso il diffusore, per aumentare il suo effetto deportante, a causa del gradiente di pressione generatosi con il flusso proveniente dal sottoscocca.
Il successo fu strepitoso, con la vittoria del campionato costruttori nei due anni successivi; non solo, a partire dal 1985 tutte le altre scuderie adottarono questa soluzione.
Ancora oggi, la forma rastremata delle pance al posteriore è alla base del design delle odierne vetture di Formula 1 ed è un punto chiave per la competitività della monoposto.
I primi anni ’90 hanno visto l’apparizione del muso rialzato (introdotto sulla Tyrrell 019 nel 1990, poi sulla Benetton B191 nel 1991) e non più schiacciato verso il basso, soluzione che permise di avere una maggiore deportanza sulle ali anteriori e di incanalare un flusso elevato di aria nel sottoscocca; di contro, queste modifiche portarono a una diminuzione di spettacolarità, infatti l’effetto scia diviene quasi penalizzante, riducendo e rendendo turbolento il flusso che investe le ali e il fondo della vettura.
Anche per ovviare a questo problema, nel 2009, la federazione impose una drastica riduzione della larghezza dell’ala posteriore, con un netto cambiamento di design delle monoposto.
Infine, da segnalare un’importante novità introdotta nel 2011, il DRS (Drag Reduction System), flap regolabile sull’ala posteriore comandato dall’abitacolo dal pilota: quando attivato, esso diminuisce la propria inclinazione (angolo di attacco), riducendo momentaneamente la resistenza aerodinamica (il drag) dell’ala, aumentando la velocità di punta sui rettilinei, per agevolare i sorpassi.
SI PARTE DAL PRINCIPIO DI BERNOULLI
Per poter comprendere al meglio come si genera una forza aerodinamica, occorre comprendere il principio fisico di Bernoulli.
Nell’ipotesi di trascurare gli effetti di comprimibilità dell’aria (che vengono presi in considerazione per velocità dell’aria superiori a 400km/h in atmosfera standard), di trascurare la dissipazione di energia per attrito viscoso e di ritenere l’aria un fluido omogeneo, si può parlare di “fluido perfetto”, dove vale il principio di Bernoulli nella sua formulazione più nota ed utilizzata.
Il principio afferma che la somma di energia cinetica e di energia di pressione resta costante lungo una “linea di corrente”, cioè lungo un flusso d’aria.
Sotto le predette ipotesi, si può affermare che la somma di pressione statica e pressione dinamica si mantiene costante. Questa costante prende il nome di pressione totale o di impatto:
dove:
ρ = densità dell’aria
V= velocità del flusso d’aria (cioè quella del veicolo, in assenza di vento)
P= pressione dell’aria
Nel caso dell’autoveicolo in avanzamento la pressione totale assume lo stesso valore per ogni linea di corrente, ovvero in tutto il campo aerodinamico attorno al veicolo. Questo “equilibrio” è fondamentale per la comprensione di alcuni fenomeni aerodinamici come quello della portanza (o deportanza in caso di forza verso il basso).
Il principio di conservazione della portata fluida, equivale ad affermare che si mantiene costante lungo il flusso d’aria (detto tubo di flusso) la portata volumetrica (Q), ovvero il prodotto tra sezione di passaggio (S) e velocità di attraversamento (V):
Basta infatti applicare le precedenti equazioni in due punti distinti (1 e 2) nel flusso d’aria per poter scrivere che:
Questa equazione ci dice che una restrizione (diminuzione di S) causa una diminuzione della pressione statica: otteniamo così un modo equivalente di esprimere la generazione delle forze aerodinamiche.
Infatti, immaginando il campo di moto attorno al veicolo come l’insieme di “n” tubi di flusso, la superficie convessa del corpo vettura “deforma” il campo al di sopra di esso riducendo la sezione di passaggio della portata d’aria, con conseguente aumento della velocità di flusso e riduzione di pressione statica. Se tale riduzione avviene al di sopra della vettura, ad esso verrà applicata una forza portante, cioè rivolta verso l’alto, viceversa se la superficie convessa è rivolta verso il basso, come nel caso dei profili alari deportanti delle automobili, il corpo verrà investito da una forza deportante, cioè verso il terreno.
COEFFICIENTE DI PRESSIONE CP
Un parametro molto importante negli studi condotti sui veicolo è il Coefficiente di Pressione Cp.
Esso consente di sintetizzare l’andamento della pressione lungo il profilo dell’automobile e quindi correggere in fase di progettazione o sviluppo, eventuali anomalie nelle forme della vettura.
Si definisce coefficiente di pressione Cp la grandezza adimensionale che si ottiene calcolando la differenza tra la pressione statica del punto di misura in oggetto e la pressione statica indisturbata a monte e dividendo tale differenza per la pressione dinamica sempre relativa alle condizioni a monte (la velocità indisturbata è quella di avanzamento dell’auto e la pressione di riferimento è quella statica che si misurerebbe davanti al veicolo in un punto sufficientemente lontano da esso):
Si può facilmente verificare che nei punti di arresto del flusso, chiamati punti di ‘stagnazione’ (per esempio il frontale dell’auto) si registra il massimo valore di Cp, pari ad 1. In un qualsiasi punto del campo di moto, sufficientemente lontano da non essere alterato dalla presenza del veicolo, si avrà Cp = 0.
Infine, un valore di Cp compreso tra 0 e 1 sarà relativo ad un deflusso con velocità minore a quella di avanzamento e indicherà la presenza di zone di sovrappressione (pressione statica maggiore di quella indisturbata a monte, come accade per esempio tra cofano anteriore e parabrezza).
Inversamente, un Cp negativo sarà relativo a zone in cui la pressione statica risulta minore di quella a monte, ad esempio in tutti i punti di aggiramento della carrozzeria con bassi raggi di curvatura che causano forti accelerazioni del deflusso.
I precedenti “paralleli” tra valore di Cp e velocità di flusso non sono validi in casi come quello di attraversamento di un radiatore ove, pur essendo medesima la velocità sia a monte che a valle della massa radiante, si deve registrare una diminuzione di Cp per perdita di carico, diretta conseguenza dei fenomeni di attrito interno del fluido.
STRATO LIMITE
Lo strato limite è una regione, di piccolissimo spessore, in cui i gradienti di velocità sono molto elevati e le azioni viscose non sono più trascurabili.
Immaginando una lastra piana investita da un fluido uniforme, accade che la velocità delle particelle di fluido che risiedono adiacenti alla superficie sia pari a zero e nel piccolo spessore costituito dallo strato limite essa molto rapidamente raggiunge il valore di velocità pari a quello del flusso indisturbato.
Lo spessore dello strato limite aumenta all’aumentare della distanza lungo la lastra: applicando questi concetti al corpo di una autovettura, si nota come lo spessore dello strato limite aumenti man mano che ci si allontana dalla parte anteriore della vettura. A 100 km/h si passa da uno spessore di pochi millimetri all’anteriore fino ad arrivare a parecchi centimetri al posteriore. E’ noto che uno strato limite più spesso produca forze viscose più elevate e quindi una maggiore resistenza all’avanzamento dell’autovettura.
Se l’incremento di spessore dello strato limite avviene in maniera troppo brusca, è possibile che si verifichi un distacco della vena fluida, cioè il flusso non rimane più adiacente alla superficie, esattamente come avviene nella parte posteriore della maggior parte delle vetture.
Il distacco della vena fluida non è da vedersi però come svantaggioso: infatti, spesso viene ricercato dai progettisti, che volutamente rendono la parte posteriore dell’auto spigolosa, creando un piccolo spoiler, in modo da provocare in maniera repentina il distacco della vena fluida.
Si provoca il distacco per evitare che esso avvenga dopo che il flusso ha aggirato lo spigolo del cofano posteriore o lo spigolo del montante posteriore: se ciò accade, l’aria acquista notevole velocità sul bordo e di conseguenza subisce una forte depressione che causa un penalizzante drag. L’utilizzo di un piccolo spoiler, anticipando il distacco della vena fluida, evita questo inconveniente.
Questi accorgimenti sono visibili in molte auto, sul montante dietro ai finestrini posteriori per le due volumi e le station wagon oppure nella parte finale del bagagliaio per le berline. Si tratta di piccole appendici che terminano con spigoli vivi, spesso sapientemente integrate nel design dell’auto.
Lo strato limite può essere laminare o turbolento. Generalmente nella parte frontale del corpo vettura si verifica uno strato limite laminare, che poi gradualmente diventa turbolento. La regione nella quale si verifica questo cambiamento è detta regione di transizione. Lo strato limite turbolento, a causa delle componenti di velocità in continuo cambiamento, è ovviamente più spesso e produce maggiore resistenza all’avanzamento.
GALLERIE DEL VENTO E NUMERO DI REYNOLDS
Le caratteristiche del flusso ed in particolare l’andamento dello spessore dello strato limite sono strettamente dipendenti dal numero di Reynolds che possiede il fluido. Esso è un numero adimensionale ed è definito come:
Dove ρ è la densità del flusso, V è la velocità, μ è la viscosità e L è la lunghezza che caratterizza il corpo che viene investito, come la lunghezza della vettura o la lunghezza del profilo alare.
Quando le vetture vengono sviluppate aerodinamicamente, spesso si utilizzano le gallerie del vento, che si basano sul cosiddetto principio di reciprocità: esso afferma che dal punto di vista del valore delle grandezze fisiche che vengono misurate, è indifferente muovere un corpo in un fluido fermo o muovere il fluido attorno ad un corpo fermo.
Ma per ragioni economiche (una galleria del vento può costare fino a 100 milioni di euro, con potenze elettriche richieste fino a 5 megawatt per generare il flusso d’aria) spesso i modelli utilizzati sono riproduzioni in scala delle rispettive auto; le difficoltà maggiori di questo approccio sono che le forze misurate non sono semplicemente multiple delle forze che si misurerebbero con la scala originale, a causa della diversità del numero di Reynolds.
Per cui, tenendo presente l’equazione che descrive tale parametro, i metodi utilizzati per risolvere questo inconveniente sono quelli di aumentare la velocità del flusso oppure utilizzare gallerie del vento pressurizzate, per aumentare la densità dell’aria e quindi mantenere costante il numero di Reynolds.
FENOMENO DELLA SCIA
Come detto precedentemente, l’equazione di Bernoulli assume che non ci siano perdite di energia nel sistema in questione: questo significa che si ipotizza che il flusso non subisca distacchi di vena (cioè l’allontanamento della vena fluida dalla superficie), né effetti viscosi.
Ma quando questi fenomeni avvengono, si verificano delle perdite di energia che portano ad una riduzione contemporanea di velocità e di pressione statica, esulando quindi dal principio di Bernoulli.
Un esempio è la zona di forte turbolenza che si verifica subito dietro la vettura: in questa zona il flusso ha perso energia cinetica a causa del gradiente di pressione positivo e degli effetti viscosi, e si verifica un distacco della vena fluida dalla superficie; pertanto, la velocità dell’aria in questa regione è bassa, ma è anche una zona di bassa pressione. (ecco che quindi si esce dal principio di Bernoulli)
La bassa pressione in questa zona è la causa principale del fenomeno della scia, che consente alla vettura che segue a pochi metri un’altra auto di vedersi significativamente ridotte le forze di attrito aerodinamico e di venire “risucchiata” in avanti, incrementando così la propria velocità, a parità di spinta propulsiva.
Il fenomeno della scia diminuisce di intensità man mano che ci si allontana dalla vettura che precede, fino a diventare nullo.
Più è alta la velocità a cui si procede, più la scia dietro la vettura sarà estesa ed apprezzabile.
E’ curioso sapere inoltre che quando due veicoli procedono ravvicinate una dietro l’altro, non solo si genera un vantaggio aerodinamico per quello che segue, ma anche per quello davanti, in percentuale minore.
Infatti, la presenza di un veicolo in scia, aiuta a diminuire la zona di turbolenza, perché di fatto agisce come un prolungamento della carrozzeria ed allevia il processo di distacco della vena fluida nella parte posteriore del primo veicolo.
Questi fenomeni potrebbero essere sfruttati anche nell’ambito dei trasporti: tramite l’utilizzo dei recenti sistemi di guida autonoma, ormai pronti per il mercato globale, un ipotetico scenario futuro potrebbe essere quello di far procedere i TIR in autostrada uno dietro l’altro a pochi metri di distanza, con risparmi enormi su emissioni e consumi.
Fonti:
- W.F. Milliken, D.L. Milliken, Race Car Vehicle Dynamics, SAE.
- Katz, Race Car Aerodynamics (Designing for Speed).
- De Luca, L’aerodinamica dell’autoveicolo.
PARTE 2 (I PROFILI ALARI):
https://www.autotecnica.org/laerodinamica-dei-veicoli-parte-2/
PARTE 3 (SPOILER, SPLITTER, AERODINAMICA SOTTOSCOCCA…):
https://www.autotecnica.org/laerodinamica-dei-veicoli-parte-3/